Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Giovedì Santo a cura di Ermes Dovico
FIGLIA IN PROVETTA, MA SENZA PADRE

Giocare col Dna costa caro, il dramma di Rebecca

Usa. 24enne "regala" ai genitori un test per ricostruire l'albero genealogico e scopre di non essere geneticamente legata al padre. Dopo ulteriori esami i tre comprendono che il seme con cui era stato fecondato l’ovulo della madre non era quello del padre. Ma ormai l'ospedale ha chiuso i battenti e la battaglia legale è inutile. 

Vita e bioetica 16_08_2019

«Sono sconvolto Non c'è la minima traccia di Dna italiano nella mia figlia». E infatti quella che per 24 anni ha creduto sua figlia e ha cresciuto come tale, è in realtà figlia di uno sconosciuto.  «Hanno scambiato il mio seme con quello di chissà chi, e ora io voglio sapere chi è il padre di mia figlia».

È questa la storia di Josep e Jennifer Cartellone, una coppia dell’Ohio che nel 1994 si era rivolta ad al Chris Hospital di Cincinnati per il percorso di procreazione medicalmente assistita tramite la quale sono diventati genitori di Rebecca. La ragazza lo scorso Natale ha pensato di regalare ai propri genitori la possibilità di ricostruire il proprio albero genealogico tramite Ancestry.com, un servizio che identifica origine ed etnie di una persona analizzando la sua composizione genetica. Ma il gioco si è trasformato in un incubo perché in quel momento hanno realizzato che la ragazza non era geneticamente legata al padre e facendo ulteriori esami hanno capito che il seme con cui era stato fecondato l’ovulo di mamma Jennifer non era di papà Joseph.

Un “errore” nel processo di fecondazione assistita insomma, emerso 25 anni dopo. «È difficile spiegare lo shock e il tormento quando scopri che qualcuno che ami e a cui tieni tantissimo - tua figlia - non è geneticamente correlato a te», ha detto Joseph Cartellone in una conferenza stampa a Washington DC. «C'è un mix di rabbia, dolore e confusione». 

I coniugi Cartellone e la figlia Rebecca si sono immediatamente rivolti ad un avvocato per rivalersi sull’ospedale, ma il processo non sarà affatto facile,  il Christ Hospital dove è avvenuto il processo di procreazione medicalmente assistita è stato assorbito dal Cincinnati Institute for Reproductive Health ed è quindi difficile identificare oggi i responsabili, ancor più difficile rintracciare il padre biologico della ragazza. Eppure i Cartellone hanno affermato di aver usato Ancestry.com per restringere il campo e di aver individuato cinque persone, una delle quali era medico proprio presso il Christ Hospital, ipotesi che aprirebbe ad uno scenario se possibile ancora più terrificante. Inoltre Jospeh pretende di sapere se il suo seme a sua volta abbia fecondato un altro ovulo per essere poi impiantato nell’utero di un’altra donna, insomma vorrebbe legittimamente sapere se potrebbe esserci in Ohio un figlio che non sa di essere suo. 

L’ospedale dovrà rispondere per “violazione del contratto” e negligenza, ma può esistere una giustizia umana capace di riparare a quanto accaduto sulle vite di questa famiglia (e non solo)? 

Sempre in conferenza stampa Joseph Cartellone ha raccontato che ovviamente anche la moglie ovviamente è sotto shock: «I suoi ovuli sono stati fecondati con un seme completamente sconosciuto, inoltre Jennifer soffre per non aver potuto dare alla luce un figlio nostro, che è esattamente la ragione per cui ci eravamo rivolti alla clinica. Mia figlia invece si sente in colpa per aver avuto l’idea di regalarci questo gioco e ora vuole sapere chi è suo padre».

L’ospedale, da parte sua, nega ogni coinvolgimento, soprattutto puntando sul fatto che la struttura così come è oggi, formalmente è nata nel 1999, avendo assorbito la struttura precedente, cinque anni dopo quello che, in un comunicato, chiamano “presunto errore” nonostante i risultati inequivocabili del test genetico. «Le procedure di embriologia vengono eseguite in un laboratorio distinto durante tutti i processi di fecondazione in vitro. I nostri medici non sono coinvolti nella fecondazione delle uova con lo sperma, poiché questo processo è gestito dagli embriologi nel laboratorio di fecondazione in vitro», scrivono sul loro sito. Ma chi può garantire che non ci siano stati altri “errori” e soprattutto, quanti sono gli “errori” da procreazione medicalmente assistita, perché nessuno ne parla? 

Solo pochi mesi fa, come abbiamo avuto occasione di scrivere, al prestigioso CHA Fertility Center di Los Angeles, una coppia americana è stata richiamata dai medici, dopo un ciclo di fecondazione assistita finito male, per sottoporsi a un esame del Dna. I coniugi hanno scoperto in questo modo che uno dei loro embrioni, che credevano “scartato” (sic!), era stato invece impiantato nel grembo di un’altra donna, di origini coreane, e poi partorito a tremila miglia di distanza. Inoltre la gestante, insieme al loro figlio, aveva dato alla luce un secondo bambino, anche questo non suo, figlio di una terza coppia. Ora la coppia californiana, che si è affidata ad un avvocato di grido che vive con un uomo e che è diventato legalmente padre di una coppia di gemelli (evidentemente ottenuti tramite l’utero in affitto), si è fatta “restituire” il bambino, dopo che il piccolo ha trascorso nove mesi in un grembo e altrettanti con la madre gestante e dopo una contesa in tribunale dolorosissima.

Il giudice che ha preso la decisione l’ha definita «la più devastante ed emozionante in 25 anni di professione», ma poi ha preso la decisione perché «il Dna è il Dna e la genetica ha una grande importanza in ogni cosa». Verrebbe quindi da chiedersi perché sia consentito “giocarci” fino a questo punto, perché sia consentito padroneggiarlo pretendendo di controllarne ogni fase senza prendere in considerazione i terribili “effetti collaterali” e soprattutto gli “errori” che si pagano con lacrime e sangue.