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Sanità

Farmaco blocca-pubertà: via libera con il sì dei cattolici

Il Comitato nazionale di bioetica dà l'ok all'utilizzo di un farmaco che blocca la pubertà, grazie anche alla sua componente cattolica (meno un voto contrario).

Gender Watch 29_07_2018

Nel 2013 l’ospedale Careggi di Firenze chiese il via libera per l’utilizzo di farmaci in grado d'inibire gli ormoni responsabili dello sviluppo della pubertà, sostenendo attraverso Mario Maggio, primario di Medicina della sessualità, che la disforia di genere (la percezione di trovarsi nel corpo di sesso sbagliato) che affliggeva certi bambini poteva essere curata così. In poche parole bloccando lo sviluppo sessuale del suo corpo il piccolo avrebbe avuto più tempo per decidere se essere maschio o femmina. Ovviamente si sollevò una polemica, soprattutto in casa cattolica, data la follia di curare un disturbo mentale, anziché cercandone le cause, avallandolo. Un po' come se, a chi si sentisse un gatto, accettassimo di mettere la coda. Osservazioni che fino a cinque anni fa sembravano ancora ovvie, come ovvio è il fatto che in presenza di una dissociazione fra sesso biologico e identità percepita, il problema non è del corpo, ma della mente. Oggi, però, pare non essere più certo neppure questo. Nemmeno in casa cattolica.

Sì perché il parere del Comitato Nazionale di Bioetica (CNB) in risposta alla richiesta dell’AIFA del 10 aprile scorso di utilizzare «la triptorelina per il trattamento di adolescenti affetti da disforia di genere (DG)», reso noto il 23 luglio, porta la firma di medici, genetisti, giuristi e filosofi cristiani come Bruno Dallapiccola del Bambin Gesù di Roma, Francesco D’Agostino, presidente dei Giuristi Cattolici, Lucio Romano, ex presidente di Scienza & Vita, Lucetta Scarrafia, editorialista dell'Osservatore Romano, Mariapia Garavaglia, ex ministro della Sanità, i filosofi Laura Palazzani e Antonio Da Re e l'economista Massimo Sargiacomo. Con un solo parere contrario, quello di Assuntina Morresi, docente di Chimica-Fisica e le astensioni dei rappresentanti dell’Istituto Superiore di Sanità e del Consiglio Superiore di Sanità. 

Il CNB parla di «eticità dell’uso del farmaco triptorelina» quando «il trattamento sia limitato a casi ove gli altri interventi psichiatrici e psicoterapeutici siano risultati inefficaci». Di fatto si accetta così che la terapia ormonale tesa al futuro cambiamento di sesso, che può rovinare una persona a vita, figurarsi un bambino, possa essere una risposta (anche a partire dalla tenera età) ad un disagio interiore. Come se bloccare lo sviluppo sessuale del bambino servisse ad «una maturazione della sua consapevolezza» dato che «i cambiamenti fisici irreversibili della pubertà...possono essere fonte di estrema sofferenza».

Ovvio che per arrivare a sottoscrivere tanta menzogna si sarà insistito sul fatto che i bambini minacciano il suicidio (sebbene ad essere reali sono i suicidi fra chi ha cambiato sesso), presentando casi limite e strappalacrime. Resta il fatto che: dare il proprio consenso ad un documento del genere non ha scusanti per medici o scienziati, perché significa sposare un’ideologia devastante che nega l'evidenza della realtà e che mira a sovvertire la natura e la creazione. Niente di diverso dalla fila di esperti che seguirono l’ideologia eugenetica e ariana del regime nazista. 

A dirlo è perfino il mondo laico che, a furia di fare esperimenti contrari al minimo buon senso, ora piange sul latte versato. È singolare che proprio in questi giorni la rivista The Atlantic abbia pubblicato una lunga inchiesta sui cosiddetti “detransitioner”, i bambini con disforia di genere a cui è stato bloccato lo sviluppo sessuale e che poi sono tornati indietro. I casi aumentano e dicono che il farmaco ha causato loro più problemi psicologici di quelli iniziali. Purtroppo però terapisti, genitori o ambienti frequentati, soprattutto la scuola, li hanno spinti a credere che quella fosse la soluzione. Tutto ciò anche se persino l’Associazione professionale mondiale per la salute dei Transgender disse come il CNB di usare cautela, esortando, prima di intervenire sullo sviluppo sessuale, a «intraprendere un’ampia indagine delle questioni psicologiche, familiari e sociali».

Purtroppo però pare non esserci più argine, né lotta per cercare di fermare una deriva che in pochi anni sta mietendo vittime rese consenzienti senza bisogno dell’uso della forza. Basti pensare al fatto che in Inghilterra, i bambini sottoposti ai bombardamenti ormonali sono passati da qualche centinaio a migliaia, sebbene la Johns Hopkins University di Baltimora, primo centro americano a praticare bombardamenti ormonali e “chirurgia di riassegnazione sessuale”, avesse già deciso di mettere fine a questo tipo di interventi. «Produrre un paziente “soddisfatto”, ma ancora afflitto dai problemi ci sembrava una ragione inadeguata per continuare ad amputare chirurgicamente organi sani», ricordò Paul McHugh, l’ex primario di psichiatria della clinica universitaria, in un articolo del Wall Street Journal

McHugh criticò l’uso di pillole che bloccano la pubertà anche perché studi di follow-up, «sia alla Vanderbilt University sia alla Portman Clinic di Londra», rilevavano che «quando i bambini che riferivano inclinazioni transgender erano seguiti senza terapie mediche o chirurgiche, il 70-80 per cento di loro perdevano spontaneamente le inclinazioni». Perciò «i politici e i media non fanno il bene del pubblico, né delle persone con sentimenti transessuali trattando la loro confusione come un diritto da difendere piuttosto che come un disordine mentale che richiede comprensione, trattamenti e prevenzione».

Sulla stessa linea il medico inglese Robert Lefever disse nel 2016 al The Sun che «tutte le creature più piccole sono facilmente influenzabili». Non si possono trattare i disagi come «mode», perché «è un fatto che alcune diagnosi diventano moda» e «quasi un distintivo d’orgoglio» degli adulti, confessò il medico. E quando «i problemi emotivi dei genitori diventano problemi fisici e psicologici per i loro figli» non ci si può accontentare di proporre come soluzione il blocco della pubertà. Nell'inchiesta del The Atlantic sono diversi i giovani che passati da questi trattamenti parlano di vite devastate e di ambienti che li hanno spinti in questo senso. Solo una giovane ringrazia la sua psicologa per averle curato il disturbo mentale, visto che ora «sto bene».

Ma bisognerà vedere se il governo italiano, davanti non solo ad un parere unanime (fatta eccezione per una mosca bianca) del CNB e ad un mondo cattolico arreso (basti pensare al comunicato del CDNF che esprime preoccupazioni senza condannare l’uso del farmaco a questi fini), sarà abbastanza forte da opporsi come dovrebbe all’uso della triptorelina, che l’AIFA mira a rendere rimborsabile dal sistema sanitario nazionale per trattare la DF.

Anche perché il governo aveva promesso di non addentrarsi in questioni etiche delicate, senza esserci riuscito. Dato che alla richiesta del Comitato Superiore di Sanità di bloccare la vendita della cannabis light il ministro della Salute grillino ha fatto orecchie da mercante, mentre «a nome del governo» il sottosegretario alla presidenza del Consiglio sfilava con il Gay Pride davanti al Santuario della Madonna di Pompei.

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