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CONTE VIOLA LA CARTA?

Governo fuori controllo, l'emergenza è incostituzionale

La proroga dello stato di emergenza si è fondata non su una condizione attuale, ma su una previsione, tutta da dimostrare, che il virus riacquisti la sua forza nel prossimo autunno. Siamo nel campo del futuribile. Manca il presupposto giuridico della proroga anche perché per la Costituzione l'emergenza deve essere a tempo e l'unico articolo che la giustifichi è quello dello stato di guerra. I padri costituenti diffidavano dell’uomo solo al comando senza controllo. È toccato al governo più di Sinistra mai avuto. 

Politica 02_08_2020

Il Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, Giuseppe Conte, ha prorogato lo stato di emergenza ai sensi dell’art. 24 del Codice della Protezione Civile, fino al 15 ottobre 2020. L’atto ha richiesto un’apposita deliberazione della componente collegiale del Governo al fine di «tenere sotto controllo l’agente patogeno». In questo modo, però, la proroga si è fondata non su una condizione attuale, ma su una previsione, tutta da dimostrare, che il virus riacquisti la sua forza nel prossimo autunno. Siamo nel campo del futuribile. E giacchè non possiamo razionalmente attribuire al Presidente del Consiglio doti divinatorie dobbiamo affermare con chiarezza che manca il presupposto giuridico della proroga.

Non è sufficiente, infatti, la mera preoccupazione o l’ipotetico pronostico di una recrudescenza della pandemia ma occorre che vi sia una condizione attuale e concreta di emergenza. Posto che, quindi, dal punto di vista epidemico non siamo in una condizione di eccezionale pericolo, c’è qualcosa che non torna nel ragionamento del governo. Lo stato di emergenza si può dichiarare in qualunque momento qualora ne sussistessero i presupposti. È sufficiente riunire il Consiglio dei Ministri e deliberare in proposito con tempi celerrimi.

Allora, sorge spontanea una domanda: «Perché voler prorogare a tutti i costi uno stato d’emergenza che non c’è più, invece di aspettare il momento in cui – Dio non voglia – ci fosse un vero stato d’emergenza da dichiarare?».

Il punto è che la situazione in cui si trova attualmente il nostro Paese può essere perfettamente gestita dalle istituzioni attraverso gli strumenti normativi ordinari. Ed è assolutamente pericoloso continuare ad utilizzare strumenti straordinari quando non ne sussistano le condizioni. Si rischia di confondere l’urgenza con l’emergenza e di operare fuori dai fisiologici parametri del controllo. Lo stesso citato art. 24 del Codice di Protezione Civile invocato da Conte, prevede espressamente, al quinto comma, l’assenza di qualunque controllo preventivo di legittimità sul provvedimento deliberativo.

Né si possono considerare “controllo preventivo” le mozioni (non vincolanti sotto il profilo giuridico) approvate dal Senato della Repubblica e dalla Camera dei Deputati, che hanno avuto come solo scopo quello di dare una parvenza di democraticità alla vicenda. In realtà, proprio la mancanza di valutazione sulla deliberazione del Consiglio dei Ministri attribuisce allo stesso un potere ampiamente e pericolosamente discrezionale. Tra l’altro, come autorevolmente ha fatto notare Sabino Cassesse, l’eccessiva concentrazione di poteri nella persona del Presidente del Consiglio non assume solo un rilievo preoccupante dal punto di vista del tasso di democraticità dei processi decisionali, ma crea anche “colli di bottiglia” e inutili rallentamenti. I famigerati DPCM emessi da Conte senza il vaglio preventivo del Parlamento si sono dimostrati tutto fuorchè provvedimenti tempestivi ed efficaci.

Occorre, inoltre, ricordare che in una prospettiva specificamente costituzionale, la prassi delle emergenze prorogate, come quelle in materia sanitaria, determina un impatto non solo sul sistema delle fonti del diritto, stante la deroga prolungata a interi corpi normativi ad opera dei vari provvedimenti (DPCM, Ordinanze del Capo Dipartimento della Protezione Civile, Ordinanze dei Presidenti delle Giunte regionali), ma anche sulla stessa forma di Governo, facendone venir meno la sua struttura «policentrica» delineata nella Costituzione repubblicana vigente.

