Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Francesca Saverio Cabrini a cura di Ermes Dovico
LA STORIA

Giovanni 3,16: quel versetto che diventa vita

Un ex giocatore di baseball suicida in carcere prima di morire si fa dipingere sul volto il versetto di Giovanni 3,16. Che in America è molto più di una moda. Lo usano gli sportivi per rimarcare la loro fede. Il caso di Tim Tebow e della partita che divenne il match del 3:16. 

Cronaca 30_04_2017

Perché negli Usa un giocatore di football americano in prigione si è impiccato e, prima di suicidarsi, si è tracciato in fonte questa scritta: John 3:16? E’ così che nel mondo anglosassone viene indicato quel che da noi diventa Giovanni 3,16, cioè un versetto del Vangelo che recita: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna». Certo, è strano trovare una citazione del genere sulla fronte di un galeotto suicida. Ma tutto torna se si ricorda che il morto era un giocatore di football. Vediamo.

Leggo al proposito su «Il Post» del 22 aprile un curioso articolo che val la pena di riassumere per i lettori della Nuova BQ. Innanzitutto la vittima. Si chiamava Aaron Hernandez ed era una giovane promessa dello sport più seguito d’America dopo il baseball. Professionista da soli due anni ma già astro promettente, aveva ucciso il compagno della sorella e si era beccato l’ergastolo nel 2015. Il 19 aprile, la decisione di farla finita. Con quella scritta in fronte. Il fatto è che la citazione di John 3:16 è popolarissima negli Usa, addirittura la si può trovare scritta sulle confezioni di prodotti di larghissimo uso. Ma è tra i giocatori di football che spopola.

Cominciò negli anni Settanta a comparire negli stadi, su cartelli che il pubblico esibiva. Bisogna ricordare che in ambiente protestante il ruolo del clero è decisamente secondario. Lutero proclamò il libero esame delle Scritture e da allora è normale che ognuno si senta autorizzato a dire la sua. Certo, oggi con moderazione, ma negli Usa è consueto imbattersi in cittadini improvvisatisi predicatori di strada o di qualunque altro posto pubblico.

Il versetto Gv 3,16 è effettivamente centrale nel cristianesimo: da qui il suo utilizzo di preferenza. E ormai basta la sigla, perché tutti sanno che cosa vuol dire. Il lancio sistematico si deve a un tale Rollen Stewart, uno stravagante personaggio che all’inizio degli anni Ottanta cominciò a farsi notare per l’abbigliamento eccentrico e per la capacità di attirare su di sé l’attenzione. Si presentava agli eventi sportivi più affollati eseguendo dei veri e propri numeri di spettacolo estemporaneo. Ma, soprattutto, indossando una maglietta con su scritto John 3:16. Si piazzava a vista di telecamera e si esibiva. Divenne così famoso che noti attori televisivi ne facevano l’imitazione.

La sua carriera ebbe uno stop alle Olimpiadi di Mosca: la polizia russa non gradiva. Il suo percorso umano finì in galera nel 1992, quando sequestrò un paio di persone in una stanza di hotel che aveva tappezzato di cartelli con la solita scritta: John 3:16. Ma la moda che aveva lanciato negli stadi rimase e da allora è consueto vedere tra il pubblico cartelli del genere.

Nel 2009 il famoso giocatore di football Tim Tebow si dipinse la scritta sotto agli occhi, sulla striscia nera che i giocatori si spalmano in faccia per attutire il riflesso del sole. Tebow, religiosissimo, era solito inginocchiarsi in campo e pregare. I vertici della Lega americana, però, vietarono ai giocatori le scritte sulla faccia. Ma ormai la moda era dilagata. Grazie a Tebow, milioni di internauti ignari assediarono Google per sapere che cosa significasse quella sigla sulla faccia del campione.

Il quale ebbe la sua rivincita morale tre anni dopo, durante una importantissima partita rimasta famosa per le prodezze di Tebow legate ai numeri 3, 1, 6: «Tebow lanciò la palla per 316 yard, per una media di 31,6 yard a passaggio (…). Anche altri dati fatti registrare da Tebow in quella partita contenevano il 3, l’1 o il 6». La partita, tra i Denver Broncos e i Pittsburgh Stelers, passò negli annali e nella memoria dei tifosi come «il match del 3:16».