"Giustizia climatica", nuove imposizioni
Con una storica sentenza il Tribunale Amministrativo di Parigi ha condannato lo Stato francese per danni ecologici e ambientali, in quanto non sta rispettando gli impegni di abbattimento delle emissioni di anidride carbonica. Un passo fondamentale nel processo di imposizione di una nuova dittatura ecologista.
Il governo francese è stato condannato da un tribunale amministrativo di Parigi perché non mantiene le promesse sulla riduzione delle emissioni di gas serra. Senza dubbio è una sentenza storica, anche se in Olanda già nel 2019 la Corte Suprema ordinò al governo di tagliare entro il 2020 le emissioni di gas serra del 25% rispetto ai livelli del 1990.
In Francia tutto è nato da una petizione online firmata nel 2018 da 2.3 milioni di persone, che poi si è tradotta in una denuncia presentata nel marzo 2019 da quattro Organizzazioni non governative – Oxfam, Greenpeace, Notre Affaire à Tous, the Nicolas Hulot Foundation – che accusavano il governo francese di non rispettare gli impegni presi in sede di Accordi di Parigi.
Come si ricorderà gli Accordi di Parigi, firmati nel 2015 con la finalità di mantenere l’aumento della temperatura terrestre al di sotto dei 2 °C entro il 2100, impegnano gli Stati a presentare un piano volontario di riduzione delle emissioni di anidride carbonica, da aggiornare ogni cinque anni. La Francia si è impegnata a ridurre del 40% le proprie emissioni entro il 2030 e a raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050. Per raggiungere tale obiettivo dovrebbe diminuire le emissioni dell’1,5% entro il 2025 e successivamente del 3,2%. Ma nel biennio 2018/2019, le emissioni si sono ridotte dello 0,9%. Da qui la protesta delle ONG, che accusano il governo di trascurare la lotta ai cambiamenti climatici nonché di muoversi troppo lentamente nel rinnovare le abitazioni dal punto di vista dell’efficienza energetica e nella transizione verso le energie rinnovabili.
La sentenza del 3 febbraio del Tribunale amministrativo parigino dà ragione alle ONG e condanna lo Stato francese per danni morali ed ecologici. Per il danno ecologico, la Corte ha respinto la richiesta di risarcimento economico a favore delle quattro ONG in quanto rappresentanti della collettività; chiede invece che lo Stato francese, che ha tempo due mesi per rispondere, paghi “in natura” mettendo in atto azioni immediate per raggiungere gli obiettivi fissati. Per i danni morali invece il Tribunale ha riconosciuto il pagamento simbolico di 1 euro alle quattro ONG perché il fallimento dello Stato nel combattere i cambiamenti climatici è «andato a detrimento dell’interesse collettivo».
Hanno certamente ragione le associazioni ambientaliste a cantare vittoria per una sentenza che va nella prospettiva della cosiddetta “giustizia climatica” e promette di fare scuola in tutto l’Occidente. Si tratta di un passo importante verso l’affermazione della dittatura ecologista, che pretende di imporre obiettivi e comportamenti sulla base di asserzioni pseudo-scientifiche, piegando lo Stato di diritto a esigenze ideologiche.
Gli Accordi di Parigi non sono un trattato e quindi il vincolo legale è limitato alla necessità di prendere impegni, il cui contenuto è però libero. Inoltre, anche nel caso dei trattati, sono anzitutto le istanze sovranazionali a verificare il rispetto o meno di quanto firmato e a comminare eventuali sanzioni. Qui invece vediamo all’opera un tribunale nazionale che interviene avocando a sé una materia sulla cui competenza c'è molto da discutere. È un po’ come se un’associazione di consumatori di un paese europeo facesse causa al proprio Stato per il mancato rispetto dei parametri del Patto di stabilità.
Ma la “giustizia climatica” ha fretta, c’è un’emergenza cui fare fronte (vi ricorda qualcosa?) e non si può andare troppo per il sottile. Ci pensano i nuovi Tribunali del popolo – sotto forma di ONG ambientaliste – a individuare e punire i colpevoli. Siamo di fronte a una deriva pericolosa che si salda a quelle sul fronte dell’imposizione dell’ideologia LGBT, della dittatura sanitaria di recente acquisizione e più in generale del politicamente corretto.
E la cosa più drammatica è che siamo certi che prima o poi si alzerà qualcuno a dire che questa “giustizia climatica” è anch’essa Dottrina sociale della Chiesa.