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1915-2015

Genocidio armeno, la memoria della diaspora

La caratteristica più importante delle celebrazioni della memoria del genocidio armeno, è la sua dimensione globale. Non è stata solo la giornata dei discorsi ufficiali (e delle nuove polemiche) a Erevan, è stato il momento della diaspora armena, che non ha affatto reciso le sue radici, ora chiede di ricordare il suo passato e di riconoscerlo per quello che fu: un genocidio. 

Esteri 25_04_2015
Il fiore viola del genocidio

Cento anni dal genocidio. La commemorazione è avvenuta a Erevan, un evento solenne, caratterizzato dalla presenza e dai discorsi di François Hollande e Vladimir Putin, dalle polemiche con la Turchia, dalle reazioni dei parlamenti che si sono decisi a riconoscere ufficialmente il genocidio (Germania) e di capi di Stato che non lo hanno voluto fare, nonostante lo avessero promesso da tempo (Barack Obama). Ma la caratteristica più notevole di questa commemorazione è stata la sua dimensione globale. La diaspora armena ha infatti ricordato il “Grande Male” ovunque nel mondo, anche a Gerusalemme, Beirut, Teheran, Montevideo, Berlino, Marsiglia, Mosca ed anche a Istanbul, questa volta.

Le polemiche, appunto: non sono mancate nemmeno in questa occasione. Sono state innescate dalle parole del presidente russo Vladimir Putin, che ha ricordato: “Niente può giustificare massacri di massa. Oggi ci raccogliamo a fianco del popolo armeno”, “La Russia - ha proseguito il presidente russo - ha partecipato o si è fatta promotrice di un gran numero di iniziative internazionali di regolamentazione a fondamento della moderna legislazione penale. Fra queste, anche la Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio che lo identifica come un atto vietato dal diritto internazionale, la cui perpetrazione può comportare la responsabilità internazionale dello Stato e la responsabilità penale di chi compie atti di genocidio o vi è in qualche modo coinvolto. La comunità internazionale ha il dovere di fare qualunque cosa per evitare che tali tragici eventi del passato tornino a ripetersi, per far sì che tutti i popoli possano vivere in pace e armonia, senza arrivare a conoscere gli orrori che scaturiscono dal fomentare faide religiose, nazionalismi aggressivi e xenofobi”. E la Turchia, a questo punto, ha dato una risposta che suona come un “senti chi parla”: “Considerando gli omicidi di massa e le deportazioni che la Russia ha compiuto nel Caucaso, in Asia centrale e in Europa orientale nello scorso secolo, pensiamo che sia il paese che meglio sappia cosa è un genocidio e quale sia la sua dimensione legale”, recita la nota del ministero degli Esteri di Ankara. Chi non ha un genocidio sulla coscienza, scagli la prima pietra…

Centenario, capi di Stato

Coscienza più in ordine e toni più diplomatici, quelli usati dalla Francia rappresentata dal presidente Hollande: “Non dimenticheremo mai la tragedia che il vostro popolo ha attraversato. In Turchia sono state già pronunciate delle parole e delle parole importanti" sul genocidio armeno "ma altre sono ancora attese per far sì che la condivisione del dolore possa diventare una condivisione di un destino. (…) Mi inchino davanti alla memoria delle vittime e ho appena detto ai miei amici armeni che noi non dimenticheremo mai le tragedie che il vostro popolo ha attraversato". Delusione annunciata, invece, per le parole di Barack Obama, che non era ad Erevan: “A partire dal 1915, il popolo armeno dell'Impero Ottomano è stato deportato, massacrato e costretto a marciare verso la morte, la loro cultura e l'eredità della loro antica madrepatria fu cancellata”, ma nel discorso manca la parola “genocidio”, come era previsto. Al suo posto ha usato “atrocità di massa”. La prima reazione della comunità armena americana, che sperava nella promessa obamiana, è stata sferzante: “Le acrobazie linguistiche del presidente Obama sul genocidio armeno non sono all'altezza del leader che ha mostrato di essere e che dovrebbe essere oggi”. L’Italia, in compenso, non ha mandato nemmeno un rappresentante del governo Renzi. C’erano due parlamentari, i presidenti delle commissioni Esteri di Camera e Senato, cioè Fabrizio Cicchitto e Pier Ferdinando Casini. Mano (relativamente) tesa dalla Turchia, con un discorso volto alla riconciliazione: “In questo giorno, che ha un significato particolare per i nostri cittadini di etnia armena, ricordo con rispetto quegli armeni ottomani che persero la vita durante la Prima guerra mondiale” - ha detto Recep Tayyip Erdogan, in un comunicato, aggiungendo - "Esprimo le mie condoglianze ai loro figli e nipoti".

