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IL CASO DI MONZA

Gogna e falso vittimismo gay in prima pagina

Smentiti Repubblica & co sullo studente rifiutato dalla scuola cattolica perché gay: il giovane voleva iscriversi contro la volontà dei genitori, perché si trovava bene. Ma da una vicenda burocratica si è montato l'ennesimo caso-gogna per la battaglia dei diritti in un mondo omofobo che non esiste. Intanto si sono rivelate l'identità di un minore e le sue tendenze sessuali. Sicuri di avere fatto il suo bene?

 

- SETTE MINUTI AL FAMILY DAY, UN'ORA D'AMORE AGLI LGBT di Marco Guerra 

Educazione 23_09_2016
Le locandine a Monza dedicate alla vicenda del giovane

Il ragazzo rifiutato da scuola perché gay? Era una bufala. Il preside omofobo? Falso. La scuola un lager per omosessuali? Panzane. Sono bastate appena 24 ore per sbugiardare la pattuglia dei corifei della gendercrazia sull’ennesimo caso montato ad hoc di discriminazione a scuola nei confronti di un ragazzino dalle tendenze omosessuali.

A Monza si è fermata nei giorni scorsi la carovana della “buoncostume gay friendly” che ha fatto tappa con il solito profluvio di paginate di giornale su una vicenda che meritava ben altre cautele in un’ottica educativa e umana. Ma che importa: se l’obiettivo è quello di raccontare un mondo di omofobi orchi e di gay vittime del sistema, guarda caso sempre cattolico, possiamo dire che Repubblica & co hanno aggiunto un altro importante tassello alla creazione del genere letterario.

Ha tutta l’aria di essere una strategia mediatica che si serve del clamore e dell’indignazione popolare. Una strategia che, guarda caso, parte sempre dagli stessi lanciafiamme.

Monza: la mamma di un ragazzino frequentante l’istituto professionale Ecfop di Monza, ente di formazione di ispirazione cattolica e collegato alla vicina parrocchia di San Biagio, bussa alle porte di Repubblica: “L’iscrizione alla classe terza di mio figlio è stata rifiutata perché è omosessuale”. Guarda caso è la stessa mamma che un anno prima lamentò sempre sulle colonne dello stesso giornale che il giovane era stato messo in punizione in corridoio per lo stesso motivo e aveva fatto scoppiare un pandemonio. Si seppe allora che in realtà il ragazzo, seguito dai servizi sociali e dunque bisognoso di attenzioni educative e formative particolari, come richiesto dagli stessi genitori, aveva dato scandalo diffondendo sul suo profilo Instagram alcune foto che lo vedevano in atteggiamento pornografico con altri uomini. Il direttore dell’Istituto decise così di allontanare il ragazzo dalla classe per tutelare lui e gli altri allievi e permettergli di essere affiancato da un tutor che lo seguisse meglio.

La cosa finì lì, ma non finì il risentimento della madre che per tutta la restante parte dell’anno scolastico annunciò più volte che non avrebbe riscritto il figlio a quella scuola per l’anno seguente. Ognuno decide liberamente, ci mancherebbe.

Ma il secondo tempo, che ha tutta l’aria di essere una vendetta per un’attenzione educativa che non sembra essere stata colta, è andato in scena in questi giorni. Il ragazzo non è stato iscritto alla classe terza. Per forza: “Nessuno l’ha fatto, hanno replicato più volte dall’istituto”. “No, perché è omosessuale e il direttore scolastico si è vendicato di quell’episodio”, ha denunciato la mamma.

Così è partito il can can mediatico con Repubblica e gli altri quotidiani lancia in resta. Un canovaccio ormai sperimentato recentemente anche in occasione della foto-bufala del bimbo che si oppone alla marcha por la familia messicana per difendere l’onore dello zio gay: una vittima gay o dalle tendenze omosessuali, poco importa se accertato, meglio, molto meglio se giovane o addirittura minorenne perché è più facile da utilizzare; e ancora: una realtà di estrazione cattolica, una scuola, un prete o famiglie da prendere di mira; una notizia spendibile per una discriminazione presunta, mai dimostrata e soprattutto calunniosa; una bella campagna mediatica per dare dell’untore all’omofobo di turno, che deve essere comunque e sempre cattolico, se no, come si diceva in un vecchio film di Verdone “non mi ci si diverte”. Infine: l’ingresso in campo dell’Arcigay di turno che chiede in virtù non si sa bene di quale potere conferitogli di annientare con il napalm l’orco omofobo in questione.

Sui giornali la verità è uscita quasi subito. Giusto il tempo da parte della scuola di riannodare i fili. In sostanza il ragazzino non era stato iscritto: i genitori avevano mancato le riunioni di classe di fine giugno, e si erano fatti di nebbia in luglio e agosto e alla richiesta della scuola si erano giustificati dicendo che erano impegnati col lavoro; inoltre quando a iscrizioni ormai chiuse e all’inizio della scuola si erano fatti vivi, avevano comunicato che erano contrari all’iscrizione, che invece il ragazzo voleva fare, tanto che fu lui a telefonare in estate alla scuola per avere informazioni sulle modalità di iscrizione.

