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STUDI E ABORTO

Farmaci anti-Covid, la trappola etica

Molnupiravir e Paxlovid sono le nuove promesse nel campo della ricerca di farmaci anti-Covid. Ma anche lo sviluppo di questi due farmaci ha coinvolto linee cellulari di feti abortiti. Curioso che le varie commissioni di bioetica non abbiano nulla da dire. Mentre si sono demonizzati farmaci che non hanno controindicazioni etiche. 

Attualità 22_11_2021

Nuove promesse sul mercato farmaceutico nella lotta contro il Covid-19. Si tratta di due antivirali, il Molnupiravir della Merck & C. (MSD al di fuori di USA e Canada) e il Paxlovid della Pfizer-BioNTech, entrambi somministrabili oralmente e quindi più facilmente utilizzabili nel contesto domestico.

L’Agenzia Italiana del Farmaco informa (vedi qui) che per Molnupiravir (conosciuto anche come MK 4482 e Lagevrio), «l’EMA ha avviato la revisione dei dati disponibili» sul suo uso «per supportare le autorità nazionali che potrebbero decidere di impiegare il medicinale per il trattamento di COVID-19 prima della sua autorizzazione». Il farmaco sarebbe in grado di «ridurre la capacità del SARS CoV 2 [...] di moltiplicarsi nell’organismo, aumentando il numero di mutazioni del materiale genetico (RNA) del virus, in modo da renderlo incapace di replicarsi». Molnupiravir si presenta come un inibitore dell’RNA polimerasi virale; dovrebbe perciò interferire e bloccare la produzione dell’RNA del virus SARS CoV2.

Pfizer ha invece lanciato Paxlovid, un inibitore delle proteasi (enzimi virali), che ha anch’esso lo scopo di impedire la replicazione del virus responsabile della malattia Covid-19.

In attesa di riscontri reali dell’annunciata efficacia e sicurezza di questi farmaci, è doveroso far notare che risultano eticamente inaccettabili, in quanto contaminati dall’aborto. Vediamo perché.

In un articolo scientifico pubblicato su Nature (marzo 2021), dal titolo SARS-CoV-2 infection is effectively treated and prevented by EIDD-2801, si apprende che sia nella fase di trasfezione (trasferimento di materiale biologico esterno all’organismo in cellule riceventi) che in quella di test di Molnupiravir (Mk-4482/Eidd-2801) sono stati utilizzati topi umanizzati (humanized-mice). In questo caso si tratta di topi a cui sono stati impiantati sul dorso tessuti di polmoni fetali. Va da sé che si tratta di bambini abortiti.

Anche nel caso di Paxlovid, uno studio testimonia dell’utilizzo di due linee cellulari per diversi test in vitro nella fase preparatoria. La prima è la MRC-5 (Medical Research Council, linea cellulare 5), realizzata nel 1966 da J. P. Jacobs, a partire dai polmoni di un bimbo sano di 14 settimane. La seconda, la Vero-E6, non è derivata da un feto umano, ma dal rene di una scimmia verde.

Si tratta dunque, ancora una volta, di due farmaci realizzati in modo immorale, perché in fasi essenziali per il loro sviluppo si sono serviti di tessuti estratti da feti abortiti. Nel primo caso, in un modo che potremmo definire immediato, per impiantarli sulle cavie, mentre nel secondo, in modo mediato, in quanto non è stato utilizzato direttamente il tessuto fetale, ma la linea cellulare sviluppata a partire da quest’ultimo.

È davvero curioso che questi farmaci stiano trovando un’entusiasta accoglienza a livello mediatico, esattamente come i sieri denominati, per comodità, vaccini. Ovviamente con la precisazione che questi farmaci non dovranno assolutamente essere intesi come “sostituti” dei vaccini. Altrettanto “curioso” è che dalle varie commissioni di bioetica, praticamente una per ogni diocesi, non si siano ancora sentite voci di ferma condanna. E probabilmente non verranno.

Differente trattamento hanno invece ricevuto, sempre a livello mediatico, farmaci ben conosciuti come l’Ivermectina e l’Idrossiclorochina. Per farsi un’idea della loro reale efficacia nella cura contro Covid-19, è possibile consultare gli studi finora effettuati rispettivamente qui e qui, ma non è questo che ci interessa. Tra le diverse accuse, tristemente proveniente dal fuoco amico del mondo pro-life, ci sarebbe anche quella che anch’essi sarebbero connessi all’aborto, verità che i tanto zelanti oppositori dei vaccini non vedrebbero.

Il punto è che occorre distinguere tra l’utilizzo delle linee cellulari fetali nelle differenti fasi di sviluppo di un farmaco e il loro uso in studi successivi alla realizzazione del medesimo farmaco.

L’Idrossiclorochina è un farmaco antimalarico approvato negli USA nel 1955. Alcuni studi menzionerebbero il ricorso alla linea cellulare HEK-293, che però è stata ricavata nel 1973, quasi vent’anni dopo la realizzazione e l’immissione in commercio del farmaco. E’ chiaro che si tratta di studi indipendenti, successivi all’immissione in commercio del farmaco; non è dunque possibile affermare che il ricorso alla linea cellulare fetale sia stato fondamentale per lo sviluppo del farmaco stesso. Ciò non significa che sia lecito utilizzare le linee cellulari negli studi successivi; si sta semplicemente dicendo che non corrisponde a realtà affermare che l’Idrossiclorochina sia connessa con l’uso delle linee cellulari fetali e dunque con l’aborto. Sono semmai questi studi successivi ad esserlo.

Discorso analogo per l’Ivermectina, scoperta nel 1975 e immessa in commercio nel 1981. Esistono studi che menzionano la HEK-293, che era già stata scoperta, ma ancora una volta si tratta di ricerche successive, quando il farmaco era già realizzato e in commercio.