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LIBERTA' RELIGIOSA

I martiri del Ciad

Nonostante la formale libertà religiosa, nel paese africano rimane alta la tensione per i cristiani.

Attualità 31_03_2012
Ciad

La popolazione del Ciad - che comprende  il vastissimo territorio tra il Niger e il Lago Ciad e il Camerun, il Sudan, la Libia e la Repubblica Centrafricana - è costituita prevalentemente da Sudanesi, con nuclei consistenti di Fulbe e di genti arabe o arabizzate. Il 54% è di religione musulmana, ma anche il cristianesimo (cattolici e protestanti) è diffuso (34%), soprattutto nel Sud.

Il 7% circa della popolazione pratica culti della tradizione locale.
Sin dalla sua indipendenza, avvenuta nel 1960 - fino ad allora è stato colonia francese - il Ciad, che è uno dei Paesi più poveri del mondo, ha vissuto un clima di tensione e di guerra continua, con numerosi colpi di Stato. La storia più recente è stata segnata dalle tensioni con il Sudan, sorte in conseguenza del conflitto nella regione sudanese del Darfur. Dal 2003, infatti, ondate di rifugiati provenienti dal Darfur si sono riversate nel Paese mettendo a dura prova la capacità ricettiva delle strutture locali. Dopo un susseguirsi di incidenti lungo il confine tra i due Stati, nel 2005 il Ciad ha dichiarato lo stato di belligeranza con il Sudan, accusandolo di sostenere i ribelli antigovernativi, riuniti nel Fronte unito per il cambiamento, che hanno base nella regione orientale.

In un’intervista all’Agenzia Zenit dell’ottobre scorso, Monsignor Michele Russo, da 35 missionario in Ciad e da 22 vescovo di Doba, ha affermato: “Durante la guerra, molta gente si è avvicinata alla Chiesa Cattolica, i cui missionari, anche nelle circostanze più drammatiche, sono rimasti nel paese. Purtroppo i nostri fratelli protestanti, allo scoppio della guerra, sono rimpatriati, essendo molti pastori, padri di famiglia e questo ha portato molta delusione nella popolazione. Indubbiamente il celibato dei sacerdoti cattolici e delle suore, permette una maggiore libertà. La Chiesa di Roma è riuscita a supplire a tutte le funzioni statali, dalla scuola, alla sanità, fino alla posta (fino a poco tempo fa per spedire un pacco era necessario recarsi in Camerun o nella Repubblica Centrafricana). Molti missionari hanno subito il martirio durante gli anni della guerra”. Ha aggiunto sul tema della libertà religiosa: “Dialogare con i protestanti è molto più difficile che dialogare con i musulmani: c’è ancora molta chiusura e diffidenza da parte delle comunità riformate, con le solite contestazioni sui santi e sulla Madonna. Ma alla fine in Africa, dove è diffusa la venerazione degli antenati, il culto dei santi dovrebbe essere accolto con una certa facilità. Il santo è, in fondo, uno che ci dice che imitare Cristo è possibile. Tra i musulmani c’è più apertura: a uno dei nostri ultimi incontri con loro, sono venuti quattordici imam e persino donne e bambine islamiche. Lo scorso anno un nostro confratello comboniano di origine sudanese, nato musulmano e poi convertitosi, è riuscito a mettere insieme dieci pastori protestanti, dieci sacerdoti cattolici e dieci imam alla grande moschea di N’Djamena. Lo stesso incontro si è ripetuto durante la parata del presidente che è un musulmano non praticante. Da quando sono vescovo, il dialogo con le altre fedi è una delle mie priorità”.

La Costituzione del Ciad proclama la laicità dello Stato e garantisce la libertà religiosa. Lo Stato in genere la rispetta, anche se impone limiti e divieti a gruppi ritenuti violenti. I gruppi religiosi devono registrarsi, con eccezione delle religioni indigene: una formalità che avviene senza abusi. L’insegnamento religioso è proibito nelle scuole pubbliche ma consentito in quelle private, sia musulmane che cristiane. Peraltro il governo vuole chiudere le scuole coraniche che abusano degli scolari, costringendoli persino a chiedere l’elemosina.

La convivenza tra islamici e cristiani è in genere pacifica, anche se sorgono sporadiche tensioni specie a causa di frange estremiste islamiche; tensioni si registrano anche tra musulmani radicali e moderati, come riferisce il rapporto dell’Istituto di Diritto Pontificio “Aiuto alla Chiesa che soffre”.
Il governo esercita un indiretto controllo sulle attività dei gruppi islamici tramite l’Alto Consiglio per gli Affari Islamici: in sintonia con il Presidente della Repubblica, l’Alto Consiglio nomina il grande Imam, leader spirituale islamico, che sovrintende sulle attività religiose in genere, compresa la supervisione delle scuole musulmane arabe e delle istituzioni superiori d’insegnamento.

Un rappresentante delle comunità religiose è membro dell’Ente che partecipa alla distribuzione
dei guadagni del petrolio. Il seggio è attribuito alternativamente a un leader islamico o cristiano, che si avvicendano ogni quattro anni.

Il governo proibisce qualsiasi attività che “non favorisce la coabitazione pacifica tra la popolazione”.Inoltre negli anni scorsi ha bandito i gruppi musulmani Al-Mountada Al-Islami, l’Associazione mondiale per la gioventù musulmana, la Fondazione caritatevole Mecca Al-Moukkarrama e la Fondazione caritatevole Al-Haramain, con l’accusa di istigazione alla violenza per finalità religiose. Per evitare contrasti sociali, rimane in vigore il divieto, del luglio 2007, di fare proselitismo per strada. Peraltro, i gruppi locali possono chiedere alle autorità il permesso
di farlo.