VIOLENZA IN PAKISTAN
Giovane cristiano torturato e ucciso da un musulmano
Ancora violenza in Pakistan dove un cristiano è stato ucciso da un ricco musulmano. Nel paese un kamikaze uccide 31 militari e ne ferisce 21.
Attualità
10_02_2011
Picchiato, torturato ed ucciso dal suo datore di lavoro solo perché era cristiano. L’ennesimo episodio di abuso e violenza ai danni delle minoranze in Pakistan giunge dalla “All Pakistan Minorities Alliance”, AMPA, un’organizzazione impegnata per la tutela delle minoranze che denuncia “Tali episodi si susseguono in un contesto di discriminazione sociale e religiosa, in cui i ricchi musulmani pensano di poter disporre della vita dei cristiani, che sono ultimi nella scala sociale, sono trattati come oggetti e sono vittime indifese delle violenze”.
L’ultima vittima, in ordine di tempo, è Imran Masih. 24 anni, residente nel villaggio di Nut Kallan. Il giovane da due anni lavorava come autista presso Mohammad Masood, un ricco possidente residente nel distretto di Gujranwala, in Punjab. Il 5 febbraio scorso Imran non si è recato al lavoro per motivi di salute e il giorno successivo, stando a quanto riportato dall’organizzazione, è stato percosso e torturato fino alla morte. Sarebbe stato lo stesso Masood a consegnare il corpo del giovane al padre, anch’egli impiegato presso la stessa tenuta, affermando che l’autista si sarebbe suicidato.
Una versione cui il padre non ha creduto soprattutto visti i segni che il 24enne aveva sul corpo e che lo ha portato a recarsi dalla polizia denunciando l’omicidio. A quel punto al dramma si è aggiunto un ulteriore sfregio poiché gli stessi funzionari di polizia hanno cercato di dissuadere l’uomo in considerazione dell’influenza di Masood nella provincia. Per ottenere che la denuncia fosse regolarmente registrata è intervenuta l’organizzazione AMPA che, grazie ad una mobilitazione, ha richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica su questa vicenda.
L’ultima vittima, in ordine di tempo, è Imran Masih. 24 anni, residente nel villaggio di Nut Kallan. Il giovane da due anni lavorava come autista presso Mohammad Masood, un ricco possidente residente nel distretto di Gujranwala, in Punjab. Il 5 febbraio scorso Imran non si è recato al lavoro per motivi di salute e il giorno successivo, stando a quanto riportato dall’organizzazione, è stato percosso e torturato fino alla morte. Sarebbe stato lo stesso Masood a consegnare il corpo del giovane al padre, anch’egli impiegato presso la stessa tenuta, affermando che l’autista si sarebbe suicidato.
Una versione cui il padre non ha creduto soprattutto visti i segni che il 24enne aveva sul corpo e che lo ha portato a recarsi dalla polizia denunciando l’omicidio. A quel punto al dramma si è aggiunto un ulteriore sfregio poiché gli stessi funzionari di polizia hanno cercato di dissuadere l’uomo in considerazione dell’influenza di Masood nella provincia. Per ottenere che la denuncia fosse regolarmente registrata è intervenuta l’organizzazione AMPA che, grazie ad una mobilitazione, ha richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica su questa vicenda.
Imran Masih è stato sepolto l’8 febbraio nel suo villaggio di Nut Kallan mentre i rappresentanti della comunità cristiana ancora una volta denunciano di non sentirsi tutelati. In particolare fonti Fides nel Paese si rivolgono al ministro federale per le Minoranze religiose chiedendo aiuto e auspicando che questa figura non venga abolita, cosa che potrebbe avvenire con l’ormai prossimo rimpasto di governo che potrebbe eliminare alcuni dicasteri.