Ma c’è di più: dato che l’8 settembre si sarebbe dovuto presentare per sostenere la prova di esame per il credito formativo in Economia che gli era stato dato, la scuola ha pensato che la sua assenza fosse dovuta all’intenzione della madre, già palesata più volte, di non riscriverlo. Così l’istituto ha proceduto secondo copione: ha preso atto della cosa e ha assegnato la dote, il bonus regionale con il quale il ragazzo si sosteneva negli studi, ad un altro ragazzo bisognoso.

Pochi giorni dopo l’accusa sui giornali. Ma la verità, uscita da una nota della scuola e dal comunicato del parroco di San Biagio don Marco Oneta, che dell’istituto è anche presidente, è un’altra. “Mi ha molto colpito nella ricostruzione della docente la diversità di posizione tra la madre, contraria all’iscrizione, e il ragazzo, che invece insiste per venire in ECFOP: mi è parsa come la migliore dimostrazione, se mai ce ne fosse stato bisogno, del fatto che, a dispetto del clamore da loro sollevato e della strumentalizzazione che ne era seguita, questo nostro alunno riconosce la bontà del nostro percorso formativo ed educativo, e non si sente per nulla discriminato nella nostra scuola”, ha scritto al direttore della scuola Adriano Corioni. Parole che lo stesso sacerdote ha confermato anche in un colloquio intercorso con la Nuova BQ, il quale ci ha anche confermato che nell’istituto ci sono altri ragazzi con tendenze omosessuali e nessuno li ha mai discriminati.

In effetti come si fa a sostenere che il ragazzino era discriminato se lui, e solo lui in famiglia, desiderava tornare in quella scuola? Forse non era un lager come la stampa lib ci voleva far credere. Forse aveva visto in quel mondo fatto di regole e sacrifici, un’umanità preziosa per la sua vita. Ma ormai la frittata era fatta.

La scuola ha proceduto in deroga ad effettuare l’iscrizione e si farà carico della dote regionale di cui non ha potuto godere. “Ci sta a cuore il destino di questo ragazzo”, ha detto il sacerdote. Confermando che quello che i giornali chiamano rifiuto in realtà era stata una semplice mancata iscrizione. Per colpa di chi? La parrocchia è informata che la madre ora vuole ricorrere ad un legale per analizzare i tabulati telefonici e documentare che in realtà i genitori si erano informati sulle procedure di iscrizione, cosa che una docente ha sempre fermamente negato. Insomma: finirà nelle aule giudiziarie? Chissà.

Intanto, da ieri il giovane è iscritto. Ed è significativo che nel riprendere la notizia, tutti i media, compreso Avvenire che pure nell’articolo riporta fedelmente la posizione della scuola, si lasci scappare un titolo fuorviante dicendo che “lo studente è stato riammesso a scuola”. Ma riammesso lo si dice per chi è stato estromesso, qui siamo di fronte semplicemente ad una mancata iscrizione. Dire riammesso, e tutti i giornali ci sono cascati, significa avvalorare la tesi di una cacciata precedente, più o meno ingiustificata. Che però non c’è mai stata.

Quel che conta qui è che di fronte ad un polverone del genere nessuno si sia accorto del trattamento riservato al giovane. Gli articoli hanno riportato il nome della madre, quindi la sua identità è stata facilmente rintracciabile, così come le sue tendenze sessuali, che anziché essere sbandierate avrebbero meritato una protezione diversa, per rispetto prima di tutto alla sua persona. Invece il povero ragazzo è stato usato ancora una volta da un sistema di informazione spietato che non guarda in faccia a nessuno quando c’è da trovare un nemico per la “buona battaglia" della dittatura gender e per l’affermazione del falso mito dell’omofobia in ambito cattolico.

Battaglia per la quale, siamo certi, nessuno oserà fare appunti. Chissà che cosa ne pensa l’Ordine dei giornalisti del caso dato che un minore è stato coinvolto e reso riconoscibile? Quello stesso Ordine che ieri nella Sala Clementina è stato ricevuto da Papa Francesco, il quale non ha usato mezze misure: "Il giornalismo contribuisca a far crescere la dimensione sociale delle persone, rispettandone la dignità e amando la verità dei fatti".

Ecco, appunto. A proposito di dignità: è stato anche svelato il dato sensibile delle sue tendenze sessuali, per una battaglia che è già stata cassata sotto i colpi delle smentite della scuola. Chi chiederà scusa allo studente per come è stato usato? Forse nessuno, perché la carovana sarà già impegnata alla ricerca di un altro falso scandalo da dare in pasto all’opinione pubblica.