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QUIRINALE

I candidati che sopravvivono ai veti incrociati

Oggi, dalle 15, inizia il voto per eleggere il Presidente della Repubblica. L'ultimo giorno è stato caratterizzato da intense consultazioni. Renzi non vuole Giuliano Amato. Berlusconi pone il veto su Prodi, che invece verrebbe votato dai suoi dissidenti, dai grillini e dalla sinistra Pd. Chi sopravvive ai veti? Occhio a Delrio e alla Finocchiaro.

Politica 29_01_2015
Delrio e Finocchiaro

Oggi alle 15 si comincia a votare per il successore di Napolitano ma il cammino verso l’auspicata ampia condivisione tra tutte o quasi le forze politiche appare ancora irto di ostacoli. Nelle prime tre votazioni, oggi e domani, bisognerebbe raggiungere 673 voti sui 1009 previsti, ipotesi alquanto remota. I giochi si faranno da sabato in poi, quando basterà la maggioranza assoluta, vale a dire 505 voti. L’indicazione di Renzi, Berlusconi e Alfano per le prime tre votazioni è chiara: votare scheda bianca, al fine di non bruciare nomi proponibili quando il quorum si abbasserà. Ma ieri in Parlamento circolavano voci di intesa tra dissidenti dem, forzisti vicini al ribelle Raffaele Fitto e grillini per votare, fin da subito, Prodi o Bersani. In questo senso, l’esito delle “quirinarie” on line indette dal Movimento Cinque Stelle potrebbe dare un’indicazione precisa in favore di uno dei due.

La giornata di ieri è stata interlocutoria ed è servita più che altro a far emergere un conflitto tra vecchio e nuovo. Il premier, sempre più schiavo di sondaggi e indici di popolarità, non vorrebbe legare il suo nome alla scelta di un Presidente impopolare come Giuliano Amato o troppo connotato per il suo passato, come Romano Prodi o Pierferdinando Casini. Berlusconi e Alfano, invece, sembrano compatti sul gradimento ai nomi di Amato e Casini, entrambi non ex comunisti e provenienti dalla tradizione socialista il primo e cattolico-democristiana il secondo. Ieri il premier è stato categorico su Amato: niente da fare. Berlusconi ha risposto picche alla proposta Mattarella e quindi il Patto del Nazareno è tornato a scricchiolare. Renzi teme un accordo Berlusconi-D’Alema-Bersani sul nome del “Dottor Sottile” e non vuole ritrovarsi sul Colle un personaggio autorevole e insensibile ai desiderata del suo governo.

Urgono, quindi, profili di compromesso, in grado di avvicinare le parti, ancora distanti. Anna Finocchiaro, gradita ad ampi settori del centrodestra e perfino alla Lega e a qualche grillino, potrebbe rappresentare la novità. Dalemiana della prima ora, ma convertita al renzismo (ha affiancato la Boschi nei lavori parlamentari sulle riforme), sarebbe la prima donna a diventare Presidente della Repubblica. Per Renzi ci sarebbe solo una controindicazione: nel 2013, prima che le forze politiche proponessero il bis a Napolitano, fu proprio l’allora sindaco di Firenze a bocciare la candidatura Finocchiaro, associata, come quella di Franco Marini, all’odiata “casta”.

In realtà, l’asso nella manica di Renzi potrebbe essere Graziano Delrio, attuale sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Cattolico, con esperienze amministrative, conoscitore delle istituzioni e apprezzato anche da centristi e parte dei forzisti, potrebbe consentire a Renzi di avere al Quirinale una persona fidata e mite, non interventista e non troppo ingombrante neppure a livello internazionale. Anche agli occhi dell’opinione pubblica, Delrio potrebbe essere un’ottima scelta. L’ex sindaco di Reggio Emilia ha una “famiglia modello”, con nove figli, e un profilo sobrio e da persona semplice e schietta, forse in grado di ridestare in molti italiani il senso civico e di combattere efficacemente l’antipolitica. 

Eleggere Prodi significherebbe lacerare il Paese, allontanare uno scenario di pacificazione e mandare in frantumi il Patto del Nazareno; eleggere Amato potrebbe voler dire lanciare un messaggio di restaurazione ai cittadini italiani; eleggere Finocchiaro avrebbe un significato simbolico per tutte le donne e aiuterebbe a ricomporre le fratture nel Pd, senza uccidere l’intesa Renzi-Berlusconi; optare per Delrio (o Chiamparino) indicherebbe che la Terza Repubblica è davvero dietro l’angolo e i “vecchi arnesi” della Prima sono ormai fuori gioco. Riuscirà Renzi nell’intento di accreditarsi definitivamente come il fondatore della Terza Repubblica senza creare strappi nel suo partito e con il centrodestra?

I precedenti non giocano a suo favore. Nel 2013, pur non essendo in Parlamento, con i suoi fedelissimi che già erano in Parlamento, riuscì a stoppare sia Marini che Prodi, decretando la fine dell’esperienza Bersani e l’avvento di un’era nuova, per il partito e per il Paese. Quelle trame renziane non furono gradite all’attuale minoranza Pd, che all’epoca guidava la segreteria del partito. E allora quale migliore occasione di vendetta contro il premier per la “Ditta” se non quella dell’elezione del Presidente della Repubblica con il voto segreto? Renzi forse annusa il pericolo ed è per questo che considera importanti anche i dieci voti degli ultimi fuoriusciti del Movimento Cinque Stelle. Sa che, se la battaglia si farà dura e la situazione si incarterà, il nuovo Presidente potrebbe anche uscire da un accordo occasionale e per il rotto della cuffia. Su questo Renzi si gioca tutto: o la definitiva consacrazione o l’inizio del declino.