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AMNISTIA

Guai a chi osa contestare Napolitano

Matteo Renzi critica il presidente Napolitano sulla proposta dell'amnistia e viene fulminato dai suoi stessi compagni di partito. Il Capo di Stato è intoccabile. Ma da un po' di anni sta intervenendo sempre più nella politica. È conforme alla Costituzione?

Politica 15_10_2013
Giorgio Napolitano

L’ultima polemica innescata dall’aspirante segretario del Pd, Matteo Renzi a proposito del messaggio del Capo dello Stato alle Camere sul tema dell’emergenza carceraria si presta a considerazioni che vanno al di là del puro dato di cronaca.

Il sindaco di Firenze, incalzato dai suoi stessi colleghi di partito, ha in parte rettificato le sue affermazioni, chiarendo che non ce l’aveva con Napolitano. Intendeva, semplicemente, criticare il modo in cui era stata posta la questione delle carceri e, quella ad essa correlata, dei provvedimenti di clemenza (amnistia e indulto). Questa parziale marcia indietro non ha impedito che il premier Letta e alcuni ministri tuonassero contro Renzi, richiamandolo a leggere meglio le dodici pagine di messaggio del Presidente della Repubblica e accusandolo di fare soltanto propaganda elettorale, in vista del congresso Pd. Probabilmente, infatti, il rottamatore voleva rivolgersi alla pancia del suo elettorato, che non gradisce affatto il governo di larghe intese ed è restio a colpi di spugna che possano anche lontanamente alleggerire la posizione giudiziaria di Silvio Berlusconi.

E se il ministro della giustizia, Cancellieri aveva escluso che amnistia e indulto potessero applicarsi anche al leader del centro-destra, ieri il ministro delle riforme istituzionali, Quagliariello ha puntualizzato che da decisioni del genere non possono essere esclusi a priori alcuni cittadini e quindi neppure il Cavaliere. La sua affermazione non ha mancato di sollevare un autentico vespaio, considerato che l’ala più giustizialista del Pd non intende in alcun modo includere i reati fiscali tra quelli coperti da provvedimenti di clemenza.

Indipendentemente, però, dalla praticabilità di soluzioni come quelle suggerite da Napolitano al Parlamento, al fine di decongestionare un sistema carcerario prossimo al collasso, resta un nodo da sciogliere: quello degli spazi di manovra che, soprattutto nelle ultime settimane, il Capo dello Stato si sta ritagliando sulla scena politica.

È vero che la Costituzione gli assegna il potere di rivolgere messaggi alle Camere. È la prima volta che Napolitano ricorre a questo strumento, il che conferisce alle sue parole in materia di carceri, amnistia e indulto una particolare solennità. E fa specie che molti quotidiani vicini alla sinistra, che hanno per mesi ignorato i referendum radicali su questi temi solo perché appoggiati dal centro-destra, ora scoprano l’emergenza carceraria e l’esigenza inderogabile di garantire condizioni dignitose ai detenuti. Questo traguardo si può conseguire sia rendendo funzionali e agibili le carceri attualmente inutilizzate, sia con provvedimenti di amnistia (causa di estinzione del reato) e indulto (causa di estinzione della pena). Va da sé che sarà il Parlamento sovrano a delimitare i confini di quei provvedimenti.

Anche il predecessore di Napolitano, Carlo Azeglio Ciampi ha utilizzato soltanto una volta lo strumento del messaggio alle Camere, nel luglio 2002, invocando una legge di sistema in materia di pluralismo dei media che recepisse le sentenze della Corte Costituzionale e il pacchetto di direttive europee sulle comunicazioni elettroniche del 2001 e 2002. E, in risposta a quelle parole dell’ex Presidente della Repubblica, fu emanata la legge Gasparri, che venne almeno in parte incontro alle sue sollecitazioni.

Ma nel suo settennato Ciampi si attenne più scrupolosamente di Napolitano al ruolo notarile assegnatogli dalla Costituzione, evitando di entrare a gamba tesa, come invece ha fatto negli ultimi mesi l’attuale Presidente, nella dialettica politica. Il Napolitano scrupoloso e attento osservatore delle dinamiche governative e arbitro super partes sembra aver lasciato il posto ad un Napolitano più giocatore in campo e meno mediatore. È vero che le forze politiche lo hanno quasi supplicato di rimanere al suo posto poiché incapaci di nominare un suo successore. Ma ciò non lo legittima a “strappare” dalla Costituzione e a inaugurare uno stile di condotta più adatto ad una Repubblica semipresidenziale che a una Repubblica parlamentare come la nostra.

L’attuale inquilino del Quirinale ha difeso fin dall’inizio e difende senza reticenze l’attuale governo di larghe intese e non perde occasione per bacchettare quanti lo osteggiano, quasi fosse lui il premier. Di fronte alle turbolenze di settori irrequieti del Pdl e di correnti filogovernative del Pd, ha energicamente difeso l’azione dell’esecutivo, intimando a tutti di non far cadere Letta e minacciando, neppure troppo velatamente, di dimettersi qualora le forze antigovernative avessero avuto il sopravvento.

Quando i grillini, in modo un po’ goffo e scomposto, hanno insinuato che il suo messaggio su amnistia e indulto potesse in qualche modo aprire la strada a provvedimenti di clemenza in favore di Silvio Berlusconi, ha risposto in modo assai stizzito, quasi da capo partito o da demiurgo del confronto politico.

Ci permettiamo di commentare che si tratta di un interventismo un po’ “borderline”, non conforme al dettato della Costituzione e non in linea con il ruolo che la Carta gli assegna. È vero, come sostiene Renzi, che le parole del Capo dello Stato possono anche essere criticate, ma un Presidente che ogni giorno o quasi interviene nelle vicende politiche dicendo la sua e orientando il dibattito in una certa direzione, forse non è esattamente quello che avevano in mente i Padri Costituenti. E ricorda un po’, toni a parte, l’ultimo periodo del settennato di Cossiga, non a caso ricordato come “il Picconatore”.