La morte di Masih si inserisce nella spirale di violenza cui sono vittime le minoranze religiose nel paese, specie a causa della discussa legge sulla blasfemia che ha portato al carcere e alla condanna a morte di Asia Bibi. Solo qualche giorno fa, parlando della donna cristiana, l’arcivescovo di Lahore Lawrence Saldanha si era rivolto alla comunità internazionale sottolineando come una condanna diretta al Pakistan non avrebbe portato a risultati concreti. Nel frattempo il prelato si era rivolto ai rappresentanti cristiani e musulmani chiamandoli alla preghiera comune per tutelare i diritti fondamentali dell’uomo e le libertà civili.
L’ondata di violenza ha subito inoltre un’impennata dal gennaio scorso, con la morte del governatore Salman Taseer, ucciso da una delle sue guardie del corpo perché aveva definito la legge sulla blasfemia “la legge nera”. Una posizione che Taseer portava avanti da diverso tempo e che lo aveva convinto a chiedere al presidente Zardari la grazia per Asia Bibi.
A poco più di un mese dalla sua morte la tensione rimane alta e se da un lato le minoranze premono per una modifica alla legge, solo qualche settimana fa 40mila persone sono scese in piazza per protestare contro possibili modifiche alla legge in una manifestazione promossa dal principale movimento di opposizione di ispirazione islamica. Queste pressioni hanno spinto alle dimissioni il ministro che aveva proposto le modiriche.
Intanto non si placa l’ondata di sangue che colpisce il Pakistan. Stamane un giovane attentatore si è introdotto nel centro di reclutamento dell’esercito pakistano a Mardan, nella provincia nord occidentale del Khyber-Pakhtunkhwa e si è fatto esplodere. Almeno 31 i cadetti morti e 21 i feriti secondo quanto reso noto da fonti militari che sottolineano inoltre come il Kamikaze fosse poco più che adolescente.
Il premier pakistano Yusuf Raza Gilani ha condannato l'eccidio, definendolo un «attacco codardo», che «non è in grado di minare il morale delle Forze di sicurezza nè la determinazione della Nazione nell'estirpare il terrorismo».
La morte di Masih si inserisce nella spirale di violenza cui sono vittime le minoranze religiose nel paese, specie a causa della discussa legge sulla blasfemia che ha portato al carcere e alla condanna a morte di Asia Bibi. Solo qualche giorno fa, parlando della donna cristiana, l’arcivescovo di Lahore Lawrence Saldanha si era rivolto alla comunità internazionale sottolineando come una condanna diretta al Pakistan non avrebbe portato a risultati concreti. Nel frattempo il prelato si era rivolto ai rappresentanti cristiani e musulmani chiamandoli alla preghiera comune per tutelare i diritti fondamentali dell’uomo e le libertà civili.
L’ondata di violenza ha subito inoltre un’impennata dal gennaio scorso, con la morte del governatore Salman Taseer, ucciso da una delle sue guardie del corpo perché aveva definito la legge sulla blasfemia “la legge nera”. Una posizione che Taseer portava avanti da diverso tempo e che lo aveva convinto a chiedere al presidente Zardari la grazia per Asia Bibi.
A poco più di un mese dalla sua morte la tensione rimane alta e se da un lato le minoranze premono per una modifica alla legge, solo qualche settimana fa 40mila persone sono scese in piazza per protestare contro possibili modifiche alla legge in una manifestazione promossa dal principale movimento di opposizione di ispirazione islamica. Queste pressioni hanno spinto alle dimissioni il ministro che aveva proposto le modiriche.
Intanto non si placa l’ondata di sangue che colpisce il Pakistan. Stamane un giovane attentatore si è introdotto nel centro di reclutamento dell’esercito pakistano a Mardan, nella provincia nord occidentale del Khyber-Pakhtunkhwa e si è fatto esplodere. Almeno 31 i cadetti morti e 21 i feriti secondo quanto reso noto da fonti militari che sottolineano inoltre come il Kamikaze fosse poco più che adolescente.
Il premier pakistano Yusuf Raza Gilani ha condannato l'eccidio, definendolo un «attacco codardo», che «non è in grado di minare il morale delle Forze di sicurezza nè la determinazione della Nazione nell'estirpare il terrorismo».