Francesco in Egitto mentre Benedetto XVI rilancia Ratisbona
Il messaggio inviato nei giorni scorsi da Benedetto XVI a un Simposio in Polonia dedicato al suo "concetto di Stato", rilancia i contenuti della lezione di Ratisbona di 11 anni fa paventando un tragico scontro tra i laicismi occidentali e l'islamismo. E questo proprio mentre papa Francesco sta per recarsi in Egitto per un incontro con il rettore dell'Università al Azhar, con un approccio opposto a quello di Ratisbona.
È certo una coincidenza dovuta alla ricorrenza del compleanno e a un conseguente simposio, ma non può essere casuale il potente messaggio di Benedetto XVI a pochi giorni dall’importante visita di papa Francesco in Egitto. Succede infatti che in occasione del 90esimo compleanno del papa emerito, caduto il giorno di Pasqua, si sia tenuto a Varsavia il 19 arile, nella sede della Conferenza episcopale polacca, un Simposio dedicato a “Il concetto di Stato nella prospettiva dell’insegnamento del cardinale Joseph Ratzinger-Benedetto XVI”.
Per l’occasione, lo stesso Ratzinger ha inviato un messaggio che, pur breve, afferma un concetto fondamentale, anzi un giudizio esplosivo che ancora una volta fa a fette il politicamente corretto riguardo ai rapporti tra Occidente e islam. Nel messaggio Benedetto XVI parla di «una questione essenziale per il futuro del nostro Continente». E spiega: «Il confronto fra concezioni radicalmente atee dello Stato e il sorgere di uno Stato radicalmente religioso nei movimenti islamistici, conduce il nostro tempo in una situazione esplosiva, le cui conseguenze sperimentiamo ogni giorno. Questi radicalismi esigono urgentemente che noi sviluppiamo una concezione convincente dello Stato, che sostenga il confronto con queste sfide e possa superarle».
Benedetto XVI ripropone dunque ancora una volta la lezione di Ratisbona, quel discorso pronunciato il 12 settembre 2006, tanto criticato quanto incompreso. Criticato e incompreso soprattutto in Occidente, dove si montò una falsa polemica per provocare la reazione furiosa del mondo islamico e coprire il senso vero di quelle parole che invece, a distanza di 11 anni, appaiono ancora più attuali. In effetti la reazione ci fu, ma dietro a quelle proteste alimentate ad arte, si mosse anche qualcosa nel mondo islamico, la cui espressione più evidente fu una lettera di 138 studiosi islamici al Papa e a tutti i capi delle confessioni cristiane, iniziativa che culminò poi con alcuni incontri in Vaticano.
Benedetto XVI riproponeva allora l’importanza di una unità tra ragione e fede, concezione di un Dio che agisce secondo ragione, cosa a cui era già arrivato anche il pensiero greco. E vedeva nella scissione tra ragione e fede il dramma della società attuale. Da una parte l’Occidente, con una ragione “ridotta” dalla volontà di escludere Dio: «Una ragione, che di fronte al divino è sorda e respinge la religione nell'ambito delle sottoculture, è incapace di inserirsi nel dialogo delle culture». Dall’altra l’islam, che concepisce un Dio che agisce arbitrariamente: essendo Dio assolutamente trascendente, la sua volontà non è legata neanche alla ragionevolezza. Per questo nell’islam si giustifica la violenza. Soltanto nella concezione greco-cristiana «non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio».
Chi guardi la realtà odierna senza i paraocchi dell’ideologia non può non riconoscere che questo è proprio il dramma che stiamo vivendo: da una parte un Occidente laicista, che proprio per questo è incapace di comprendere la realtà e le culture che incontra e che usa la violenza del politicamente corretto per imporre la propria visione; dall’altra l’islamismo che non è in grado di concepire altro che il proprio dominio, anche con il terrore. Questo scontro tra opposti radicalismi ha ormai come teatro l’Europa, grazie anche alla dissennata politica migratoria frutto essenzialmente di quella incomprensione di cui sopra.
In questo modo, il messaggio di Benedetto XVI in occasione dei suoi 90 anni, suona un po’ come l’ultimo avvertimento prima della tragedia. Quale è la strada suggerita, quale può essere una «concezione convincente di stato»? Lo ha sintetizzato nello stesso Simposio di Varsavia padre Federico Lombardi, che al tempo di Benedetto XVI è stato il portavoce vaticano: «Joseph Ratzinger – Benedetto XVI è profondamente convinto – ha detto Lombardi - che il vero fondamento, la garanzia più solida di un ordinamento capace di tutelare la dignità e il valore della persona umana stia nel riconoscimento da parte della ragione umana della verità di un ordine morale oggettivo, basato ultimamente sulla ragione creatrice di Dio».
È una indicazione chiara, che spiega anche cosa significhi veramente riconoscere le radici cristiane dell’Europa: non imporre una religione, ma avere una concezione della ragione «dischiusa in tutta la sua ampiezza» e per questo aperta al trascendente, come disse Benedetto XVI a Ratisbona.
Riproposto oggi, questo pensiero appare ancora più rivoluzionario rispetto alle culture oggi dominanti e alla spirale di violenza in cui il mondo si sta avvitando. Ma alla vigilia del viaggio di papa Francesco in Egitto suona anche come avvertimento – o almeno suggerimento – per un pontefice che non ha mai nascosto il disappunto per il discorso di Ratisbona, ritenendolo di ostacolo al dialogo con l’islam.
Alla sfida sulla verità e sulla ragione, lanciata da Benedetto XVI, Francesco oppone la sfida dell’«incontro come messaggio», come lui stesso l’ha definito. Per Francesco l’importante è vedersi, parlarsi, nella convinzione che conoscendosi cadano tante barriere e si possano costruire ponti. Così Francesco non ha mai accennato all’islam in termini problematici, ad esempio in riferimento all’immigrazione; continua a ripetere che l’islam è una religione di pace e che non c’è differenza tra le violenze degli islamici e quelle dei cristiani.
Resta da capire se si tratti semplicemente di una strategica “operazione simpatia” o di una convinzione. Quel che è sicuro è che certe affermazioni non corrispondono alla realtà, come non smettono di dirci quanti vivono nei paesi islamici o del mondo islamico sono esperti. Come ad esempio il gesuita egiziano padre Samir Khalil Samir, islamologo, docente al Pontificio istituto orientale e a suo tempo consigliere di papa Benedetto XVI. Nei giorni scorsi, parlando con i giornalisti ha detto chiaramente: «Papa Francesco viene dall’Argentina, non conosce l’islam. Ha conosciuto a Buenos Aires un imam molto gentile e con lui ha avuto una buona relazione ma la sua ignoranza dell’islam non giova al dialogo. Bergoglio ha detto spesso che l’islam è una religione di pace e questo è un errore, semplicemente».
Ad ogni modo tra pochi giorni papa Francesco sarà all’Università cairota di Al-Azhar dove incontrerà il rettore, l’imam Ahmed al Tayyeb. Non c’è dubbio che sarà un incontro cordiale, ma sugli sviluppi resta l’avvertimento di Benedetto XVI: il passo da fare è connettere ragione e fede, altrimenti lo scontro tra gli opposti radicalismi (laicista e islamista) sarà una tragedia.