Guerra al contante, assalto alla nostra ultima libertà
Vessare il Paese con un’imposizione fiscale da far impallidire lo sceriffo di Nottingham, considerare l’evasione come la causa principale dei nostri problemi economici e poi additare il contante come lo strumento principale dell’evasione è solo moralismo. Non compete allo Stato decidere se i cittadini possano o meno detenere contante
Il Partito Democratico è appena tornato al governo del Paese che subito il governo Conte bis ripropone un vecchio cavallo di battaglia delle sinistre: la “guerra al contante”, al “nobile” fine dichiarato, ça va sans dire, di “contrastare l’evasione fiscale”. L’idea è quella di introdurre nella Legge di Bilancio 2020 degli incentivi volti ad agevolare l’utilizzo di carte di credito e bancomat, metodi di pagamento tracciabili, disincentivando specularmente l’utilizzo del contante, dal prelievo all’utilizzo, al di sopra di certi livelli. Ammesso e non concesso che quest’ultimo punto sia costituzionale, abbiamo l’ennesima conferma che per inventare e imporre nuovi balzelli non occorre particolare intelligenza.
Cui prodest? Al di là dei tecnicismi, per il partito delle tasse il problema è sempre il gettito fiscale ritenuto insufficiente: occorre spremere il più possibile il contribuente, così che la macchina pubblica disponga di ulteriori risorse da spendere. Il taglio alle spese non è neppure preso in considerazione, anzi è certo che la spesa pubblica salirà ancora. A vantaggio di chi e chi paga il conto? Per convincerci ci ricordano sempre: “pagare tutti per pagare meno”. Davvero qualcuno ci crede? È questa la scorciatoia che lorsignori immaginano per uscire dalla crisi?
Vessare il Paese con un’imposizione fiscale da far impallidire lo sceriffo di Nottingham, considerare l’evasione come la causa principale dei nostri problemi economici e finanziari, e poi additare il contante come lo strumento principale dell’evasione è solo moralismo. Accanirsi contro l’evasione fiscale è il solito specchietto per le allodole utilizzato dalla classe politica per non dovere rendere conto di una spesa pubblica enorme: il 50% della ricchezza in Italia è intermediata dallo Stato, da cui discende una pressione fiscale da record mondiale che condanna il Paese ad una stagnazione oramai generazionale. Parlando di evasione poi, oltre alla grande elusione fiscale e agli “evasori totali”, che vanno ovviamente censurati, occorre prendere atto dell’esistenza anche di un’evasione di piccolo cabotaggio praticata per legittima difesa da soggetti che avrebbero come unica alternativa chiudere l’attività e magari fare domanda per accedere al reddito di cittadinanza. È lì che si vuole arrivare colpendo il contante?
Per meglio comprendere il ragionamento di lorsignori, riprendiamo quanto ebbe a dichiarare l’ex ministro Maria Elena Boschi, sottosegretaria PD alla Presidenza del Consiglio, oggi in quota Italia Viva, al convegno “A Cesare quel che è di Cesare”, tenutosi a Milano il 18 settembre 2017. Dopo il solito pistolotto contro l’evasione fiscale e sui presunti successi del Governo e dell’Agenzia delle entrate nel contrastarla, la Boschi affermò: «Dobbiamo porci il problema di come aggredire il contante che è presente nelle case degli italiani». È quindi diventato un reato detenere o prelevare del contante? Denaro lecitamente guadagnato, fino a prova contraria, e già abbondantemente scremato dall'esosità del fisco! Per non parlare del termine utilizzato, "aggredire", indegno di un politico che consideri il proprio ruolo come quello di servitore del bene comune.
"Date a Cesare quel che è di Cesare" è fondativo della legittima autonomia delle realtà temporali ma rischia di venire assolutizzato se non è letto insieme al resto della frase "e date a Dio quel che è di Dio". Non compete davvero allo Stato decidere se i cittadini possano o meno detenere contante, e neppure scoraggiarne l’utilizzo con ulteriori tassazioni nel prelievo o nell’utilizzo del medesimo. Una pretesa moralistica e pure inefficace, perché i piccoli evasori non cesserebbero comunque di evadere anche imponendo un costo sull’uso del contante; inoltre i grandi evasori e gli elusori fiscali non si servono certamente dell’argent de poche. Per chi invece ha pagato le imposte e le tasse fino all’ultimo centesimo si tratterebbe dell’ennesimo, ingiustificato balzello.
Oltre che moralistico e inefficace, l’idea di tassare il contante rivela anche un atteggiamento autoritario e liberticida, da Stato-padrone. Ricordiamo poi che il contante è abbondantemente usato dalle persone più anziane oltre che dalle fasce più deboli della popolazione, poco avvezze, chissà perché, a saldare le proprie spese quotidiane con la American Express Platinum. Per di più, tutte le transazioni elettroniche, per quanto comodissime e utilizzate con frequenza crescente da tutti noi, consentono ai gestori dei dati di acquisire un’enorme mole di informazioni sui pattern di consumo di milioni di consumatori: i famosi big data, sempre più utilizzati per profilare e segmentare i clienti per un marketing più personalizzato ed efficace, ovviamente a scapito della privacy. Se l’infausto provvedimento dovesse malauguratamente andare in porto rappresenterebbe un’ulteriore offesa alla dignità degli italiani, oltre a rivelarsi assolutamente inefficace per contrastare l’evasione fiscale. Il contante va quindi difeso come un importante presidio di libertà, uno degli ultimi. Se si vuole combattere efficacemente l’evasione, si inizi invece a ridurre l’interventismo dello Stato nella vita sociale ed economica del Paese, a tagliare anziché incrementare ancora la spesa pubblica per potere quindi iniziare a ridurre sensibilmente la pressione fiscale per farla tornare su livelli accettabili.
Tasse sì, ma tasse giuste: “pagare meno per pagare tutti”, come accade in Svizzera. Senza inventarsi sciocchezze come la guerra al contante. Ma, si sa, per questa classe politica l'importante è fare cassa e gestire il potere. La crescita del Paese può attendere.