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Fertilità a rischio coi vaccini? Uno studio getta ombre

Le voci all'interno della comunità scientifica sugli eventuali rischi alla fertilità dopo il vaccino anti covid sono sempre state silenziate dalla propaganda. Ma un nuovo studio argentino getta ombre e dubbi che andrebbero invece fugati e chiariti. La proteina spike è simile alle sincitine, che vengono prodotte per lo sviluppo della placenta. 

Attualità 31_01_2021 Español

Fin dal primo annuncio dei vaccini anti Covid, nella comunità scientifica si sono fatte sentire delle voci che invitavano a porre attenzione agli eventuali problemi per i danni alla fertilità che i vaccinati potevano subire. Naturalmente queste voci sono state immediatamente soffocate dalla consueta propaganda pro vax che non può nemmeno lontanamente ammettere che i vaccini non siano la panacea al Covid come ad altri mali.

E così molte persone pensano che in effetti è un po’ curioso che un vaccino possa avere come effetto il rendere uomini o donne sterili, eppure non sarebbe la prima volta che attraverso la pratica della vaccinazione di massa si mettono in atto delle vere e proprie misure maltusiane di controllo delle nascite.

Il caso più famoso - per chi avesse la memoria corta - avvenne in Africa e venne portato alla luce nel febbraio del 2015. La Conferenza Episcopale del Kenya denunciò che il 30% delle fiale di vaccini anti tetano utilizzate durante una campagna sponsorizzata e promossa dall’Oms e dall’Unicef, svolta l’anno prima, conteneva l’Hcg, l’ormone della gonadotropina corionica umana, un ormone che può impedire la gravidanza. I fatti vennero messi in luce da una commissione scientifica, incaricata dalla Chiesa del Kenya e dal ministero della Salute keniano di verificare se nei vaccini impiegati nella campagna contro il tetano materno e neonatale fosse presente l’ormone in grado di rendere i vaccini uno strumento surrettizio di controllo delle nascite. La commissione d’inchiesta confermò i fatti, ma Oms e Unicef non risposero mai di queste responsabilità.

Un vaccino dunque, che è un importante strumento di prevenzione, può non essere estraneo ai meccanismi della fertilità umana. Non deliberatamente, magari, ma come effetto collaterale. Questo è l’allarme che è stato lanciato nei giorni scorsi da una scienziata argentina, l’immunologa Roxana Bruno, che ha messo in evidenza il rischio che determinati vaccini anti Covid che utilizzano la proteina spike (S o “Spike”) del virus SARS-CoV-2 come antigene per attivare la risposta immunitaria possano causare infertilità. Questo perché i vaccini COVID-19 posseggono un’elevata somiglianza genetica e proteica con due proteine umane, Sincitina-1 e Sincitina -2. (in questo articolo i rimandi bibliografici dello studio)

Le sincitine umane sono il prodotto dell’espressione dei geni dell’involucro (Env) dei retrovirus endogeni umani (HERV): sono proteine che mediano la fusione tra le cellule e hanno proprietà immunosoppressive. Le sincitine sono espresse fisiologicamente durante la gravidanza: intervengono nello sviluppo della placenta, nel differenziamento dei trofoblasti, nell’impianto dell’embrione nell’utero materno e nell’immunosoppressione del sistema immunitario della madre per prevenire il rigetto allogenico dell’embrione. A causa della notevole somiglianza tra le sincitine e la proteina spike di SARS-CoV-2, le risposte anticorpali indotte dal vaccino COVID-19 potrebbero innescare una reazione crociata contro le sincitine, causando effetti collaterali allergici, citotossici e / o autoimmuni che interessano la salute umana e la riproduzione.

I vaccini a mRNA hanno il potenziale per interferire sul DNA umano mediante il meccanismo del silenziamento genico mediato dall’RNA di interferenza. Il gene della sincitina potrebbe essere messo a tacere utilizzando inibitori oligonucleotidici antisenso. Quando la quantità di proteina sincitina diminuisce, si verificano gravi difetti nella placenta, scarsa differenziazione del trofoblasto umano e disfunzione vascolare placentare, con conseguente fine della gestazione.

Ancora una volta, di fronte a questi allarmi lanciati da ricercatori, la domanda più che lecita e doverosa è questa: sono stati tenuti in considerazione questi rischi in fase di preparazione dei vaccini? Sono state fatte le necessarie verifiche nel corso dei trials? Sono stati effettuati studi di sicurezza nei modelli animali appropriati? Sono stati rispettati i tempi necessari per rilevare effetti avversi a medio e lungo termine, anche sulla fertilità? Sono domande per le quali ci si deve attendere delle chiare risposte.

In caso contrario, sarebbe poco etico esporre persone al rischio dell’infertilità, persone giovani che potrebbero affrontare il Covid anche senza vaccino, curandolo con semplici farmaci antinfiammatori. 

Una serie di prove documentate sull’assenza di rischi per la fertilità potrebbe anche rassicurare rispetto ai timori che i peggiori ambienti neo maltusiani che da tempo lavorano attivamente per abbattere drasticamente i tassi di natalità possano utilizzare le campagne vaccinali anti Covid per realizzare i loro obiettivi.