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MUSICA

Fragilità e disperazione, l'abisso delle rockstar

Sulla morte di Amy Winehouse pesa il cinismo di un mondo in cui manager spietati inducono cantanti già alienati da droghe e alcol a buttarsi via.

Attualità 26_07_2011
amy winehouse
Si sprecano su internet i messaggi di cordoglio delle star del Rock per la morte di Amy Winehouse. Per non parlare dell’immediato arruolamento compiuto dai media nel cosiddetto Club dei 27, una serie di grandi rocker morti a quell’età, che comprende Jim Morrison, Janis Joplin, Jimi Hendrix, Brian Jones dei Rolling Stones e, padre di tutti loro e mai citato in questi giorni, il grande bluesman Robert Johnson. Altri più o meno alla stessa età sono stati presi per i capelli e tirati fuori a forza (leggi Eric Clapton) e alcuni hanno perso per sempre la via di casa (Syd Barrett dopo aver fondato i Pink Floyd e Peter Green, anima dei primi Fletwood Mac).

Ad intervalli più o meno regolari la storia si ripresenta: una giovane rockstar se ne va prima del tempo. E puntualmente si analizza, si rincorrono le cause, si cerca una spiegazione. Da una parte, questa opzione fa parte del gioco: "better to burn out than to fade away" diceva Neil Young in una frase presa un po’ troppo sul serio da Kurt Cobain: "meglio bruciare velocemente che sbiadirsi fino a sparire", o peggio ancora arrugginire. Dall’altra parte, l’enorme carrozzone del Music business macina strada senza pietà e talvolta contribuisce al disfacimento di una personalità, magari già fragile e al limite. Dicono le cronache che meno di un mese fa Amy Winehouse apparve su un palcoscenico incapace di ricordare le parole delle sue canzoni, e che ai primi boo del pubblico tirò loro le scarpe. Subito dopo il suo management fu costretto a cancellare le rimanenti date della tournèe.

E ci si interroga: qual è la causa e quale l’effetto? Quale fenomeno ne alimenta a tal punto un altro da condurre all’eccesso sfrenato e alla morte (per adesso catalogata come "unexplained","senza spiegazione", dalla polizia londinese)? Love is a losing game dice una delle più belle canzoni scritte da Amy con la collaborazione di Mark Ronson. L’amore è un gioco in cui si perde, la vita è un gioco in cui si perde se non si trova un motivo adeguato per viverla. Non deve essere facile, senza un centro, resistere agli scossoni di una mente fragile, resa vulnerabile dall’uso continuo di droghe e alcol; magari essere spinti da manager aggressivi ad essere sempre più star maledette, per poter puntare sulla propria fama, scommettere senza scrupoli in un gioco, che però talvolta ha un prezzo troppo alto.

In tutti questi artisti si avverte il disperato bisogno di esprimere una altrettanto disperata ricerca di senso, che talvolta, grazie ad un incontro, porta ad una strada per poter continuare, talvolta invece porta a folle velocità in un vicolo cieco. C'è il rischio di semplificare troppo, ma analisi sociologiche anche più approfondite in genere non portano mai alla verità. La morte di Amy Winehouse fa saltare alla mente le parole di una canzone di un cantautore nostrano, Niccolò Fabi – fra l’altro qualche tempo dopo la scrittura di questa canzone, duramente provato dalla perdita di una figlia di due anni. In Costruire dice: “E in mezzo c’è tutto il resto – e tutto il resto è giorno dopo giorno – e giorno dopo giorno è silenziosamente costruire – e costruire è sapere, è potere rinunciare alla perfezione”. Forse una maggiore umiltà aiuta a non buttare via la vita. A non buttarsi via.