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MEDITERRANEO

Haftar umilia l'Italia, tenendosi i nostri pescatori

I parenti dei 18 marittimi sequestrati dai libici fedeli ad Haftar protestano sia al Parlamento che al comune di Mazara del Vallo, chiedono al vescovo Mogavero di intercedere. Ma della sorte dei loro famigliari non c'è alcuna certezza. Haftar, dopo l'abbattimento del nostro drone, è deciso a umiliare l'Italia. E il governo, comunque, esclude opzioni di forza. In questo e in altri casi è imbelle.

Editoriali 05_10_2020
Roma, la protesta dei parenti dei pescatori sequestrati

Il vescovo di Mazara del Vallo, monsignor Domenico Mogavero, ha incontrato ieri i familiari dei 18 marittimi che si trovano da oltre un mese prigionieri nel porto libico di Bengasi, in stato di fermo senza che sia stato ancora contestato loro un reato.

Si tratta degli equipaggi dei motopescherecci Antartide e Medinea, fermati dalle milizie del generale Khalifa Haftar. Le famiglie dei pescatori (mazaresi e tunisini) sono già state a Roma a manifestare incatenate davanti alla Camera e da ieri occupano l'aula consiliare del Comune di Mazara del Vallo, con l'intento di non far scemare l'attenzione sulla questione che vede coinvolti i loro cari. "Abbiamo notizia che la Farnesina è impegnata nella trattativa, della quale non conosciamo i particolari", ha detto Mogavero, in contatto con un funzionario del Ministero degli Esteri. La preoccupazione maggiore dei familiari è ora quella di sapere le condizioni di salute dei marittimi: "Da 16 giorni non abbiamo la possibilità di poterli sentire al telefono - hanno detto al Vescovo - a noi basta anche che parli uno solo a nome di tutti e ci dicano che stanno bene".

La vicenda si presta a diverse valutazioni e se da un lato non c’è dubbio che Farnesina ed intelligence stanno cercando di riportare a casa i marittimi, è altrettanto indubbio che un tale sequestro ridicolizza l’Italia proprio nelle acque di casa. Del resto è molto probabile che Haftar, non nuovo ad attacchi e provocazioni nei confronti dell’Italia, punti proprio a umiliare il nostro governo per le molteplici gaffe compiute nella maldestra gestione della crisi libica. Non sfugge che il sequestro dei due pescherecci è avvenuto poche ore dopo che il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, si era recato a Tripoli e poi a Tobruk per incontrare i leader delle “due libie”. Di solito incontrava il generale Haftar ma nel suo ultimo viaggio è andato a colloquio con il presidente del parlamento di Tobruk Aguila Saleh, considerato “l’uomo nuovo” della Cirenaica, l’interlocutore a cui rivolgersi dopo che la stella di Haftar è tramontata in seguito alla mancata vittoria della battaglia di Tripoli.

Haftar sarà probabilmente in declino ma evidentemente non quanto basta per poterlo ignorare tenuto conto che Roma ha chiesto di esercitare pressioni per la liberazione dei 18 marittimi ai migliori alleati del generale: Russia, Egitto ed Emirati Arabi Uniti. Difficile dire se il fallimento (finora) di queste pressioni siano motivate con la ferma volontà di Haftar di umiliare Di Maio e l’Italia o al fatto che alcuni Stati che hanno influenza in Libia vedano con malcelata soddisfazione il crollo della credibilità e del prestigio dell’Italia nella sua ex colonia. Basti ricordare che durante gli scontri intorno a Tripoli nel novembre scorso la contraerea di Haftar abbatté per errore due droni MQ9 Reaper credendoli velivoli turchi al fianco delle forze di Tripoli: uno italiano e uno statunitense che sorvolavano il campo di battaglia. Il relitto del velivolo americano venne restituito con tante scuse al Pentagono, quello del velivolo italiano venne mostrato come un trofeo e Haftar chiese con tono minaccioso spiegazioni a Roma, accusata di sostenere Tripoli, circa la presenza di quel drone.  

