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CORONAVIRUS

I bimbi che ci insegnano a vivere per il Paradiso

In questi giorni di Coronavirus, c'è una realtà che sfugge alla continua narrazione di morte che ci investe: è la speranza e la gioia dei bambini che riempiono le case e le famiglie degli italiani. Alla loro semplice e potente preghiera bisognerebbe affidare l'Italia intera per la fine di questa nuova peste e della paura che porta con sé. Ma soprattutto, è proprio ai bambini che bisognerebbe guardare per risvegliare in noi il desiderio della vita eterna. Come la storia di Silas e Giselle ci insegna.

Attualità 23_03_2020

In questi giorni di emergenza Coronavirus, dove la narrazione della morte sembra riempire ogni spazio non concesso al Silenzio. E dove la catastrofe imminente pare essere l’unico sbocco contemplato dalle cronache. C’è una realtà di fronte alla quale, ogni giorno, il buio arretra disarmato e la vita, gagliarda, pompa la sua linfa all’impazzata: sono i bambini. E chi ne ospita in casa uno o più, sa benissimo il perché.

“I bambini sono il sorriso del Cielo affidato alla terra”, diceva Giovanni Paolo II. Ed è proprio così: in questi giorni pur drammatici e dolorosi, davanti al semplice sguardo di un bambino, non si può non sentire crescere dentro la speranza. E vedere in essa l’unica posizione veramente ragionevole di fronte alla vita, morte compresa.

Senza contare, poi, che la preghiera dei più piccoli ha un potere di intercessione senza uguali presso il cuore di Dio e per questo va loro insegnata, stimolata e sollecitata il più possibile. A maggior ragione, in questi tempi di prova, andrebbe chiesto proprio ai bambini di riunirsi in famiglia, o anche virtualmente, a pregare perché il nostro Paese venga liberato al più presto da questo virus e dalla paura che scatena nel popolo.

Ma c’è di più. Sono i bambini che, senza retorica, ma con tanta schiettezza, ci insegnano l’origine di questa indistruttibile speranza che vive in loro. Vi è, infatti, nei più piccoli un ostinato presentimento di eterno, una naturale preghiera del cuore, un’innata fiducia nella realtà e nel suo Creatore. Insomma, i piccoli possiedono un cuore ancora puro, perciò, se educati, sono capaci di vedere la Presenza di Dio in ogni cosa e ci possono insegnare magistralmente a vivere per il Paradiso. Esageriamo? Sentite qui.

“VOGLIO IL PARADISO!”

La prima storia è quella di Silas Edenfield, un bambino di Lione (Georgia), che è volato in Cielo, il 25 maggio del 2013, per colpa di una rara forma di cancro al fegato. Quando è morto, Silas aveva solo quattro anni; e gli ultimi quattordici mesi della sua breve vita li aveva trascorsi tra operazioni chirurgiche, chemioterapie e radioterapie.

Ebbene, i genitori raccontano che Silas ha vissuto il suo grande dolore con tanta inspiegabile gioia, da diventare lui stesso fonte di luce e di speranza per tutti coloro che stavano al suo fianco. Al punto che, quando gli fu comunicato che il suo male era ormai inguaribile, Silas non fu né cupo, né triste per la notizia. Disse invece di essere impaziente di vedere Gesù e di correre finalmente tra le sue braccia. 

Ma che ne sapeva un bambino così piccolo di Dio, della morte e della vita eterna? Il fatto che la sua famiglia fosse cristiana e frequentasse la chiesa battista di Lione, non basta certamente a giustificare la sapienza e la certezza con cui il piccolo Silas, a pochi giorni dalla sua morte, arrivò a descrivere il Paradiso. È chiaro invece che, in quella visione, Silas fu ispirato all’Alto.

A beneficio di tutti, anche dei più scettici, la Provvidenza ha voluto che tale racconto, avvenuto durante un breve e spensierato dialogo tra Silas e la sua mamma, venisse da quest'ultima filmato, rivelandosi solo in un secondo momento come una profezia sulla Vita Eterna. “Oh, voglio il Paradiso. Voglio passare lì tutto il tempo!”, inizia così la confessione in cui il piccolo, tutto assorto nel suo dolce desiderio, parla dell’Aldilà. Ma ascoltiamola tutta.


“Come sarà il Paradiso?”, chiede la mamma.
“Non sono sicuro…”, replica il bambino mostrando di saper ben riflettere al riguardo.
“Avrai un corpo in Paradiso?”, lo aiuta allora la mamma.
“Sì”, replica Silas.
“E come sarà il tuo nuovo corpo?”.
“Senza cancro”, afferma il bambino, che poi aggiunge ancor più sicuro: “… non mi ammalerò MAI!”.
“E sarai solo in Paradiso?”, continua la mamma che ormai ha compreso il prezioso momento di confessione del figlioletto.
“No! Ci sarà Dio con me!”, risponde Silas come fosse la cosa più logica del mondo.
“E vuoi sapere qual è la cosa che preferisco del Paradiso?", continua il piccolo. “Che tutto è… è tutto… che le strade sono d’oro!”.
Poi, guardando lontano, come se già vedesse, aggiunge: “Un’altra cosa che mi piace è che… è che tutto è bello in Paradiso! E poi… poi Gesù e Dio saranno sempre insieme a me! Ho finito".