Il rischio reale è quello di un processo di graduale assuefazione che arrivi a far ritenere fisiologico il fatto di governare attraverso strumenti straordinari. Quando il diritto eccezionale diventa regola non solo saltano i delicati equilibri di checks and balances, ma si creano anche ripercussioni negative a livello politico, istituzionale, sociale, culturale, e persino economico.

Per questo occorre sempre guardare con estremo sospetto le situazioni d’eccezione, di deroga, di crisi. L’uso dell’emergenza, è bene non dimenticarlo, è per definizione «eccezionale e a tempo». L’Esecutivo, invece, sta legittimando un vero e proprio diritto parallelo e alternativo rispetto a quello esistente. La stessa «parlamentarizzazione» dei DPCM, ossia la prassi di illustrare preventivamente alle Camere, da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri o di un Ministro da lui delegato, il contenuto dei decreti presidenziali al fine di tenere conto degli eventuali indirizzi dalle stesse formulati, appare poco convincente, in quanto non solo allunga i tempi, ma costituisce un iter certamente non  idoneo a restituire centralità all’organo costituzionale titolare della funzione legislativa, confermando semmai quel passaggio silente della forma di governo da parlamentare a «governamentale», nonché la dubbia costituzionalità dei decreti-legge «ad efficacia differita».

Non dimentichiamo, poi, che la nostra Costituzione, a differenza di altre, disciplina quale unica situazione emergenziale solo lo stato di guerra (art. 78 Cost.), che deve essere dichiarato dalle Camere, le quali conferiscono al Governo della Repubblica non tutti i poteri, ma solo quelli «necessari».

Non è certamente un caso, infatti, che la nostra Costituzione Italiana, fuori da quello citato della dichiarazione di guerra, non preveda altre situazioni di emergenza, che sono, invece, espressamente contemplate da altre Costituzioni. Basti pensare, per esempio, all’art. 48 della Costituzione di Weimar, all’art. 116 della Costituzione spagnola, all’art. 48 della Costituzione ungherese, all’art. 19 della Costituzione portoghese e all’art. 16 della Costituzione francese. Si tratta di una scelta consapevole e ponderata compiuta dai padri costituenti.

In realtà, fu avanzata una proposta, in sede di Assemblea costituente, che prevedeva lo stato di emergenza all’art. 78 Cost., per disciplinare situazioni che richiedessero misure eccezionali in situazioni diverse da eventi bellici. Tuttavia, la proposta venne cassata dal testo finale della Carta costituzionale per diverse ragioni, tra cui la più importante fu quella di evitare un pericoloso vulnus all’ordinamento costituzionale democratico, mediante la compressione dei diritti fondamentali e quindi l’alterazione dell’assetto dei poteri.

I padri costituenti diffidavano dell’«uomo solo al comando» con pieni poteri, strumenti normativi straordinari e senza alcun controllo. Ed è davvero singolare il fatto che ad incarnare questo timore di un rischio totalitario paventato dai costituenti, oggi sia proprio un Presidente del Consiglio a capo della coalizione politica più di sinistra che abbia governato il nostro Paese, e sostenuto dal Partito Democratico, erede – seppur spurio – del Partito Comunista Italiano. Scherzi della Storia.

E sì, fu proprio una scelta deliberata quella di non inserire nella Costituzione italiana clausole di sospensione dei diritti fondamentali da attivarsi in casi di emergenza, o disposizioni che consentissero l’alterazione dell’assetto dei poteri. C’è da chiedersi dove siano finiti tutti coloro che negli anni passati si stracciavano le vesti ogni volta che ritenevano violata la «Costituzione più bella del mondo», ora che di tale testo si sta facendo carne da porco con una disinvoltura che ha dell’incredibile. E con un accentramento di poteri nelle mani di un solo soggetto istituzionale – il Presidente del Consiglio dei Ministri – che non ha precedenti nella storia repubblicana.

Ha scritto recentemente il prof. Gaetano Azzariti: «Quando qualcuno (Silla prima, Cesare poi) ha pensato di estendere lo stato di emergenza e si fece confermare oltre il tempo i pieni poteri, ecco che la dittatura da «commissaria» si fece «sovrana», e la Repubblica capitolò. Se ne ricordino le Vestali della «Costituzione più bella del mondo».

*Avv. Gianfranco Amato – Presidente dei Giuristi per la Vita
Prof. Daniele Trabucco – Docente di diritto costituzionale