Altri elementi inducono oggi a credere che Haftar intenda umiliare l’Italia. I pescherecci sono stati fermati nel Golfo della Sirte, acque internazionali sulle quali però la Libia rivendica arbitrariamente fin dai tempi di Gheddafi la propria sovranità fino a ben 72 miglia dalla costa. Non è la prima volta che accadono fatti simili ma questa volta gli equipaggi non sono stati ancora incriminati ed è balenata l’ipotesi che per rilasciarli Haftar pretenda la liberazione di “quattro calciatori libici” in realtà reclusi in Italia con una condanna per traffico di esseri umani e tortura. Per ottenerla, gli uomini di Haftar avrebbero addirittura annunciato di aver trovato droga a bordo dei pescherecci italiani, escamotage forse teso ad alzare la pena che potrebbe venire affibbiata ai marittimi.

Di fronte a queste umilianti provocazioni Roma sembra aver rinunciato a mettere in campo “tutte le opzioni”, termine con cui solitamente non si esclude il ricorso ad azioni militari per liberare gli ostaggi e punire con una dura rappresaglia gli autori del sequestro. Abbiamo forze speciali tra le migliori al mondo, certo in grado di effettuare un blitz teso a liberare gli ostaggi (probabilmente divisi in tre siti diversi per ridurre i rischi di incursioni), ma questa opzione nessun governo italiano l’ha mai esercitata. Abbiamo le forze aeree e navali più moderne e potenti del Mediterraneo e forse qualche sorvolo a bassa quota del quartier generale di Haftar e un gruppo navale in navigazione al limite delle acque territoriali libiche di fronte a Bengasi potrebbero indurre il feldmaresciallo della Cirenaica a mostrare maggior rispetto nei confronti degli italiani.

Meglio non sottovalutare anche un altro aspetto per così dire “imprenditoriale”: il governo italiano ha inviato recentemente una fregata lanciamissili nel Golfo di Guinea per proteggere dai pirati le piattaforme off-shore dell’ENI e nel 2016 un battaglione con 500 fanti per proteggere il cantiere della ditta Trevi incaricata di ristrutturare la Diga di Mosul. Un contesto in cui si potrebbe affermare che lo Stato trova truppe e mezzi per proteggere le attività di grandi aziende ma non quelle di piccoli imprenditori come i pescatori di Mazara del Vallo. Inoltre lasciare gli ostaggi così a lungo in mano ai sequestratori rafforzerà ulteriormente tra i criminali e i miliziani di mezzo mondo la già radicata e motivata convinzione che colpire o rapire gli italiani non comporti prezzi da pagare.

Certo resta il fatto che nell’ultimo anno l’Italia si è bruciata tutte le carte sui due fronti libici. Appena insediatosi alla Farnesina il ministro Di Maio ha compiuto il primo viaggio in Nord Africa visitando il Marocco, non la Libia. A Tripoli non l’hanno presa bene e hanno avuto un’ulteriore conferma che se volevano un aiuto contro l’offensiva di Haftar era meglio rivolgersi alla Turchia. Nulla avrebbe vietato a Di Maio una sosta a Tripoli prima di raggiungere Rabat così come non avrebbe guastato, a inizio settembre, incontrare in Cirenaica sia Saleh che Haftar. Del resto la politica estera italiana è inesistente ormai da molti anni anche se solo con l’attuale governo è diventata comica.

E le cose possono anche peggiorare non solo se i 18 marittimi italiani non verranno liberati presto ma anche a causa delle conseguenze del processo di Catania contro Matteo Salvini, accusato di sequestro di persona per aver bloccato per quattro giorni lo sbarco di immigrati clandestini dal pattugliatore Gregoretti della Guardia Costiera. Se le accuse non verranno archiviate prima, tra novembre e dicembre verranno chiamati in tribunale Giuseppe Conte, Luigi Di Maio, Luciana Lamorgese e gli ex ministri Trenta e Toninelli: tutti presumibilmente impegnati a cercare di dimostrare che il ministro dell’Interno del governo precedente sequestrò oltre cento migranti illegali. Si preannuncia quindi l’ennesima figuraccia internazionale sul fronte della sicurezza dei confini e dei cittadini italiani, per la gioia dei trafficanti e dei nemici dell’Italia.