Poco prima di nascere al Cielo, Silas fece la seguente preghiera: “Dio, sono pronto affinché mi porti a Casa, per favore portami a Casa ora, così posso avere un nuovo corpo, perché possiamo tornare presto nel nome di Gesù. Amen”. Quando i genitori sbalorditi chiesero al figlioletto il significato di quella strana preghiera, Silas rispose deciso: “Volevo dire che così potrò tornare con Dio a prendere tutti e portarli in Paradiso!”.

“CIAO, CIAO GESÙ!”

Silas non è che il primo di una lunga serie di bambini che mostrano una grande verità cristiana: è nella sofferenza e nel dolore che il Cielo si spalanca e il Signore si fa presente e vivo più che mai. 

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Giselle Janulis è una bambina che ha toccato il cuore a moltissime persone in tutto il mondo. La piccola di soli due anni, affetta da una grave patologia cardiaca, prima di morire ha detto più volte di aver visto Gesù al suo fianco. Seguendo la sua vicenda si scopre infatti che, tra le pieghe della semplicissima vita di una lattante, il Signore Gesù si è fatto compagno e proprio nella malattia ha preparato la strada per condurre la Sua bambina alla gioia eterna.

Giselle è nata apparentemente sana. Solo quando ha compiuto sette mesi i genitori, durante una visita pediatrica di routine, scoprono per caso che la loro piccola ha una malattia gravissima: la tetralogia di Fallot. Con una valvola cardiaca in meno e una serie di arterie che non si somo formate, appare subito chiaro che Giselle ha i giorni contati. “Il mio mondo, d’improvviso, si è bloccato. Ero in stato di choc, senza parole”, ricorda la mamma Tamrah.

Due mesi dopo la diagnosi, la bambina viene sottoposta ad un intervento cardiaco e i medici scoprono un quadro clinico ancor più grave del previsto: il cuore di Giselle sembra “un piatto di spaghetti” o “un nido d’uccello”, con piccole vene filiformi che si sono formate per cercare di compensare le arterie mancanti.

Mamma Tamrah e papà Joe decidono di non procedere con il necessario trapianto di cuore e di polmone: è una strada pericolosissima e quasi certamente priva di successo per la bambina. I genitori seguono invece la prescrizione dei medici che consiste nel somministrare alla bambina una lunga serie di farmaci. “Le ho dato tutte le medicine, due volte al giorno”, racconta la mamma. "L’ho portata sempre con me e non l’ho mai lasciata fuori dal mio campo visivo”.

Intanto Giselle, pur nel dramma della sua condizione, continua a crescere e si mostra una bambina sorprendentemente brillante: basti sapere che a soli 10 mesi impara tutto l’alfabeto a memoria. Ma non si tratta solo di intelligenza, la piccola impartisce lezioni di vita a chiunque la incontri sulla strada: piccola, fragile, e gravemente malata, Giselle è attraversata da una forza e una gioia di vita che lasciano senza parole. “Nulla la poteva fermare”, spiega la mamma. “Adorava andare allo zoo. Veniva a cavallo con me. Ha fatto tutto. Siamo una famiglia con una grande passione per la musica e Giselle cantava sempre”.

È dopo il suo secondo compleanno che la bambina ha la prima visione di Gesù. Tutto avviene nella sala da pranzo di casa, circa un mese prima di morire. “Ciao, Gesù. Ciao, ciao Gesù!”, ripete Giselle con entusiasmo, lasciando la mamma stordita. “Cosa vedi, tesoro?”. Senza prestare grande attenzione alla domanda, Giselle fissa lo stesso punto sopra di lei e spalancando gli occhi di gioia, ripete nuovamente: “Ciao, Gesù!”.

Grazie all’istinto materno e di fronte a tanta innocenza, Tamrah comprende subito che alla sua figlioletta sta capitando qualcosa di eccezionale e le domanda: “Dov’è?”. Giselle allora, senza esitazione, risponde: “Gesù sta qui!”.

Queste visioni si ripetono più volte nelle settimane successive, fino alla definitiva partenza per il Cielo. Un giorno per esempio, mentre era in macchina con la sua mamma, Giselle comincia a cantare da sola: “Rallegrati! Rallegrati! Emmanuel…”, eppure mai nessuno le aveva insegnato quel canto di lode al Signore. Così come nessuno le aveva mai insegnato l’Alleluja, eppure la piccina, a pochi giorni dalla sua gioiosa partenza per il Cielo, inizia a cantarla con insistenza.

“Il mio miracolo è che Giselle ha vissuto sempre felice”, conclude mamma Tamrah. “Tutti i giorni con lei per me sono stati come un miracolo. Ciò che mi dà speranza è che Giselle ha visto il Signore ed ora è in Cielo con Lui. So che lei è là e che mi aspetta”.