Governo nella palude, ma non cadrà comunque
Sulla riforma del Parlamento voluta dai grillini dovrà decidere un voto referendario. E quindi i parlamentari resteranno nel loro numero attuale. Anche sulla riforma proposta dalla Lega (maggioritario puro) si attende la Consulta. E intanto i giallo-rossi propongono la contro-riforma (proporzionale puro). Su tutto il resto si litiga. Il governo è nella palude. Ma non cadrà.
Legge elettorale, referendum elettorali, elezioni regionali, processo a Salvini, si gioca tutto in due settimane, da qui al 26 gennaio (data del voto in Emilia-Romagna e Calabria) ‘la partita tra i partiti’ sul futuro assetto dei poteri in questa fase tormentata della vita della legislatura.
Andiamo con ordine. La legge elettorale sembrava cosa fatta dopo la vittoria dei 5Stelle che avevano imposto al Parlamento, e a tutti i partiti compresi quelli a parole contrari, di votare il taglio di 345 parlamentari senza alcun correttivo, neppure quelli formalmente necessari per un equilibrio della legge. Ma un gruppo di senatori di diversi partiti (compresi dunque parecchi che la riforma l’avevano votata), ha cominciato la raccolta delle 64 firme necessarie a far indire un referendum popolare che confermi o meno la legge. E ieri 71 firme sono state depositate in Cassazione, e dunque il referendum si terrà. Nessuno al mondo ha dubbi sull’esito del referendum, che fallirà perchè nessun partito farà propaganda per il NO alla legge avendo votato SÌ in Parlamento, e perchè l’opinione pubblica è larghissimamente anticasta. E allora perchè questa mossa?
Perchè a questo punto il taglio dei parlamentari non è in vigore, andrà in vigore solo dopo il referendum (tra aprile e giugno) e dunque se si rendessero necessarie o convenienti in questi mesi elezioni anticipate, esse si svolgerebbero per eleggere il vecchio numero di 945 parlamentari e non il nuovo di 600. E qualche partito della maggioranza, specie i più piccoli, potrebbe avere l’interesse di andare al voto subito per eleggere una pattuglia più nutrita di suoi parlamentari piuttosto che sottostare alla mannaia prossima ventura. Il voto anticipato è anche la speranza di chi, come la Lega e Forza Italia, ha fornito in extremis le firme mancanti per raggiungere le 64, ma è anche la porta che si sono tenuti aperti i senatori di Iv e Leu che pure hanno firmato.
Poi c’è il referendum chiesto dalla Lega, attraverso il voto di otto Consigli regionali, per eliminare la parte proporzionale della legge elettorale in vigore e trasformarla in una integralmente maggioritaria. Sull’ammissibilità di questo referendum si pronuncerà la Corte Costituzionale il 15 gennaio. Se dicesse sì sarebbero dunque due i referendum elettorali da tenersi a primavera. Per battere un colpo in questa complessa situazione, la maggioranza rossogialla, con una riserva di Leu, ha presentato una proposta di legge stile 1ª Repubblica, integralmente proporzionale, con uno sbarramento del 5%.
Nel centrodestra invece un accordo ancora non c’è, anzi, pure all’interno dei singoli partiti è aperto un certo dibattito. Ma a breve avranno l’obbligo di cercare una non facile convergenza, non potendo presentarsi divisi quando inizierà il vero dibattito. Anche sul processo a Salvini per la vicenda della nave Gregoretti si intrecciano tattiche e strategie. I rossogialli hanno già dichiarato che voteranno compatti per l’incriminazione dell’ex Ministro dell’Interno, ma chiedono che il voto in commissione non si tenga il 20 gennaio, come da regolamento, ma sia rinviato a dopo le elezioni regionali del 26/1. Temono infatti che la sicura incriminazione porti un vantaggio elettorale a Salvini nelle regionali. Il dibattito, o se preferite, la rissa, è aperta.
Nel frattempo siamo in una situazione di stallo. Conte non si è ancora ripreso dalla figuraccia europea sulla Libia e non basterà per uscirne l’incontro programmato con Al Sarraji; la tanto strombazzata riunione dei giallorossi per lanciare un programma shock di riforme per tre anni è scomparsa dai radar; per diversi decreti legge stanno scadendo i tempi di approvazione, e la presidente Casellati ha lanciato l’allarme; ogni giorno parlamentari 5Stelle vengono espulsi o abbandonano il gruppo. Ma nulla cambia, anche gli espulsi giurano fedeltà al governo, la paura di perdere la poltrona è troppo forte.
Siamo alla palude. Ma il governo resta in piedi. Siamo alla palude, e anche chi si aspetta la scossa dalle elezioni regionali rimarrà deluso, come andiamo ripetendo da tempo. Al più, se la sconfitta dei 5Stelle sarà catastrofica, ne pagherà le conseguenze Di Maio. Infine, per pura informazione, i bookmakers danno oggi apertissima la sfida in Emilia, già risolta a favore del centrodestra quella in Calabria.