Frutti di liturgia creativa: Battesimi invalidi per un "noi"
Battesimo e sacramenti invalidi anche nella diocesi di Phoenix, dove un parroco "creativo" ha pensato di battezzare con la formula «noi» invece di «Io». Una differenza sostanziale perché a battezzare non è la comunità, ma Cristo stesso. Sono i frutti avariati della creatività liturgica di preti padroni del sacro. Ma a farne le spese così sono i fedeli.
Negli Stati Uniti continuano ad emergere i frutti avariati della creatività liturgica. Nell’estate del 2020, avevamo parlato (vedi qui) del clamoroso caso di don Matthew Hood, sacerdote della diocesi di Detroit, che, guardando i filmati del suo Battesimo, si era accorto che il diacono che amministrava il sacramento, aveva utilizzato la formula “noi ti battezziamo”, anziché quella prescritta “io ti battezzo”. La formula è chiaramente non solo illegittima, ma anche invalida, come aveva spiegato la Congregazione per la Dottrina della Fede in un Responsum del 2 agosto 2020. Dunque, invalido il Battesimo, invalida anche la sua ordinazione, ed invalidi tutti i sacramenti da lui amministrati - tranne i Battesimi e, in un certo senso, l’assistenza ai Matrimoni - negli anni del suo “sacerdozio fittizio”. A dire il vero, don Hood era andato a ricontrollare il filmato del Battesimo, solo dopo aver letto il Responsum. Accortosi dell’invalidità della formula, si era ricordato di aver udito proprio nel filmato che il diacono l’aveva utilizzata: “We baptize you...”.
Un caso analogo era emerso poche settimane dopo, questa volta nella diocesi di Oklahoma City (vedi qui). Anche Don Zachary Boazman, di fresca ordinazione, leggendo il Responsum, era andato a controllare il video del suo Battesimo ed aveva scoperto che la formula utilizzata era proprio quella invalida.
Adesso è la diocesi di Phoenix a registrare l’ennesimo grave abuso. Ne dà notizia il vescovo, Mons. Thomas J. Olmsted, in un messaggio indirizzato a tutti i fedeli della diocesi: «È con sincera sollecitudine pastorale che informo i fedeli che i battesimi amministrato dal Rev. Andres Arango, sacerdote della diocesi di Phoenix, non sono validi. Questa decisione è stata presa dopo un attento studio da parte dei funzionari diocesani e dopo aver consultato la Congregazione per la Dottrina della Fede a Roma. Nello specifico, mi è stato riferito che p. Andres ha usato la formula: "Noi ti battezziamo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo". La frase decisiva in questione è l'uso di "Noi battezziamo" al posto di "Io battezzo". Il problema dell'uso del "Noi" sta nel fatto che non è la comunità a battezzare una persona, ma è Cristo, e solo Cristo, che presiede tutti i sacramenti, e quindi è Cristo Gesù che battezza».
Dunque, tutti i Battesimi – si stimano circa un migliaio – amministrati da don Andres Arango nelle tre parrocchie che lo hanno avuto come pastore, nell’arco di vent’anni di sacerdozio, risultano invalidi. La diocesi, dopo un’indagine, ritiene che a partire dal 17 giugno 2021, il sacerdote, che nel frattempo ha presentato le sue dimissioni da parroco, avrebbe iniziato ad amministrare i battesimi secondo la forma valida. Ovviamente le persone solo apparentemente battezzate hanno ricevuto invalidamente anche gli altri sacramenti, i quali necessitano appunto del Battesimo previo. La diocesi ora dovrà pertanto contattare ciascuna delle persone che hanno ricevuto l’invalido battesimo da don Arango e battezzarle in forma assoluta. La forma assoluta si distingue dal sacramento conferito sotto condizione, perché, mentre quest’ultima modalità implica che si abbiano seri dubbi sulla validità del sacramento conferito, nel caso della forma assoluta si ha la certezza della sua invalidità. Detto in altri termini, la Chiesa non ha alcun dubbio circa l’invalidità dei battesimi amministrati da don Arango.
Di fronte a questo ennesimo disastro, Mons. Olmsted cerca di scusare il sacerdote: «Non credo che padre Andres avesse alcuna intenzione di danneggiare i fedeli o privarli della grazia del Battesimo e dei sacramenti». Ci mancherebbe. Ma il problema non sta nella buona o nella cattiva fede del sacerdote. Bisognerebbe domandarsi come sia possibile che un sacerdote, dopo almeno sei anni di seminario e, in questo caso, anni e anni di ministero pastorale, non sapesse che un tale cambiamento della formula del Battesimo rende invalido il sacramento. Ma cosa studiano questi preti per tutti questi anni, se poi cadono su aspetti così fondamentali?
Secondo problema. Ipotizzando che don Andres sia risultato assente proprio mentre, nei corsi di sacramentaria, si spiegavano magistralmente queste cose, perché mai un sacerdote si permette di cambiare quello che la Chiesa stabilisce? Non è un mistero che in molte celebrazioni eucaristiche, anche qui in Italia, i sacerdoti alterino a loro piacimento parole e gesti normati dal Messale. Aggiungono parole che, a loro parere, illuminano termini caduti in disuso; tolgono parole che, sempre secondo il loro inappellabile giudizio, non sono più comprese o rischiano di ferire il fedele; sostituiscono, per le medesime ragioni, un termine con un altro; omettono inchini o genuflessioni e aggiungono gesti più adeguati ad un ambiente hollywoodiano che non ad una chiesa. Il tutto nonostante l’ultimo Concilio, quello che per alcuni è l’unico, intimi esplicitamente che nessuno «anche se sacerdote, osi, di sua iniziativa, aggiungere, togliere o mutare alcunché in materia liturgica» (Sacrosanctum Concilium, 22).
Per non parlare dell’alterazione del luogo sacro, dove si tolgono, secondo l’arbitrio del sacerdote (o del vescovo) di turno, vasi sacri, paramenti, statue, inginocchiatoi, fino ad interi altari, perché giudicati non consoni allo spirito della riforma liturgica. Sempre in conformità all’insindacabile giudizio del parroco, del rettore, del vescovo, le chiese vengono invase da striscioni, bandiere, telecamere, fari, fino a trasformarle in ristoranti per i poveri. E sempre si avanzano “ragioni” di tipo pastorale.
Se non solo si tollera, ma addirittura si cavalca la creatività liturgica, in opposizione ad un non ben identificato rubricismo; se ci si sente padroni della liturgia e dei luoghi sacri, dimenticandosi che essi appartengono a Dio e non agli uomini, allora è chiaro che situazioni come quelle di don Arango sono destinate a moltiplicarsi. E a pagarne le conseguenze sono sempre ovviamente i fedeli, i quali, nella migliore delle ipotesi – che nel tempo però diventa assai logorante - devono sciropparsi le voglie creative e pastorali dei loro pastori, che non si fanno troppi riguardi a violentare non solo quanto di più sacro vi sia su questa terra, ma anche il “senso del sacro” nel cuore dei fedeli. Nella peggiore delle ipotesi, invece, ci si trova dopo svariati anni a constatare di non essere mai rinati dall’acqua e dallo Spirito o, il che è ancor peggio, a non sapere nemmeno di aver ricevuto sacramenti invalidi. Non è anche questa una forma – e grave - di clericalismo?