I giornalisti? Prima del Papa toccò a Gesù
Con gli occhi della fede, vedo nel Papa il vicario di Cristo. Quindi, quando lui parla, è Pietro che parla, purché però sieda sulla cattedra di Pietro, non stia conversando con i giornalisti. Purtroppo i giornalisti soppesano tutte le parole del Papa come se fossero vangelo. Ma prima che al Papa toccò anche a Gesù...
Con gli occhi della fede, vedo nel Papa il vicario di Cristo e il successore dell’apostolo Pietro. Quindi, quando lui parla, è Pietro che parla, purché però sieda sulla cattedra di Pietro, non stia conversando con i giornalisti. Purtroppo i giornalisti non sono teologi, ragion per cui soppesano tutte le parole del Papa come se fossero vangelo. Noi teologi siamo molto meno ansiosi, perché sappiamo che per esserci un “magistero infallibile” del Papa, occorrono tre precise condizioni: 1°, che egli parli come pastore e maestro supremo di tutta la Chiesa; 2° lo faccia in materia di fede e di morale, e 3° con l’intenzione (esplicitamente riconoscibile) di definire una dottrina. Se manca anche una sola di queste tre condizioni, non c’è Magistero in senso stretto, a meno che non riprenda insegnamenti già appartenenti al Magistero e alla dottrina della Chiesa.
Ma questo non vale per i giornalisti, che seguono più le leggi della comunicazione di massa che quelle della teologia. In ogni caso, la parola del Papa è sempre autorevole ed esige rispetto. Un cattolico non dovrebbe mai permettersi di criticare il Papa. Condivido pienamente la scelta che alcuni mezzi di informazione hanno fatto di non veicolare mai critiche al Papa, ma di esporre il suo Magistero in modo completo e intelligente, cioè in continuità con la dottrina della Chiesa. Questo non vuol dire che non ci siano “novità” in quello che il Papa dice e fa, ma nella Chiesa le novità costituiscono sempre un approfondimento, non una rottura.
Tra le “novità” che papa Bergoglio ha portato, c’è quella che riguarda il suo “stile”, il suo modo di essere Papa. Nel passato, quando un cardinale veniva eletto Papa, egli, quasi sempre suo malgrado, doveva accettare di rivestire i panni del Papa, cioè di quella figura ieratica, un po’ separata non solo dal popolo, ma anche dai membri della curia pontificia, sempre attento a non pronunciare una parola o a fare un gesto fuori posto. Forse Papa Pacelli, proveniente da una famiglia nobile, non si sarà trovato spaesato nei panni del Papa; ma per quelli che provenivano da famiglie del popolo, da famiglie contadine od operaie, come i Sarto, i Roncalli, i Luciani e anche i Woijti?a, deve essere stato una sofferenza vivere come dei “principi” della Chiesa, cosa del resto più apparente che reale. Bergoglio invece, eletto Papa, non se l’è sentita di rivestire quell’immagine sacrale, che era un retaggio ancora delle corti cinquecentesche, un’immagine che andava dalle scarpe rosse al mozzetto, dal rigido cerimoniale degli appartamenti vaticani, alle grandi celebrazioni liturgiche.
Lui ha detto: «No! Non voglio essere rinchiuso in una gabbia dorata! Lasciatemi vivere ed essere me stesso!». Non che prima di lui altri Papi non avessero fatto qualche apertura, ma lui ha rotto gli argini. Prima di lui era raro vedere un Papa che in pubblico parlasse “a braccio” e tanto meno che rilasciasse interviste: tutto doveva essere scritto, e il testo doveva essere passato al vaglio di vari revisori. Papa Francesco invece si vede che quando deve leggere è un po’ in sofferenza, mentre quando inizia a parlare a braccio, il suo volto si illumina. Dietro a questo stile un po’ libero, che è piaciuto molto al popolo cristiano, perché ha visto il pastore scendere in mezzo alle pecore, con il pericolo anche di sporcarsi un po’ l’abito bianco, dietro a questo stile, dicevo, c’è anche un’idea teologica importante, e cioè che la verità del Vangelo è portata da tutta la Chiesa, pastori e fedeli insieme, e che tutta la Chiesa, e non solo il Papa, è assistita dallo Spirito Santo. È questa idea di fondo, credo, che ha reso Papa Francesco libero nell’esprimere la dottrina della Chiesa come gliel’ha insegnata sua mamma e sua nonna. Certo, se la Chiesa si trovasse in grave difficoltà su qualche punto di dottrina o di morale, egli sa bene che toccherebbe a lui intervenire come Pastore e Maestro supremo di tutta la Chiesa. Ma bisogna avere fiducia nello Spirito Santo.
