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la debacle

Grillini allo sbando e pronti a rinnegare sé stessi

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In casa Cinque Stelle è guerra di tutti contro tutti. Beppe Grillo è dovuto tornare in fretta e furia a occuparsi della sua moribonda creatura. E ora sono pronti a rimangiarsi il vincolo del secondo mandato. 

Politica 19_06_2024

Se lo dice lui, che l’ha fondato, bisogna credergli. Beppe Grillo, dopo la debacle elettorale del Movimento Cinque Stelle, è stato chiarissimo: «Il Movimento si è vaporizzato». Inoltre, affinchè l’amara verità non risultasse vaga, ha fatto nome e cognome del responsabile della disfatta: «Ha preso più voti Berlusconi da morto che Giuseppe Conte da vivo», come a dire che per pochi decimali Forza Italia non ha superato i Cinque Stelle nelle urne dell’8 e 9 giugno.

La filippica dell’ex comico non è la sola. Ci sono tanti mugugni nel Movimento, tenuti sotto silenzio fino alle europee e ora esplosi in maniera incontrollata. All’indomani della disfatta alle europee era stato Davide Casaleggio ad inaugurare il festival delle accuse all’"avvocato del popolo”, con parole a dir poco velenose pronunciate in una accalorata intervista sul Corriere della Sera: «Alle politiche il Movimento ha perso sei milioni di voti, alle europee altri due». E sulla possibile sostituzione di Conte ha aggiunto: «Questo lo dovrebbero decidere gli iscritti nella libertà di candidarsi e di avere una libera scelta, cosa che non è stata permessa la scorsa volta». E ha rincarato la dose sulle cause del tracollo grillino: «Sostituzione della partecipazione con le decisioni dall’alto, della centralità del programma con quella del leader, dei principi con i sondaggi». Casaleggio ha bocciato anche l’alleanza con il Pd e ha chiarito che non si tratta di leadership ma di problema di identità di «una creatura che attirava gli astensionisti a partecipare» e che oggi «si è trasformata profondamente e ha allontanato milioni di elettori che hanno deciso di stare a casa o di votare qualche altro partito».

Anche Grillo ritiene che l’alleanza con i Dem sia stato un errore. Peraltro i dati gli danno ragione. Accadde la stessa cosa in occasione del governo Conte 1, quando i voti grillini si travasarono nel serbatoio leghista e infatti Salvini alle europee del 2019, dopo un anno di governo con i grillini, tolse a questi ultimi la metà dei voti e arrivò al 35%. Di fatto i pentastellati restano un partito di lotta e protesta e non appena vanno al governo si indeboliscono perché la gente che li ha votati con sentimento di rabbia non li vota più. A meno che non riescano, come accaduto per un certo lasso di tempo, ad alimentare le loro clientele elettorali con sussidi improduttivi come il reddito di cittadinanza o il superbonus 110%, provvedimenti sciagurati che hanno messo ulteriormente in ginocchio l’economia del Paese, contribuendo a impoverirlo.

La resa dei conti interni al Movimento si sviluppa ora su tre piani. Anzitutto sulla capacità di Conte di resistere agli attacchi e di rimanere al suo posto; nelle ore immediatamente successive al voto europeo ha fatto trapelare la sua disponibilità a farsi da parte, ma si trattava di una mossa tattica per sondare il terreno. In un’intervista al Fatto Quotidiano, nei giorni scorsi, Conte ha ammesso la sconfitta ma ha scaricato le colpe sull’appoggio grillino al governo Draghi, argomentazione fragile visto che sono già passati due anni dalla caduta di quell’esecutivo. Il secondo piano è quello delle possibili alternative. E si lega al terzo piano che è quello del limite dei due mandati.

In altre parole, Virginia Raggi, ex sindaco di Roma, e Chiara Appendino, già sindaco di Torino e ora parlamentare, non sarebbero in linea teorica spendibili per ulteriori incarichi elettivi. La Raggi ha già svolto due mandati (come consigliere comunale e come sindaco della Capitale) e la Appendino anche (prima sindaco, ora deputato). Eppure entrambe scalpiterebbero per ereditare la poltrona di Conte e provare a risollevare il Movimento. Peraltro la Appendino proprio in questi giorni ha appreso che dovrà sottoporsi a un nuovo processo d’appello per i fatti di piazza san Carlo a Torino, quindi rimane sulla graticola giudiziaria. Questo crea molto imbarazzo in casa grillina visto che il giustizialismo è stata una delle armi che i pentastellati hanno utilizzato per anni come slogan elettorale per raccogliere voti. Anche su questo punto, quindi, così come sul vincolo dei due mandati, potrebbero essere costretti a fare marcia indietro e a rimangiarsi gli impegni presi con gli elettori.

C’è infine uno scenario alternativo un po' stravagante ma non del tutto irrealistico: Alessandro Di Battista, allontanatosi dal Movimento negli ultimi anni, potrebbe essere il prescelto per tentare di rianimare la base, alquanto sconcertata, e di avviare una rinascita pentastellata, considerato anche il fatto che da deputato Di Battista fece un solo mandato. Quindi per lui non scatterebbe la tagliola dell’incandidabilità.

In ogni caso per ora in casa grillina è guerra di tutti contro tutti e gli esiti di queste lotte intestine appaiono davvero incerti. Non a caso Beppe Grillo è dovuto tornare in fretta e furia a occuparsi della sua moribonda creatura.