Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi

AFGHANISTAN

«Herat, colpo di coda di al Qaeda»

Sima Simar, leader di associazioni umanitarie afghane: «I soldati della forza internazionale devono restare, il loro compito non è finito».

Attualità 31_05_2011
sima simar

Sima Simar è un medico afghano, ha fondato 17 anni fa “The Shuada Organization” , un’organizzazione che oggi comprende 55 scuole per bambini e bambine  in Afghanistan e tre per i ragazzi afghani rifugiati in Pakistan, a Quetta. Sima è stata Ministro delle politiche femminili dal 2001 al 2002 nel governo afghano, attualmente è presidente della “The independent Afghanistan Human rights commission”. L’abbiamo incontrata a Firenze, in occasione del terzo incontro, promosso presso la sede della New York University, de ”La Pietra coalition”, un forum internazionale di donne e uomini che operano per migliorare la condizione femminile nel mondo e la speranza di potersi presentare come interlocutori al prossimo G20. La incontriamo subito dopo aver appreso la notizia del nuovo attacco suicida contra la base italiana a Herat, con un bilancio di cinque soldatti italiani feriti.

Ancora un attentato a Herat. Dalla morte di Bin Laden sembra cresciuta la violenza in Afghanistan. Cosa teme e cosa si aspetta per il futuro?
Certo, al Qaeda  deve dimostarare che uccidere bin Laden non ha significato diminuire la forza del movimento. Gli attentati sono aumentati in Afghanistan dalla morte di Osama. Ci sono stati attacchi a tutti i comandi generali dei soldati stranieri nel paese. E’ questione di tempo, ma gli attacchi diminuiranno, si spegnerà il desiderio di vendetta di questi giorni.

Qual è secondo lei il risultato più positivo dell'uscoita di scena di Bin Laden?
Che il Pakistan adesso deve riconoscere il suo ruolo di sostegno ad al Qaeda pubblicamente e farne ammenda. Osama ha vissuto per anni a pochi passi dalla sede della polizia pakistana a Islamabad, tutti dovevano sapere dov’era.

Dopo questo attentato, in Italia e negli altri paesi europei si torna a parlare, come solito, della necessità di ritirare le nostre truppe. Cosa ne pensa lei? E' ancora necessaria la presenza dei nostri soldati in Afghanistan?
Naturalmente. Se i soldati stranieri partissero adesso, o prima di aver concluso il loro lavoro, che è sopratutto quello di addestrare una polizia afghana in grado di far applicare le leggi varate dal governo  e consentire la sicurezza della popolazione in ogni parte del paese, sarebbe un vero disastro. Il paese non è pronto per vivere senza aiuti stranieri.

Vuol dire che in dieci anni non siamo riusciti a permettere agli afghani di essere autonomi nel loro paese?
Sono stati fatti molti errori di cattiva organizzazione. I militari dei paesi arrivati a sostenere la liberazione dell’Afghanistan non hanno lavorato su un progetto comune, ma ognuno ha seguito direttive particolari dei loro capi militari o dei loro paesi. Così, in Afghanistan alcune aree hanno avuto maggiori vantaggi dall’azione dei militari, altre meno. Ma è certo che le truppe straniere non possono lasciare il nostro paese, almeno fino a che non sia strutturata una polizia efficiente locale. Noi non l’avevamo prima della guerra, tutte le istituzioni statali erano state eliminate dallo strapotere e dal disegno politico dei talebani.

Anche l’Afghanistan risente del nuovo clima creato dai movimenti arabi di rivolta?
Certo. Ma se le rivoluzioni africane e mediorientali riuscissero a liberarsi di ogni pericolo di fondamentalismo religioso, allora il successo di queste rivoluzioni avrebbe un impatto profondo nella fase di ricostruzione afghana.

Quanto è migliorata la condizione delle donne afghan dall’ultima guerra in poi?
Bene nelle grandi città, Kabul soprattutto, poco in certe provincie, nei piccolo villaggi dominati dalle tribù. Non ci sono solo i talebani in Afghanistan, molti sono i gruppi di fondamentalisti: neppure Massud era un liberale, sopratutto nei riguardi delle donne.