Gli armeni della diaspora, però, hanno indetto grandi manifestazioni di fronte alle ambasciate turche in tutto il mondo, con una precisa richiesta di giustizia. Riconoscere il genocidio come tale, infatti, è una questione di giustizia internazionale. Non bastano le condoglianze, serve un’assunzione di responsabilità. Il fiore viola, simbolo del genocidio che tutti portano all’occhiello, è accompagnato dalla frase: “Io ricordo, io chiedo”. E per “io chiedo”, si intende: io chiedo giustizia e un riconoscimento legittimo.

La diaspora non ha dimenticato la sua origine. Il tentativo di sradicamento completo, avvenuto col genocidio, ha però portato a traumi, separazioni, crisi di identità. Un tema toccato dalla scrittrice Antonia Arslan, nel suo ultimo romanzo, Il rumore delle perle di legno. Il suo lavoro di ricerca sulla sua stessa famiglia parte da una scoperta: il cambiamento del cognome e dei nomi della generazione dei suoi genitori (suo padre e suo zio). Gli Arslanian divennero Arslan, nomi della tradizione armena divennero italiani. “In quell’epoca, parlo dell’inizio del ‘900, non c’era alcuna intenzione di tagliare i legami con la famiglia in Anatolia, dove avevamo molti parenti. Quello successe nel 1915, la frattura terribile del genocidio: fu quella a tagliare i ponti – spiega la Arslan nella presentazione del suo libro a Milano - Il nonno, che in Italia, alla vigilia della guerra, era diventato un medico celebre, un uomo di successo, quando decise di tornare a trovare la famiglia in Anatolia e comprò la famosa auto Isotta Fraschini rossa (perché adorava tutte le cose nuove, gli ultimi ritrovati della scienza), scoprì di non poter partire. Il 1915 fu un anno importante per tutti. L’Italia entrò in guerra il 24 maggio e la porta si chiuse, mentre lui voleva partire alla fine del mese, per permettere ai figli di terminare l’anno scolastico. E così si salvò, perché se fosse tornato in Anatolia sarebbe morto. Non importava la cittadinanza italiana, americana o di qualunque altro paese: se eri di sangue armeno, venivi ucciso. Vi sono stati tanti casi di questo genere, come racconta l’ambasciatore degli Stati Uniti Henry Morgenthau, uno dei tanti ebrei che aiutarono gli armeni. Mio nonno sopravvisse, accolse i nipoti sopravvissuti, li allevò. Le due figlie maggiori però vollero andare più lontano, fino in California e là si fermarono”.

Antonia Arslan

Fu il trauma del genocidio, l’emergere lento e riluttante delle memorie delle atrocità (“E lì emersero le storie di suo fratello, decapitato secondo una ritualità che purtroppo rivediamo negli orribili eventi del Medio Oriente di oggi”) a indurre quella generazione della diaspora a tagliare i ponti con l’origine anatolica. Spiega la Arslan: “Il nonno scelse la via dell’italianizzazione completa, vietò ai figli di imparare l’armeno. Ho anche scoperto, grazie a una ricercatrice ebrea, che il nonno era stato un esponente del Partito Popolare di Don Sturzo, prima dell’avvento del fascismo e in quel partito era stato nel consiglio comunale di Padova. Quindi ha avuto anche un passato politico, sempre per rendersi il più italiano possibile. Povero uomo, povero nonno, con questa barbetta orientale, questi occhi tagliati come quelli di un armeno, quando parlava si sentiva subito un accento orientale e prendeva gli appunti in italiano, ma scritto con i caratteri armeni”.

L’evento di ieri a Erevan e nel resto del mondo è stata un’occasione di riunificazione della nazione armena, ovunque fosse, un’identità mai cancellata nonostante il tentativo di annientamento fisico totale.