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CRISTIANI PERSEGUITATI

Grazie a Myriam Ci dice perché val la pena vivere

«Avevamo una casa dove ci trovavamo a giocare, e qui non c’è. Ma grazie a Dio, Dio si preoccupa di noi». Miryam, ragazzina di 10 anni di Qaraqoush, nel nord dell'Iraq da cui sono fuggiti decine di migliaia di cristiani iracheni, ora vive in un campo profughi dopo che la sua terra è stata devastata dai jihadisti del Califfato.

Editoriali 26_05_2015
Myriam, la bambina di Qaraqoush

«Avevamo una casa dove ci trovavamo a giocare, e qui non c’è. Ma grazie a Dio, Dio si preoccupa di noi». Miryam, una ragazzina di 10 anni originaria di Qaraqoush, villaggio nel nord dell'Iraq da cui sono fuggiti decine di migliaia di cristiani iracheni, ora vive in un campo profughi dopo che la sua terra è stata assalita e devastata dai jihadisti del Califfato. In un video viene intervistata da un giornalista della Tv satellitare cristiana Sat7 che opera in Medio Oriente.  Racconta della mamma, dell’amica e parla dell’amore di Dio: «Sono molto triste perché ci hanno costretto a lasciare la nostra casa. Ma Dio ci ama e non ha permesso che l'Isis ci uccidesse».  La sua testimonianza, di una bellezza immensa, avvolge il cuore. Alla fine il giornalista la invita a fare un canto. Myriam canta: «Che gioia il giorno in cui ho creduto in Cristo. La mia gioia era completa all’alba e la mia voce cantava di gratitudine; il mio amore per il mio Creatore crescerà di giorno in giorno…». 

É sorprendente per noi ascoltare questa ragazzina quasi alla vigilia della celebrazione del Sacramento della Cresima, ragazzi e genitori e padrini insieme, in un silenzio sorpreso e attento. Al di là di tante accorate esortazioni e dei buoni propositi della vigilia, resteranno impressi il sorriso e la voce di questa bambina, paragone cocente dentro la nostra anima per il presente e per il futuro. Rimarrà come giudizio e come misericordia, come possibilità di ripresa dentro le stanchezze e le incoerenze che ci afflosciano l’anima. È accaduto quando abbiamo riconosciuto il sussurro dei cristiani copti decapitati sulla riva del mare, che consegnavano la vita a Cristo; davanti alla foto dell’altra bambina inginocchiata ai piedi dell’altare diroccato, o a quella del cristiano che accarezza il mosaico con il volto nuovamente insanguinato di Gesù. La storia che viviamo è il luogo in cui la Sindone del Cristo morto e risorto diventa viva di carne e di sangue, palpita di bellezza e amore. 

Per che cosa vale la pena vivere? Lo percepiamo quasi dal vivo nella Veglia di Pentecoste in Cattedrale attraverso il racconto delle testimonianze dei nostri fratelli martiri: profughi dalla Siria e da Mosul, studenti del Kenia, cristiani di Aleppo e dell’Iraq.  Le parole che scandiscono le storie dei testimoni e martiri della fede, diventano una Eucaristia nella quale lo Spirito Santo glorifica il nome di Cristo e porta a compimento quello che manca alla sua passione. La fede cristiana è vita e speranza anche nella tribolazione, è gioia appassionata di essere di Cristo, e addirittura di essere Cristo che muore e risorge. Vale la pena vivere per Uno per il quale vale la pena morire.