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SVOLTA

Finlandia, c'è un cattolico che piace agli islamici

Il populismo di Timo Soini, il vero vincitore delle elezioni, affonda le radici nell'identità culturale del paese che vede con sospetto i "nuovi furbi".

Attualità 21_04_2011
timo soini
Dite: “Guerra ai potenti!” e i finlandesi risponderanno subito di sì. Hanno sofferto frementi per secoli il dominio degli svedesi prima e dei russi poi e contro il colosso sovietico hanno condotto due eroiche campagne, nel 1939-40 e nel 1941-44, che, seppure sfortunate, fecero conoscere al mondo il valore e la determinazione dei soldati di quella repubblica nordica. Per decenni hanno resistito alle pressioni, spesso minacciose, dell’ingombrante vicino e difeso a fronte alta la propria indipendenza anche in tempo di pace.

Adesso si è ripresentata l’occasione di fare la guerra ai potenti, non piú stranieri, ma interni e rappresentati dai governanti, dai capitalisti, dai mestatori politici, in sostanza dai “furbi”, secondo un’interpretazione forse populistica, ma non proprio esagerata, ed essi hanno trovato in Timo Soini, un uomo nuovo, semplice, schietto e con i piedi per terra, il “paladino” della loro lotta per il riscatto dei “valori essenziali del popolo finlandese”.

Il partito “Sannfinländarna” (I veri finlandesi) ha un carattere indubbiamente populista, ma l’inaspettato successo riscosso alle ultime elezioni politiche (19% dei voti – appena un soffio in meno del 19,1 dei socialdemocratici) ne fa il terzo partito di Finlandia ed una forza che non può essere trascurata, né come componente di un’eventuale coalizione governativa, né quale massiccia opposizione. 

In realtà, questo non è il primo esperimento in Finlandia di un partito espressamente populista. Verso la fine degli anni Sessanta, Veikko Vennamo dette uno scossone all’establishment politico, ottenendo, nel 1968, l’11,3 per cento dei voti con l’appoggio del “Landsbygdspartiet” (Partito delle campagne) grazie ad un programma che voleva difendere i diritti del “piccolo uomo” nei confronti dell’opprimente apparato statale, politico o burocratico che fosse.

E si può dire che, in sostanza, Soini abbia raccolto l’eredità di Vennamo, allargando però la base dei consensi e delle adesioni con un programma che attira i poveri, i pensionati, i contadini, i religiosi di ogni credo e che mira a dare soddisfazione a tutti coloro che finora si sono sentiti vittime di torti. È indubbio che questa formula abbia funzionato. E, come se non bastasse, Soini ha condito questo piatto con una spezia speciale: l’avversione alla lingua svedese parlata - a detta di molti - dai rappresentanti dell’alta borghesia e della finanza, dai benestanti e dai titolari degli incarichi piú ambiti.

Cogliendo lo scontento dei gruppi religiosi, senza fare eccezioni fra cattolici, protestanti, musulmani ed ebrei, egli ha riunito interessi comuni che vanno contro le nuove “mode”. Non c’è voluto molto per trovare un consenso unanime nella condanna dei matrimoni e delle adozioni gay, sia fra i cattolici, sia fra i protestanti di vecchio stampo che, soprattutto nelle campagne, seguono le linee tradizionali del cristianesimo tramandato da generazioni ed ispirato a principi di vita integerrima basata sulla morale e sull’onestà. Ed anche gli elettori di fede islamica sono d’accordo con Soini per quanto riguarda non solo i principi su cui si basa la famiglia, quali la fedeltà coniugale e l’educazione e la cura dei figli, ma anche la condanna di fenomeni importati dall’estero quali la dissoluzione dei costumi, l’abuso di droghe e l’usura che, fino a poco tempo fa era sconosciuta in Finlandia, ma che sta prendendo piede con l’aumentare delle aspirazioni consumistiche e materialistiche alle quali si fa spesso fronte contraendo debiti. 

In una società fondamentalmente ed originariamente contadina, i cui componenti sono abituati a lavorare sodo per guadagnarsi onestamente il pane, certe soluzioni facilone di ricerca del benessere destano sospetti fondati e Soini non ha tardato a intravedere nel sistema politico il tarlo che sta erodendo i concetti morali dei cittadini.  
  
