“Giudice toga rossa”. Il caso che può far franare il sistema
Il procuratore di Reggio Emilia sospettato di simpatie Pd dopo le rivelazioni di Palamara e una "denuncia" di 4 pm. Il Csm decide sull'incompatibilità. Dall'inchiesta Angeli & demoni alle perquisizioni ritardate causa elezioni: su Marco Mescolini rischia il sistema di trasmissione tra toghe rosse e politica. Il giallo dell'informativa su 'ndrine e Comune rimasta nel cassetto.
Se la notizia non occupa le prime pagine dei giornali è perché uno dei tentacoli di quel sistema illustrato da Luca Palamara ad Alessandro Sallusti nel libro omonimo sullo strapotere politico di fette della magistratura arriva a condizionare anche i media mainstream. Le toghe rosse esistono e se per qualcuno questo poteva essere il segreto di Pulcinella, con la vicenda che riguarda il procuratore capo di Reggio Emilia Marco Mescolini, abbiamo qualche cosa di più di una semplice suggestione e una primissima ricaduta alle rivelazioni di Palamara che, dopo essere state carpite per frammenti col famoso trojan sono state messe in ordine nel libro col direttore del Giornale. Precisamente a pagina 132 quando l’ex consigliere Csm fa riferimento proprio «alla nomina del procuratore di Reggio Emilia fortemente sostenuto dal Pd locale».
GIUDICE “PARTIGIANO”?
Oltre a quelle parole di Palamara però, in questo anno i sospetti di “partigianeria” sul togato emiliano sono andati aumentando fino a diventare un fascicolo appena approdato al Csm. Domani nei confronti di Mescolini il plenum del parlamentino di autogoverno dei giudici sarà chiamato a esprimersi circa la sua incompatibilità non solo a Reggio, ma in tutto il distretto di Bologna: giornalisticamente è una bomba e giudiziariamente un fatto clamoroso, che potrebbe segnare una svolta nella comprensione del rapporto torbido tra toghe e politica, sugli eterni sospetti di catena di trasmissione tra il Pd e una parte imprecisata di magistrati italiani, non solo quelli appartenenti ad Area (Magistratura democratica e Movimenti riuniti).
Un’incompatibilità politica, dunque, come si legge nero su bianco nelle 32 pagine di procedimento della prima commissione di Palazzo dei Marescialli in cui il relatore, il pm antimafia Nino di Matteo (in foto), spiega come dopo le rivelazioni delle chat del magistrato con l’ex presidente Anm Palamara sulla sua richiesta di promozione alla guida della procura di Reggio, si sia arrivati a segnalazioni di 4 pm che con Mescolini hanno lavorato in questi quattro anni. Segnalazioni che gettano più di un’ombra sui sospetti di «connivenza politica» di Mescolini col Pd e che fanno concludere alla commissione che «il dottor Mescolini non possa esercitare in piena indipendenza ed imparzialità le funzioni giudiziarie requirenti, specie quelle direttive».
E ancora: «Fatti che hanno arrecato un vulnus all’immagine della Procura di Reggio Emilia (da sempre amministrata da un monocolore rosso ndr.)».
Dopo le chat tra Mescolini e Palamara, infatti, col primo che, da semplice sostituto antimafia di Bologna perorava col secondo, vero deus ex machina delle nomine, la sua promozione a Reggio e l’ormai celebre «su Reggio fai di tutto per chiudere, è importante per tutto», il Csm ha ricevuto una “nota” scritta da quattro sostituti procuratori reggiani (si tratta di Maria Rita Pantani, Isabella Chiesi, Valentina Salvi e Giulia Stignani).
QUEI SOSPETTI DI TIFO AL PD
Dalle loro rivelazioni, e dai loro disagi, di chi si trovava a lavorare con un “capo” che sull’uscio aveva fatto mettere «vietato bussare», sono emersi elementi rilevanti. In particolare, la mancata perquisizione degli uffici comunali di Reggio per un’inchiesta sui dirigenti che si sarebbe dovuta tenere a ridosso delle elezioni, posticipata a dopo il voto. Nella stessa indagine sui bandi del Comune «il Procuratore aveva chiesto, a fronte di una precisa denuncia della Polizia Giudiziaria che aveva redatto l’informativa di reato, di non iscrivere i soggetti la cui posizione indiziaria appariva debole e fra questi il sindaco Luca Vecchi, ma di fare provvedimenti di non iscrizione motivati».
