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DIPLOMAZIA

Gentiloni negli Emirati, una risposta attesa

La visita a sorpresa del presidente del consiglio nella sunnita Abu Dhabi suona come una risposta all'ambasciatore del Qatar che aveva dichiarato l'Italia dalla propria parte, d'accordo nel non credere ai finanziamenti al terrorismo.

Esteri 13_03_2018
Gentiloni ad Abu Dhabi

Tanto tuonò che piovve. Ed è il caso di dire che mai pioggia fu più significativa, in tutti i sensi. Le parole dell’ambasciatore del Qatar alla scuola di perfezionamento delle Forze di Polizia a Roma, secondo cui l’Italia non avrebbe creduto alle accuse di finanziare il jihadismo della Fratellanza Musulmana richiedevano un segno, un passaggio da parte del nostro Paese. Non dire o non fare nulla avrebbe creato un problema politico enorme per una nazione, come la nostra, da sempre capace di dialogare e di interfacciarsi con più realtà; l’ambasciatore aveva dato sostanzialmente per scontato pubblicamente che l’Italia non aveva creduto alle accuse internazionali di foraggiare e finanziare il terrorismo internazionale, non ricevendo alcun contraltare mediatico né, cosa più grave, politico.

Succede poi che esce la notizia di un viaggio non previsto dell’ancora premier Paolo Gentiloni negli Emirati Arabi, ad Abu Dhabi, domenica 11 marzo; motivazioni economiche di sicuro, anche un concerto, che però segnano un passaggio di estrema importanza nell’ambito di un percorso che pareva slacciarsi. Gli Emirati Arabi, infatti, specialmente nella figura del principe ereditario di Abu Dhabi Mohamed bin Zayed Al Nahyan, rappresentano oggi il più valido e ficcante contrappeso alle mire espansionistiche qatarine e all’avanzata estremista della Fratellanza Musulmana di cui tutto il mondo arabo e non solo accusa proprio Doha. Accuse che, come in altre sedi specificato constano di documenti, report ed evidenze in giro per il mondo, che vanno ad incrociarsi con ciò che accadde già a partire dal 2011, allorquando il Qatar si spese (e continua a spendersi) affinché le organizzazioni salafite e jihadiste legate alla Fratellanza Musulmana prendessero il potere dove si verificavano le rivoluzioni della cosiddetta ‘’primavera araba’’.

Un progetto che per come venne strutturato allora è fallito miseramente, dall’Egitto alla Siria passando per la Tunisia, e dunque ha imposto un’accelerazione a chi voleva e ancora vuole estremizzare un quadrante intero. E non solo.

La visita di Gentiloni ha dunque un’importanza simbolica elevata per i tempi con cui si è verificata e per l’antefatto ‘’geopolitico’’ che l'ha preceduta: dopo le parole dell’ambasciatore del Qatar in Italia, dunque, si è concretizzata quasi come una risposta silenziosa ma efficace, che ha reso l’idea di come l’Italia si posizioni comunque nell’alveo della comunità internazionale e della visione globale sul tema jihadismo e finanziamento del terrorismo.
Spesso i simboli e i dettagli sono decisivi per la costruzione di percorsi su determinate tematiche e sono capaci di spostare assi concettuali che fino a quel momento parevano, anche in maniera indiretta, orientati in una determinata direzione.

L’Italia è e deve essere aperta nei confronti degli attori moderati del Golfo Persico, che da tempo ormai non fanno più mistero del proprio orientamento anti-estremista, anti Fratellanza Musulmana che tanti danni ha arrecato al fronte sunnita. L’effetto ‘’auto-assoluzione’’ delle parole dell’ambasciatore qatarino dunque finisce qui, spegnendo una coda di ambiguità che rischiava di prendere la pericolosa forma di un problema politico. Di cui l’Italia, oggi e in futuro, non ha per nulla bisogno.