Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Giosafat Kuncewycz a cura di Ermes Dovico
LA STORIA

I "cecchini del weekend" a Sarajevo e l'abisso della guerra moderna

Ascolta la versione audio dell'articolo

Pagavano per uccidere. Aperta un'indagine dalla procura di Milano sui "cecchini del weekend", turisti d'alto bordo che nella guerra civile in Bosnia, nel 1993-95, facevano "safari" uccidendo civili. Oggi i droni rendono tutto meno costoso.

Editoriali 12_11_2025
Sarajevo 1995, civili si proteggono dai cecchini (La Presse)

A metà degli anni 90, sul finire della guerra civile in Bosnia, era iniziata a circolare la notizia di agenzie che organizzavano safari di guerra. Persone facoltose e particolarmente sadiche pagavano cifre anche considerevoli per vivere l’emozione di sparare ai civili, nella Sarajevo assediata. A darne notizia per primo era stato il Corriere della Sera, nel 1995, ma senza prove o testimonianze sufficienti. Si era così fatta strada l’idea che si trattasse di una delle tante leggende nere sulla guerra. E d’altra parte, si chiedeva l’uomo della strada, che senso ha pagare fior di quattrini per andare in guerra, dove, in ogni circostanza, si rischia comunque di morire?

I soldati possono combattere dietro pagamento, lo stesso termine “soldato” deriva, nell’epoca d’oro dei mercenari, da “assoldato”, reclutato in cambio del soldo. Il soldato può essere mobilitato nella leva di massa, dunque obbligato a combattere a prescindere dalla sua volontà. Oppure partire volontario, se ha la convinzione che la vittoria di una parte in causa di una guerra (anche all’estero) sia essenziale per la sopravvivenza della sua comunità, o degli ideali che la sorreggono. Pagare per uccidere, in relativa “sicurezza”, è un comportamento che esula da tutte le figure note di soldato e non trova alcuna legittimità, comunque si voglia applicare una dottrina della guerra. Per questo stentavamo a crederci.

Invece la procura di Milano ha aperto un’indagine su chi avrebbe realmente pagato, fino a 100 milioni di vecchie lire, per andare a uccidere. Per sistemarsi in luoghi sicuri delle colline che dominavano Sarajevo, nelle file delle milizie serbo-bosniache, e sparare sui civili nella capitale bosniaca. Nel 2014, a rispolverare questa storia era stato il giornalista Luca Leone nel libro I bastardi di Sarajevo. Ma era finito lì. A riaprire la vecchia ferita, invece, era stato un documentario sloveno del 2022, Sarajevo Safari diretto da Miran Zupanic. Uno dei testimoni intervistati parla di spietati cacciatori di uomini, provenienti da tutto il mondo, disposti a pagare pur di uccidere. Infine, ad occuparsene e a presentare l’esposto in procura a Milano, è lo scrittore Ezio Gavazzeni. Che nella sua intervista rilasciata a La Repubblica, spiega come abbia ricostruito l’esistenza di questo crimine orrendo, attraverso una raccolta di testimonianze da tutta la ex Jugoslavia. «Un ex agente dell’intelligence bosniaca, in servizio in quegli anni – dice Gavazzeni - mi ha raccontato degli italiani portati sulle colline a sparare giù sui civili. I servizi bosniaci hanno deciso di non volersene occupare, ci sono ancora le tre etnie che stanno assieme con lo scotch, e l’esposto là è stato archiviato. Ma qui, a Milano, possiamo far emergere la verità». E i nostri servizi segreti, secondo lo stesso testimone, erano al corrente di questi safari umani.

I dettagli sono ancora ignoti, c’entra però una compagnia di voli charter serba che portava i cacciatori a Belgrado, da Trieste. Poi dal territorio serbo venivano trasferiti sulle colline serbo-bosniache via terra o in elicottero. Il tutto entro 72 ore, per poi tornare alla vita normale dopo l’equivalente di un fine settimana di tranquilla paura. Il costo, altissimo per l’epoca, serviva per comprare il silenzio, per passare i check point e per rimborsare chi avrebbe dovuto garantire, a proprio rischio, la sicurezza di questi preziosi “turisti della guerra”. Il tariffario variava a seconda delle vittime. Le testimonianze concordano che si pagasse di più per uccidere i bambini, un po’ meno per uccidere maschi adulti (sotto le armi o comunque in età da soldato), meno ancora per uccidere le donne e gratis gli anziani. Questi killer arrivavano da tutto il mondo, ma anche dall’Italia. Quanti erano gli italiani? Da quel che si sa: almeno cinque. Però ci sono stime che indicano la trasferta di fino a 200 connazionali in Bosnia, per dare la caccia ai civili.

Quindi c’erano davvero persone disposte a pagare pur di uccidere, nonostante il rischio? L’indagine è appena incominciata e potrebbe rivelarsi un falso. E c’è da sperarlo, francamente: che resti una leggenda nera, come si credeva che fosse, fino a pochi giorni fa. La stessa mente umana è incapace di cogliere fino in fondo l’abisso che c’è in una scelta di vita così puramente nichilista. Un comportamento così irrazionale ed esplicitamente malvagio che parrebbe uscito dalle sceneggiature di qualche sadico film fantascientifico, come Hunger Games o i suoi numerosi seguiti e imitatori. Ma è un’occasione per fare luce su un fenomeno, il gusto di uccidere e veder uccidere, che è sempre esistito e che esisterà sempre. E che, le nuove tecnologie (Internet e droni) rischiano di rendere “democratico”, alla portata di tutti, anche dei meno abbienti.

Andare a sparare, con un fucile di precisione, sui civili di Sarajevo, comportava rischi, costi, una logistica complicata e il pericolo di essere uccisi nel fuoco di risposta. Stare davanti allo schermo, con in mano i comandi di un drone, a distanza di sicurezza dal fronte, è molto più facile e decisamente meno costoso. Uccidere è diventato ancora meno personale. Internet è inondata di video di soldati e anche civili uccisi, in Ucraina, negli attacchi di droni. E gli utenti dei social ci prendono gusto, commentano, fanno il tifo, lo guardano come se fosse un videogioco (o ci provano un notevole gusto sadico nel vedere il nemico in faccia mentre viene ucciso, specie se sono parte in causa). Per incoraggiare i successi, nei raid di droni, i software di pilotaggio sono effettivamente programmati come videogiochi, con tanto di punteggio e premi. A Kherson, i droni pilotati dai russi fanno “human safari”, esercitandosi su bersagli civili, un crimine denunciato dagli ucraini e dalla Commissione di inchiesta dell’Onu sull’Ucraina. E se fossero altri “turisti” del terrore al comando? Questo è l’abisso della guerra contemporanea, nel quale dobbiamo cercare di non cadere.