Detto questo, mi permetto di dare un piccolo consiglio a papa Francesco, forse approfittando della sua bontà e sperando di non peccare di presunzione. Gli direi: «Santità, per favore, la prego, la supplico, non rilasci più interviste!». Ma so che non mi ascolterebbe. Del resto, anche Gesù ha lasciato interviste a raffica. Anche se ai suoi tempi non c’erano i giornali, c’erano però quelli che gli facevano domande come i giornalisti, e non tutti erano così gentili come quelli di oggi: alcuni infatti lo interrogavano “per metterlo alla prova”, “per coglierlo in fallo nel discorso”. Facevano domande maliziose, come questa: «È lecito o no a un marito ripudiare la propria moglie?» (Marco 10,2). Domanda scottante anche oggi. Chi volesse sapere come Gesù se l’è cavata, legga il seguito del Vangelo li citato.
Un’altra domanda compromettente e preparata con cura, è stata questa: «Dobbiamo sì o no pagare le tasse ai Romani?» (Marco 12,14). Era una domanda tranello: se Gesù rispondeva «sì, bisogna pagare le tasse», lo avrebbero accusato di essere un collaboratore dei Romani, di essere amico di quelli che occupavano la terra di Israele, di sostenere l’esercito di occupazione. Se avesse detto«no, non bisogna pagare!», lo avrebbero accusato di fomentare l’insurrezione, di essere un agitatore politico. Gesù se l’è cavata da par suo, facendoli andar via con la coda tra le gambe. In un’altra intervista, Gesù cambia tattica e risponde ponendo lui una domanda. Gli chiedono dunque: «Con quale autorità tu fai queste cose? Chi ti ha dato l’autorizzazione?». Anche questa è una domanda molto attuale, perché oggi non si può far nulla se non si ha l’autorizzazione. Gesù capisce che non è una domanda seria, ma è solo un pretesto per incastrarlo. Allora fa lui una contro-domanda: «Giovanni il battezzatore era un profeta inviato da Dio o un pazzo esaltato? Se mi rispondete, anch’io vi dirò chi mi dà l’autorizzazione a fare quello che faccio» (Marco 11,28ss). Gli dissero: «Aspetta un momento che ci consultiamo». Allora confabularono tra di loro e ragionarono così: «Se diciamo che Giovanni battista era un pazzo esaltato, la gente ci prenderà a sassate. Se diciamo invece che era inviato da Dio, lui ci dirà: E perché non gli avete creduto? È meglio che gli diciamo: non constat de supernaturalitate, cioè non sappiamo».
A questo punto Gesù tenne fede a quanto aveva detto e rispose: «Nemmeno io vi dico chi mi dà l’autorizzazione». Sapeva, infatti, che anche se avesse tirato in ballo il Padre Eterno, non gli avrebbero creduto lo stesso. Non erano disposti a convertirsi. Anche là dove Gesù ha parlato chiaro, chi non è disposto a convertirsi troverà sempre degli arzigogoli per scantonare. Così, di fronte alla chiara parola di Gesù sul divorzio («L’uomo non separi ciò che Dio ha unito»), alcuni stanno ora tirando fuori una fantomatica “legge scritta sulle stelle”, bella sì, ma troppo lontana da noi che viviamo sulla terra.
Sono partito parlando di Papa Francesco e mi ritrovo a parlare del Vangelo. C’è una circolazione di cose, della quale rimango io stesso sorpreso.Allora lasciamo fare allo Spirito Santo, e come tu ci chiedi sempre, preghiamo per te Papa Francesco, «dolce Cristo in terra», «pietra” sulla quale Cristo ha voluto edificare la sua Chiesa, perché anche tu sei uomo come noi, esposto alle tentazioni e ai dubbi; ma sappiamo che alla fine saprai “confermare i tuoi fratelli».