Ha votato Sì chi è immune alla crisi
Hanno votato Sì i quartieri più ricchi delle grandi città italiane, soprattutto a Milano, Torino e Roma. Hanno votato No le periferie. E a livello regionale è lo stesso: il Sì, oltre che nelle roccaforti del PD, vince nel Trentino Alto Adige, che è la regione più benestante d'Italia. Una somiglianza con i fenomeni Brexit e Trump è questa: votano i disillusi, stanchi dell'élite globalizzata.
Il “Sì” è dei benestanti che vedono un futuro radioso e desiderano stabilità, il “No” di chi odia la stabilità della crisi che non gli consente di comprare casa, cambiare macchina o trovare un lavoro dignitoso. Potrebbe bastare questa banalizzazione a spiegare l'esito del referendum di ieri che ha visto una vittoria schiacciante del fronte del No che, in tutta Italia, ha preso il 59,1% dei consensi contro il 40,9% del Sì, con uno scarto assoluto di quasi sei milioni di voti (19,42 milioni contro 13,43).
Un risultato strabiliante che ha lasciato tutti piuttosto interdetti (non per la vittoria del No, ma per la sua consistenza numerica) e ha costretto lo stesso Matteo Renzi a rassegnare le dimissioni. Eppure, se si vanno a guardare i risultati regione per regione e soprattutto città per città, si scoprono notevoli differenze che rendono quello del referendum un vero e proprio voto per censo. Partiamo da Milano dove gli esiti ricordano tanto quelli dell'elezione di Beppe Sala o Giuliano Pisapia prima di lui: il Sì trionfa nel centro storico, fra il Quadrilatero della Moda e Parco Sempione, con uno strabiliante 64,9% ma perde nelle più povere e insicure zone 2 e 9 (viale Monza, via Padova, via Palmanova, Niguarda, Fulvio Testi) dove il No ha vinto, rispettivamente, col 51,97% e col 53,52%. Se nel complesso nel capoluogo lombardo il Sì ha vinto di misura (51,13% contro il 48,87%), a Torino il No ha vinto col 53,58%: risultato che si ribalta nel centro storico dove il Sì ha ottenuto il 56,91% dei consensi mentre il risultato peggiore per Renzi è arrivato dalla circoscrizione 6, all'estrema periferia nord, dove il No ha vinto col 60,86%. Più o meno lo stesso risultato che c'è stato a Roma dove il No ha vinto col 59,42% mentre il Sì ha vinto solo di misura nel municipio 1, quello di Spagna e Barberini, col 50,54% e nel municipio 2 (Parioli) col 52,37%. Per non parlare di Napoli dove, nonostante la propaganda martellante del governatore Vincenzo De Luca, il Sì ha ottenuto solo il 31,7% dei consensi contro il 68,28% del No.
Guardando alle regioni si scopre come, a parte le due storiche regioni “rosse” dove l'elettorato è mosso dalle truppe cammellate del Pd (in Emilia Romagna il Sì ha ottenuto il 50,39% mentre in Toscana il 52,51%), l'unica regione dove il Sì è stato preponderante è stato il Trentino Alto Adige. Regione che, come dimostrano i dati Eurostat rielaborati dalla Cna di Bolzano, fa registrare nel complesso il reddito pro capite più alto d'Italia (prima in assoluto Bolzano con 39.700 euro, quarta Trento con 33.700) e una percentuale di disoccupazione attorno al 7%, ben più bassa della media nazionale, ufficialmente poco sotto il 12%. Le percentuali più alte di No si registrano invece in Basilicata (65,5%), Calabria (66,8%), Puglia (67,2%), Campania (68,4%), Sicilia (71,3%), e Sardegna (72,5%). Regioni che, guarda caso, sono in fondo alla classifica del reddito pro capite: 16.100 la Calabria, 16.700 la Campania, 17mila la Sicilia, 17.200 la Puglia, 19mila la Basilicata e 19.900 la Sardegna. Così come è perfino superfluo dire che, all'interno delle grandi metropoli, vi è una disparità di reddito assolutamente notevole fra centro e periferia. Basti fare un'indagine su un sito come immobiliare.it per scoprire come nel centro storico di Milano un appartamento costi dai 7 ai 12mila euro al metro quadro, con punte di 20-25mila per Montenapoleone e via della Spiga, contro i 2/3mila (in alcuni casi anche meno) di molti quartieri periferici.
Per molti versi la schiacciante vittoria del “no” al referendum costituzionale ricorda le elezioni presidenziali americane e il voto sulla Brexit. Alcuni commentatori sostenevano che in Italia avrebbe vinto il Sì dal momento che i sondaggisti sbagliano per definizione. Peccato che costoro non si siano accorti che, in realtà, il Sì sta al referendum come Hillary Clinton stava alla Casa Bianca e il remain alla Brexit. È da una sfiducia generalizzata verso la globalizzazione, l'eurocrazia e i “poteri forti” (oggetto talvolta di valutazioni populistiche e complottiste eccessive se non addirittura risibili), l'economia e il mercato del lavoro infarciti di neologismi ed inglesismi che nascono fenomeni come l'isolazionismo, il protezionismo e l'Alt-right. Con la crisi economica per molti e i privilegi per pochi (talvolta beneficiati dai governi) non è un caso che ad andare in pezzi sia il modello di sinistra chic che si connota come favorevole alla modernità senza condizioni, all'accoglienza indiscriminata, alle famiglie omosessuali e all'ideologia gender.
È un modello che non fa più presa, non solo sui vecchi del Tennesse, dell'East Midlands o dell'Ogliastra: anche i giovani, specie in Italia, sentono il peso di una retorica vuota e a tratti odiosa che non identifica o comunque non risolve i problemi reali del Paese, che crede in “magnifiche sorti e progressive” nonostante i dati suggeriscano il contrario e accusa innocenti uccelli notturni quando succede qualcosa di negativo (i famosi “gufi” di Renzi). E non è un caso che, al contrario della Brexit e dell'elezione di Trump, nel referendum italiano siano stati i giovani i veri protagonisti della vittoria del No: l’Istituto Piepoli per la Rai riporta che il 68% dei ragazzi fra i 18 e i 34 anni ha votato contro la riforma. Mentre in Gran Bretagna e Stati Uniti i Millennials hanno ancora buone possibilità di ottenere uno stile di vita soddisfacente i coetanei italiani, con una disoccupazione che supera il 40%, non vedono un futuro. E, a convertirli, non basta certo un bonus cultura.