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SEQUESTRO DEL TORCHIO

Filippine, non c'è pace nella terra dei Moro

L'ex missionario del Pime Rolando Del Torchio è stato rapito da jihadisti o ai fini di un'estorsione? Probabilmente entrambe le cose, perché nella Mindanao musulmana i gruppi armati si finanziano con i sequestri. E' comunque la dimostrazione che l'accordo di pace del 2014 resta solo sulla carta.

Esteri 09_10_2015
Rolando Dal Torchio

Rapimento a scopo di estorsione o nuovo capitolo del terrore islamista? È la domanda che resta aperta nelle Filippine all’indomani del sequestro di Rolando Del Torchio, l’italiano cinquantasettenne, ex missionario del Pime, portato via l’altra sera dalla sua pizzeria di Dipolog, sull’isola di Mindanao, dove era tornato a vivere da qualche anno dopo aver abbandonato il sacerdozio. Ed è una domanda che resta aperta, non tanto per la difficoltà a fare luce sull’accaduto, ma perché in un posto come Mindanao è davvero difficile tracciare una linea di demarcazione netta tra una situazione e l’altra.

È risaputo, infatti, che i gruppi fondamentalisti islamici - dai più radicali come Abu Sayyaf, che si riconosce nello Stato islamico, fino ai gruppi indipendentisti locali - utilizzano il sequestro di persona come fonte di finanziamento delle proprie attività. E dunque - ben al di là delle finalità politico religiose - tenere in ostaggio uno straniero può significare semplicemente puntare a un riscatto più alto per portare avanti le proprie mire. Detto questo - però - è vero che quella islamista non è l’unica pista. Come ricordava ieri ad AsiaNews padre Gianni Re - il superiore del Pime nelle Filippine, che conosce ovviamente molto bene l’ex confratello - «ci sono parecchi rapimenti anche di filippini, gente non ricca (insegnanti, piccoli negozianti) e succede di frequente che, quando si avvicinano le elezioni aumentino». E comunque è di appena due settimane fa la notizia di altri tre stranieri - due canadesi e un norvegese - portati via da un resort nella zona di Davao, insieme a una donna filippina. 

Che i responsabili di questi sequestri siano islamisti oppure no, dunque, di certo la loro azione sembra fatta apposta per mostrare come il tanto sbandierato accordo sul Bangsamoro - l’accordo di pace firmato nel marzo 2014 e che nell’arco di due anni avrebbe dovuto portare nelle province a maggioranza musulmana di Mindanao la nascita di una regione ad ampia autonomia, ponendo fine al conflitto con Manila - resta arenato nelle secche e nelle ambiguità di un territorio che non basta un pezzo di carta a pacificare. Perché - appunto - quello del cosiddetto popolo Moro, i musulmani di Mindanao, minoranza numericamente e storicamente significativa nelle cattolicissime Filippine, è un movimento in realtà diviso in mille rivoli e mille traffici che attraversano quel vero e proprio Far West che è la grande isola del Sud.

Come accennato sopra, il 2016 sarà l’anno delle elezioni nelle Filippine: sono già fissate per il 9 maggio e saranno sia per il presidente, sia per il parlamento. E proprio in quell’occasione - secondo l’intesa firmata un anno e mezzo fa tra l’attuale presidente Benigno Aquino III e Al Haj Murad Ibrahim, il leader del Milf (uno dei due principali gruppi di milizie islamiche tra loro antagoniste che si battono per l’autonomia) - sarebbe dovuto nascere ufficialmente il Bangsamoro, la regione speciale dei Moro all’interno delle Filippine. Solo che l’iter stabilito dall’«accordo fondamentale» del 2014 è ampiamente saltato perché la Basic Law, la legge istitutiva che dovrebbe definire i contorni dell’autonomia sciogliendo anche numerose ambiguità, resta arenata in parlamento a Manila. E a smuoverla non contribuisce di certo la consapevolezza del fatto che - anche se il Milf alla fine dovesse confermare il proprio sostegno all’intesa - ci sono già altri gruppi islamici che si sono tirati fuori. E nel marzo scorso non hanno mancato di far precipitare di nuovo la regione nel sangue.

Questa è dunque la realtà di Mindanao oggi: una realtà dove il processo di pace resta sulla carta. Ma anche in un contesto ricchissimo di materie prime come il ferro, il rame, l’oro, il legname pregiato, che solleticano tanti appetiti compresi interessi fortissimi di grandi imprese multinazionali. Una polveriera - in sintesi - dove alla fine è la legge del più forte l’unica a regnare. La stessa che l’altra sera ha portato un gruppo di miliziani a mettere nel mirino l’ostaggio probabilmente più facile. Per finanziare il jihad, la campagna elettorale o qualche altra operazione criminale? In fondo cambia poco se lo si guarda con gli occhi dei poveri di Mindanao. Quelli che Rolando Dal Torchio come missionario era arrivato nelle Filippine per servire. E con i quali, anche una volta lasciato il Pime, aveva voluto continuare comunque a rimanere.