Fine del disastro: Marino dimesso con disonore
Si è dimesso il sindaco di Roma Ignazio Marino. Dopo una lunghissima giornata di incontri, pressing e trattative, iieri sera il primo cittadino della capitale ha deciso di lasciare l'incarico. Una mossa attesa sin dalla mattinata, dopo l'abbandono di tre assessori Pd. In piazza del Campidoglio è esploso il coro "Tutti a casa".
Paradossale la vicenda umana e politica di Ignazio Marino. Sopravvissuto ai tornanti di Mafia Capitale, si accappotta sul rettilineo dell'ordinaria amministrazione, pizzicato sulle note spese e su un uso a dir poco disinvolto della carta di credito in dotazione come sindaco. Ma la verità è che il suo partito l'aveva scaricato da tempo e che la sua inadeguatezza si era manifestata in molteplici occasioni. Dopo le sue dimissioni, giunte ieri sera, il destino del Comune di Roma sta per finire nelle mani del Prefetto Franco Gabrielli, che nominerà un commissario, nell'attesa che si attivino le procedure di legge per il voto anticipato. Poco valore ha lo spiraglio lasciato aperto dallo stesso Marino durante l'annuncio delle sue dimissioni: «Ho venti giorni per ripensarci.Voglio valutare se esistono ancora le condizioni politiche per proseguire».
La sua esperienza amministrativa è giunta al capolinea. Oltre ai milanesi, ai torinesi, ai napoletani, ai bolognesi e agli abitanti di altre città, anche i romani si recheranno alle urne nella prossima primavera per eleggere il loro nuovo sindaco. Sotto attacco per le spese istituzionali, il primo cittadino si è dimesso dopo che avevano lasciato il loro incarico, nella giornata di ieri, il vicesindaco Marco Causi e gli assessori Stefano Esposito e Luigina Di Liegro: «Non sussistono più le condizioni per andare avanti», avevano detto i tre esponenti dell'esecutivo, ultime new entry dopo il rimpasto di luglio. A intonare il de profundis alla giunta Marino erano stati alcuni consiglieri Pd in Campidoglio: «È finita. Si va a casa». In casa Pd era stata valutata anche la possibilità di sfiduciare in Aula il primo cittadino.
Già da tempo il premier aveva lasciato trapelare di non essere più disposto a tollerare la permanenza di Marino a Palazzo Senatorio. E il commissario del Pd romano, Matteo Orfini lo ha subito comunicato al chirurgo dem dicendogli chiaramente che, nel caso avesse opposto resistenza, il Pd avrebbe ritirato i suoi assessori dalla giunta. In quel momento Marino ha capito che per lui era finita. Il sindaco uscente, sotto attacco tra l'altro per le spese istituzionali, nel tentativo disperato di salvare la poltrona, aveva deciso di restituire di tasca sua tutte le spese sostenute con la carta di credito del Comune di Roma. Ma l'annuncio non ha fermato lo smottamento della sua amministrazione. Ora cosa accadrà? Le dimissioni presentate dal sindaco diventano efficaci e irrevocabili entro 20 giorni dalla loro presentazione al Consiglio comunale. Inizia così la procedura di scioglimento del Consiglio comunale e cessano tutte le cariche politiche. La verità è che peraltro Marino non è nuovo a figuracce come quella di scontrini e ricevute.
Un episodio simile avvenne già 13 anni fa, quando fu costretto a dimettersi dall'Università di Pittsburgh e dall'Ismet di Palermo per una brutta storia di note spese anomale e rimborsi doppi. Intanto, la Procura di Roma chiederà a breve al Campidoglio tutta la documentazione relativa all'utilizzo della carta di credito assegnata a Marino per il rimborso delle spese di rappresentanza. Ma la restituzione dei ventimila euro spesi in due anni da parte di Marino non avrebbe comunque effetti sulle valutazioni della Procura. Stando a quanto appreso in ambienti giudiziari, l'eventuale reato di peculato ipotizzato nell'esposto presentato da Fratelli d'Italia in base al quale è stato aperto un fascicolo senza ipotesi di reato a carico di ignoti non verrebbe estinto in caso di restituzione delle somme. Al di là della piega che prenderanno le indagini, la questione è ormai tutta politica.
Il Pd teme contraccolpi sulla stabilità di governo e sull'immagine di Roma nel mondo, visto che il Giubileo è alle porte. Proprio per queste ragioni dovrà scegliere un candidato sindaco inattaccabile. In queste ore circola perfino il nome del Commissario Anticorruzione, Raffaele Cantone, che metterebbe tutti d'accordo e consentirebbe a Renzi di blindare il Campidoglio. Difficile immaginare avversari di centrodestra o grillini in grado di contrastare una candidatura di tale autorevolezza. Sarebbe un messaggio fortissimo in termini di difesa della legalità e perfino Alfio Marchini, che da anni lavora per fare il sindaco di Roma, si vedrebbe chiuso in un angolo. Ma Cantone accetterebbe un'investitura del genere, che lo costringerebbe a interrompere il lavoro iniziato all'Autorità Anticorruzione? Le alternative che Renzi starebbe sondando guardano al passato. Walter Veltroni e Francesco Rutelli hanno entrambi lasciato buoni ricordi in molti romani e potrebbero riabilitare almeno in parte l'immagine della sinistra agli occhi della città. Tuttavia, sondaggi ben accreditati parlano di un Movimento Cinque Stelle di gran lunga primo partito nella capitale e quindi sicuro di arrivare al ballottaggio.
Il centrodestra, tanto per cambiare, è spaccato in tante anime. Giorgia Meloni vorrebbe candidarsi e parte di Forza Italia sarebbe d'accordo, mentre il Nuovo Centrodestra spera in candidati più moderati, come lo stesso Marchini, che però continua a dirsi trasversale e lontano dagli schieramenti. É ancora presto per lanciare candidature, ma è certo che Renzi alle amministrative di primavera si gioca molto del suo futuro politico. Perdere sia Roma che Milano vorrebbe dire l'inizio della fine. Lui lo sa e con candidati autorevoli come Raffaele Cantone a Roma e Giuseppe Sala (amministratore delegato di Expo 2015) a Milano vuole scacciare questi fantasmi. Ma il suo partito lo seguirà?