Egli ha colto anche il malumore diffuso dall’obbligo di contribuire con 1,4 miliardi Euro al Fondo Salva Stati e ha pronunciato infiammate filippiche contro l’Unione Europea. Lo stesso comportamento ha tenuto accogliendo le proteste di chi non vuole vedere aumentare il numero di profughi presenti nel Paese. 
 
I massmedia scandinavi lo avevano preso sottogamba, definendolo un “pagliaccio”, un fuoco di paglia, un pupazzo di neve che si sarebbe sciolto al sole della realtà quotidiana, ma gli elettori sono stati di parere diverso.

“I massmedia hanno tentato di sminuirci, pubblicando addirittura dati falsi sulle nostre possibilità elettorali, ma il popolo finlandese ci ha dato ragione, quintuplicando la nostra presenza in parlamento. Siamo i vincitori di queste elezioni e sono immensamente orgoglioso del nostro partito e della nostra ideologia.” Così si è espresso, parlando alla stampa, Timo Soini subito dopo la pubblicazione dei risultati elettorali.

Ma chi è dunque quest’uomo che ha fatto sussultare la Finlandia, accativandosi subito enormi simpatie?  Nonostante la vittoria a valanga, egli dice, pur tradendosi con gesti vistosi di giubilo: “Siamo umili. Vedremo che cosa si potrà fare in seno al governo, sempre che vengano accettati i nostri punti di vista.” Quest’uomo indubbiamente carismatico di 48 anni spiega: “La cosa che piú sta a cuore ai finlandesi è oggi la credibilità del sistema politico che abbisogna di un bagno purificatore per essere liberato da tutti i sospetti che lo avvolgono, non ultimi i finanziamenti”.

Al secondo posto, fra i punti del suo programma, Soini mette il rifiuto di pagare il pacchetto di salvataggio per i Paesi dell’Euro in difficoltà, facendo notare quanto siano stati furbi danesi e svedesi restando fuori dalla moneta unica e, subito dopo, la necesssità di ridurre il divario economico esistente fra ricchi e poveri. Ci sono poi altre misure che Soini giudica importanti per vaste fasce dell’elettorato finlandese e cioè la riduzione dell’accoglienza dei profughi, la lotta alla corruzione, l’abolizione dell’insegnamento obbligatorio della lingua svedese nelle scuole (che vuole rendere facoltativo, aggiungendo però che la conoscenza di due lingue facilita l’accesso al mondo del lavoro) e lo stop ai matrimoni e alle adozioni delle coppie gay.

Egli stesso si definisce, senza ipocrisia, populista, ma aggiunge subito che i Sannfinländarna sono il partito piú tollerante e spiega:” Io sono cattolico e, in tutta la Finlandia, noi cattolici non siamo piú di 9.000-10.000, ma ai nostri iscritti non importa affatto che io sia cattolico e contrario all’aborto. A loro interessa soltanto la politica. Critichiamo duramente l’Unione Europea, ma non ne siamo nemici”. Soini si ribella a chi vorrebbe applicare al suo partito il marchio di xenofobia e insiste nell’affermare di non avere alcun contatto con i partiti nordici che si sono affermati puntando sull’odio verso gli immigrati.

Quali sono le sue possibilità di far valere la linea del partito se egli venisse chiamato a far parte del governo? Poche, a detta degli osservatori, scandinavi. E se ciò dovesse verificarsi, con gli inevitabili compromessi, si ridurrebbe la schiera dei suoi elettori. Rimanere all’opposizione è la sola alternativa credibile e realistica. Ma per quanto tempo potrà Soini continuare a fare da bastian contrario senza presentare agli elettori risultati concreti della sua politica espressi in modifiche sostanziali del sistema? È qui che sono caduti i suoi predecessori populisti.
E se non lo vorranno al governo, dovrà rassegnarsi anche lui ad illanguidire a meno che la sua politica disturbatrice non provochi una crisi di governo con susseguenti elezioni dalle quali egli potrebbe uscire vincitore assoluto. E allora chi lo fermerebbe piú?