Grande alleanza contro l'Isis? I conti che non tornano
Isis, la soluzione della Nato è quella dei bombardamenti aerei e dell'appoggio a forze locali. Quali? Curdi, governo iracheno (sciita) e opposizione moderata siriana. Peccato che siano nemici fra loro. Senza una soluzione del conflitto siriano non c'è possibilità di abbattere il Califfato in Iraq.
«Dare vita a una coalizione internazionale per sconfiggere l'Isis». È il mantra del momento della politica internazionale; e in sé - ovviamente - sarebbe la strada più sensata. Peccato - però - che ci siano alcuni conti che non tornano. Al vertice Nato tenutosi nei giorni scorsi in Galles Barack Obama ha raccolto l'adesione di dieci Paesi occidentali, tra cui l'Italia. E gli Stati Uniti si apprestano a portare la questione al Consiglio di sicurezza dell'Onu in una sessione che dovrebbe tenersi durante l'Assemblea generale delle Nazioni Unite, in programma a New York a partire dal 16 settembre.
Nella linea adottata a Newport - però - è indicata una linea rossa ben precisa: nessun soldato dei dieci Paesi metterà piede in Iraq. Dunque sul tavolo in questo momento ci sono il supporto aereo (che in parole povere vuol dire bombardamenti), forniture militari, azioni contro il reclutamento nelle fila dell'Isis di miliziani stranieri e misure per fermare le vendite sottobanco di petrolio proveniente dai giacimenti oggi controllati dallo Stato islamico. Appare del tutto evidente che questa - più che una forza internazionale in sé - è un'alleanza con qualcun altro che sul terreno dovrebbe avere il ruolo principale nella lotta al movimento fondamentalista. E di chi si tratta?
Il punto di riferimento principale indicato è il nuovo governo iracheno di Haider al Abadi - di cui si parla dall'uscita di scena di Nouri al Maliki, ma che dopo ormai un mese non è comunque ancora nato; il famoso nuovo governo iracheno che dovrebbe avere tra le sue fila anche una rappresentanza sunnita. Poi ci sono ovviamente i curdi, che gli americani stanno già sostenendo con i raid aerei e altri Paesi (tra cui noi) con rifornimenti di armi. E la Siria? A questa domanda Obama a Newport ha risposto escludendo categoricamente ogni collaborazione con l'esercito di Damasco e aggiungendo che le porte della coalizione internazionale sono aperte solo all'«opposizione moderata» ad Assad.
Quindi: esercito iracheno, curdi e ciò che resta del Free Syrian Army. C'è però un piccolo dettaglio non indifferente: sono forze che tra loro si sono combattute aspramente in questi anni tra la Siria e l'Iraq. Come la caduta di Mosul ha dimostrato, intanto, "esercito iracheno" è una definizione pomposa che sta a indicare qualcosa che oggi non esiste. In un Paese in piena bancarotta politica e con un governo di unità nazionale che è ancora una speranza più che una realtà, l'esercito iracheno attualmente sono le milizie sciite. Lo si è visto chiaramente ad Amerli, la località dove i turcomanni sciiti erano assediati dallo Stato islamico. A Newport è stata espressamente citata come la dimostrazione che le milizie di al Baghdadi non sono invincibili. Peccato che a liberarla - con l'appoggio dell'aviazione militare - siano state formazioni che sventolavano la bandiera degli Hezbollah iracheni - la versione locale del gruppo sciita libanese - e inneggiavano come sempre alla vittoria sui sunniti.
Poi ci sono i curdi, che oggi l'Occidente si affretta ad armare in Iraq perché ritenuti l'opzione più affidabile. Eppure accanto ai peshmerga oggi combattono anche le YPG (le Unità di difesa del popolo) che sono la principale milizia dei curdi siriani. E sono lo stesso gruppo contro cui a più riprese il Free Syrian Army - il gruppo su cui fino a ieri lo stesso Occidente ha puntato tutto - ha rivolto le proprie armi, accusandoli di essersi alleati con Assad.
Con ruggini del genere alle spalle questa storia della «coalizione internazionale» assomiglia in maniera preoccupante al gioco delle tre carte: si mescolano tra loro gli ingredienti che hanno portato alla nascita dello Stato islamico, sperando che una nuova combinazione basti a mettere a posto la situazione.
Il punto vero è che non si può pensare di costruire una coalizione internazionale che combatta davvero l'Isis senza porsi contestualmente l'obiettivo di porre fine alla carneficina in Siria. Serve una soluzione politica che offra una via d'uscita onorevole per tutte le parti coinvolte in quel conflitto. Altrimenti continuare da una parte a dire che Assad è parte del problema, e poi puntare sui suoi alleati (o su forze che comunque non gli sono pregiudizialmente così ostili) per togliere le castagne dal fuoco in Iraq è quantomeno schizofrenico.
Lo Stato islamico oggi sta concentrando la sua potenza militare molto più sulla Siria che sull'Iraq: da giorni tenta di sfondare le linee di difesa dell'esercito siriano per conquistare l'aeroporto di Deir Ezzor. E le sue bandiere nere sventolano a pochi chilometri da Aleppo. Questo è un problema oppure no per la comunità internazionale? E come ha intenzione di affrontarlo? Finché non saprà dare una risposta a questa domanda, l'Occidente potrà solo illudersi di ipnotizzare lo Stato islamico con il gioco delle tre carte. Un po' poco per chi nei proclami dichiara di volerlo annientare.