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STATI UNITI

I mali dell'"Obamacare" davanti alla Corte Suprema

I massimi giudici del Paese studiano la costituzionalità della riforma sanitaria della Casa Bianca mentre
più di 140 città scendono in piazza.

Attualità 27_03_2012
Contro l'"Obamacare"

 

La legge di riforma sanitaria  firmata dal presidente Barack Obama il 23 marzo 2010 è approdata ieri alla Corte Suprema. Finalmente.

Essendo stata ripudiata a larga maggioranza dalla Camera federale ma approvata, di stretta misura, al Senato federale nel febbraio 2011, l’"Obamacare" deve infatti ora confrontarsi con la legge fondamentale del Paese. Nonostante certi - numerosi - abusi (primo fra tutti la sentenza che nel gennaio 1973 chiuse il caso "Roe v. Wade" imponendo l’aborto a tutti gli Stati Uniti attraverso un attivismo giudiziario indebito), compito unico e nobile della Corte Suprema è quello di vegliare sulla costituzionalità delle leggi varate dal Congresso e firmate dal capo dell’esecutivo. Se la Corte Suprema non esercitasse questo compito fondamentale, la democrazia statunitense si muterebbe nella mera legge del più forte, in cui avrebbe la meglio sempre e comunque chi detiene la maggioranza numerica al Congresso in barba al diritto. E invece no: la Corte Suprema veglia e approva oppure boccia l’operato del Congresso, anche se vidimato dal presidente federale, e garantisce la sovranità del diritto certo, quello stabilito appunto dalla Costituzione, che tutto è tranne che un pezzo di carta scritto in un linguaggio oscuro da interpretare e manipolare di continuo.

Ora, l’"Obamacare" prevede d’imporre ai cittadini la stipula, entro il 2014, di polizze assicurative sulla salute da scegliersi esclusivamente fra quelle approvate dal governo, conferendo al Congresso federale il potere sia di tassare i cittadini per garantire la copertura economica sia di comminare multe salatissime a chi non fosse in regola. Il punto all’ordine del giorno è quindi stabilire se ciò sia conforme alla Costituzione che stabilisce con chiarezza i poteri - pochi - spettanti al Congresso federale, fra cui quello d’imporre tasse solo nella misura necessaria a garantire un arbitraggio equo sulla libertà di commercio vigente nel Paese, a cui hanno diritto tutti i cittadini statunitensi.

Detto più direttamente, alla Corte Suprema gli americani chiedono oggi di stabilire se a norma del diritto americano sia giusto che lo Stato federale imponga ai cittadini privati e alle loro private intraprese obblighi commerciali di cui debbono pure sostenere gli oneri economici. Insomma, se lo Stato possa da arbitro farsi anche giocatore.

Fuori dagli Stati Uniti una questione così suona parecchio strana, e in alcuni luoghi del mondo è fantascienza pura. Ma per gli americani è una nota fondamentale. Certamente per il fatto in sé - le assicurazioni sanitarie -, ma soprattutto per la posta che mette in gioco: quale sia il ruolo che uno Stato autenticamente giusto debba avere nell’organizzare politicamente una società libera e quindi potenzialmente virtuosa, composta di persone responsabili e innocenti fino a prova contraria.

La sentenza della Corte Surpema potrebbe anche andare per le lunghe, visto il significato pure politico che l’"Obamacare" si porta appresso. Perché una sua bocciatura in termini di rispetto della Costituzione federale peserebbe come un macigno sull’inquilino della Casa Bianca in cerca di rielezione a novembre. Viceversa, qualora la Corte Suprema dovesse concedere il via libera, gli avversari politici dell’"Obamacare" potrebbero non riprendersi da un colpo così, quanto meno non in tempo utile.

Sulla Corte Suprema si puntano quindi gli occhi di tutti gli americani, purtroppo abituati, nel corso del secolo XX, ad assistere inermi a una magistratura che invece di svolgere la propria sacrosanta funzione di giudice e di custode della legge fondamentale è scesa troppe volte nell’arena per combattere in prima persona battaglie politico-ideologiche.

Anche per questo motivo è nato, negli Stati Uniti, un movimento di opinione e di cultura che, conservatore sia in termini giuridici sia in termini culturali (e magari pure politici), vanta già una storia da raccontare - come fa per esempio Steven M. Tales in The Rise of the Conservative Legal Movement: The Battle for Control of the Law (Princeton University Press, Princeton [New Jersey] 2008) - e una filosofia autorevole - di cui è epitome fondamentale Originalism: A Quarter-Century of Debate, con prefazione del giudice della Corte Suprema Antonin G. Scalia, a cura di Steven G. Calabresi (Regnery, Washington 2007) -, e che oggi gode di ottima stampa proprio dentro la Corte Suprema, grazie anche alle nomine effettuate in quella sede dal presidente George W. Bush jr.

Sull’intera vicenda oggi all’esame della Corte Suprema vi è poi l’oramai annoso problema delle misure miranti a controllare le nascite che, con un ennesimo colpo di mano, la riforma di Obama prevede d’imporre agli americani, sancendo (eccolo qui l’obbligo di sottoscrivere solo polizze approvate dal governo) che tra i servizi sanitari (come se la gravidanza vi rientrasse) contemplati da dette polizze debbano esservi pure il libero accesso alla contraccezione, all’aborto e alla sterilizzazione.

Da mesi la questione è alla ribalta della cronache statunitensi, e questo anzitutto per il netto rifiuto delle Chiese e delle comunità religiose del Paese di sottomettersi a un diktat contrario alle proprie coscienze e alle proprie dottrine. Interpretandolo, quale esso è, come una violazione del diritto alla libertà religiosa parimenti sancito a chiare lettere dalla Costituzione federale, cattolici, protestanti, ebrei, musulmani americani e quant’altri  sono decisi a non cedere.

Proprio venerdì 23 marzo, del resto, nell’anniversario della firma dell’"Obamacare" e alla vigilia del suo ingresso alla Corte Suprema, migliaia e migliaia di cittadini statunitensi hanno dato vita per le strade di più di 140 città, da un capo all’altro del Paese, ad altrettante manifestazioni di protesta contro la riforma e le sue clausole in tutti i sensi vessatorie. Complessivamente denominate The Rally for Religious Freedom, le manifestazioni sono state coordinate a livello nazionale dalla  Pro-Life Action League e dai Citizens for a Pro-Life Society. Una vera e propria rivolta americana, insomma, che non accenna a placarsi.