Terzo: i pm hanno raccontato che nell’indagine “Angeli e Demoni” (quella sul sistema illecito di affidi in Val d’Enza che ha pesantemente coinvolto i servizi sociali di Bibbiano, comune a guida dem), si dovevano fare le notifiche degli avvisi di conclusione indagini a gennaio, «ma il dott. Mescolini non voleva perché́ c’erano le elezioni regionali. La collega Salvi, in tale occasione, si impose ma poi venne lasciata sola nella conduzione delle indagini senza neanche un coassegnatario».
Si tratta di racconti che escono direttamente dalla Procura per bocca di magistrati, alcuni dei quali con una esperienza ventennale a Reggio, che il Csm ha ritenuto meritevoli di approfondimento e sufficienti per chiamare Mescolini a rispondere di incompatibilità.
UN’INFORMATIVA NEL CASSETTO
È per questo che il plenum di domani è storico: perché è chiamato a esprimersi per la prima volta così esplicitamente su quel sistema delineato da Palamara a Sallusti, che nei rapporti di forza tra le correnti dei giudici, finisce sempre per rafforzare la parte più a sinistra delle toghe.
Gli elementi a carico di Mescolini però, le sue “affinità” politiche, potrebbero essere molti di più. Oltre alle segnalazioni della chat di Palamara e alla nota dei pm, è ancora rimasto senza risposta un episodio reso pubblico poco meno di un anno fa, ma che, leggendolo col senno di poi, non dovrebbe lasciare indifferenti i magistrati.
Nell’agosto 2013 i servizi di sicurezza interni dei carabinieri avevano inviato in Procura a Reggio Emilia una corposa nota informativa su notizie di reati inerenti alle infiltrazioni delle ‘ndrine a Reggio. Nell’informativa a seguito delle indagini e delle rivelazioni interne ad ambienti comunali, curata dagli uomini del Maggiore dei carabinieri Vittorio Boccia, l’Arma faceva esplicito riferimento a “favori” e permessi di costruzione concessi a edili vicini al clan dei Grande Aracri. Veniva tirata in ballo, per l’occasione, la dirigente del Servizio Pianificazione e Qualità Urbana, Maria Sergio. La Sergio, moglie dell’allora capogruppo Pd Luca Vecchi, oggi sindaco dal 2014 della Città del Tricolore, era dunque un funzionario di primo piano dell’amministrazione guidata da Graziano Delrio, oggi capogruppo Pd alla Camera che gli investigatori mettevano in relazione a uomini vicini ai boss («...affermando di poter contare sull’amicizia della citata Sergio», si legge nell'informativa).
Ebbene. L’informativa, pubblicata dal Riformista e ripresa dal giornale Reggioreport conteneva con dovizia di particolare fatti, nomi e connessioni e si chiedeva alla Procura di Reggio di intervenire con l’apertura di un’indagine e suggeriva ipotesi di reato. A Reggio, a quell’epoca il procuratore era Giorgio Grandinetti, trasmise la relazione dei carabinieri alla DdA di Bologna, rendendosi disponibile per un coordinamento. Puntualmente il faldone arrivò sulla scrivania di Mescolini, che stava conducendo da diverso tempo l’inchiesta monstre sulle infiltrazioni della Ndrangheta in Emilia, ribattezzata Aemilia e che portò poi a scoperchiare la cupola di interessi dei cutresi su Reggio Emilia con condanne per associazione mafiosa pesantissime.
E anche grazie al successo di quell’inchiesta se Mescolini poté poi reclamare col Csm la guida successiva di Reggio Emilia. Ma di quell’appunto dei carabinieri e sulle relative indagini che avrebbero coinvolto direttamente un ente amministrato dal Pd, non si seppe mai più nulla. La missiva viene consegnata il 7 febbraio. Lo stesso giorno il procuratore di Bologna dispone con un appunto di proprio pugno che sia trasmesso al dottor Mescolini, titolare del procedimento, “per le sue determinazioni”. Ricordarlo oggi, può essere molto più di un semplice dettaglio.