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INTERVISTA

«Fare una battaglia contro i matrimoni gay non dà la patente per governare un Paese»

Parla John Waters, giornalista e scrittore irlandese che ha sperimentato la violenza della lobby Lgbt in occasione della campagna referendaria sui matrimoni gay: «Si è cominciato togliendo al padre biologico i diritti sui figli, per poi arrivare alla stepchild adoption. La strategia è spezzare ogni legame biologico, tra genitori e figli, l'obiettivo è la distruzione della famiglia». «Tanti uomini al vertice della Chiesa sembrano più interessati a piacere a tutti».

Famiglia 05_03_2016
John Waters

John Waters

«Ho appoggiato il movimento pro-family irlandese ma non è affatto detto che li vorrei alla guida del mio Paese». Così il giornalista e scrittore cattolico John Waters, intervistato dalla Nuova Bussola Quotidiana, interviene nel dibattito italiano sul nuovo partito della famiglia presentato da Mario Adinolfi e Gianfranco Amato, spiegando la differenza fra la battaglia su uno scopo ben preciso e la competenza generale richiesta dal governo di un Paese.. Abbiamo incontrato Waters a Roma poco prima della sua lettura «Come si intimidisce un Paese: l'Irlanda bullizzata sul matrimonio gay», pronunciata in occasione dell’apertura dell’anno accademico della Fondazione Magna Carta. Il noto editorialista convertito al cattolicesimo ha parlato delle sue battaglie sui temi antropologici, del suo impegno contro la deriva relativista dell’Irlanda e del suo coinvolgimento nel movimento per il ‘No’ al referendum sul matrimonio egualitario per i gay.

Oggi sei qui per raccontare cosa è successo durante la campagna per il referendum sul matrimonio gay che ha visto la netta vittoria dei ‘Si’. Sappiamo che ci sono stati veri e propri fenomeni di bullismo contro chi era contrario al matrimonio gay, una intimidazione sistematica per gli attivisti del fronte del No...
In effetti un vero dibattito nella società non c’è mai stato. Il clima era quello di un film spaghetti western, ovvero da una parte i buoni dall’altra i cattivi. Ovviamente le testate giornalistiche e tutti i principali partiti erano schiarati per il ‘si’; la lobby gay ha preso il sopravvento anche sui social media e la Chiesa non ha aiutato. Siamo stati silenziati fin da subito. Inoltre c’è da considerare che molte multinazionali come Google, che a causa della bassa tassazione hanno aperto una sede in Irlanda, hanno sostenuto in ogni modo il movimento per il ‘si’. C’è stato un vero e proprio lavaggio del cervello. Il bombardamento mediatico era continuo, sentivi dire ovunque: forza sostieni anche tu il matrimonio gay!.

Anche tu sei stato preso di mira per la tua militanza contro i matrimoni gay.
Io sono arrivato su queste posizioni come singolo e non trascinato da un movimento. La mia storia di ragazzo padre mi ha fatto capire che in Irlanda i diritti del padre non sono garantiti. E la comunità gay mi ha attaccato molto proprio per questo. Perché se vengono riconosciuti i diritti del padre biologico sui figli poi viene giù tutto il castello della stepchild adoption. Se si eliminano tutti i diritti dei genitori biologici sui bambini è più semplice far passare le adozioni per i gay. Il loro obiettivo infatti è rompere ogni legame naturale tra genitore e figlio.

Quindi anche in Irlanda esiste l’istituto della stepchild adoption?
Noi abbiamo una delle leggi più radicali in materia di diritti per gli omosessuali. In Irlanda da dopo il referendum è entrato in vigore il matrimonio egalitario.

È consentito anche l’utero in affitto?
No, in teoria non è consentito, ma una coppia di gay può rivolgersi a qualsiasi corte e per il principio di non discriminazione ottiene il riconoscimento della filiazione effettuata tramite questa tecnica. Quando sono state introdotte le unioni civili nel 2010 tutti hanno detto che questa era la cosa giusta da fare, ma non avevano capito che era solo l’inizio: per ogni obiettivo raggiunto la lobby gay ne fissa subito un altro. Lo scopo finale non è ottenere più diritti ma distruggere la famiglia come l’abbiamo conosciuta finora, rompere ogni connessione biologica, è un disegno molto radicale.

Dopo il referendum hai detto che in Irlanda la democrazia è morta. Hai già potuto verificare quali effetti ha prodotto questa legge nella società irlandese?
Ero molto pessimista dopo il referendum, pensavo che il cambiamento radicale della società irlandese fosse inarrestabile. Ma le elezioni politiche di una settimana fa hanno rappresentato una novità molto interessante. Il governo uscente che ha promosso il matrimonio egualitario è stato duramente sconfitto. I laburisti sono passati da 33 a 7 in parlamento. Io non credo che la gente abbia punito i partiti di governo perché hanno favorito l’introduzione del matrimonio egualitario per i gay. Ma inconsciamente questo ha influito molto sulla decisione degli elettori. Per molti irlandesi la questione dei matrimoni gay rappresenta comunque una ferita aperta nel loro sentire più profondo e poi la maggioranza degli elettori sono rimasti delusi dal fatto che il partito laburista aveva promesso loro di far uscire l’Irlanda dalle politiche recessive imposte dalla Troika. Questi elettori hanno quindi fatto un bilancio delle politiche dell’esecutivo e hanno visto che l’unica cosa che è riuscito a fare è stato il matrimonio per i gay. La gente si chiede che cosa ha fatto il governo per i miei figli? Per la mia vita? I diritti fondamentali da garantire sono solo quelli dei gay? Insomma che se ne fanno le famiglie del matrimonio gay con tutti i problemi che hanno, gli irlandesi hanno perfino ripreso ad emigrare. Questa è il ragionamento che ha portato alla sconfitta dei partiti più vicini alle battaglie Lgbt piuttosto che una reazione diretta al matrimonio gay.

Quindi il movimento per il "No" non ha influito molto sul voto politico?
In Irlanda non c’è stato un vero e proprio movimento di massa pro-family. Questo corrispondeva più o meno con il mondo cattolico più impegnato. E questo ha costituito un pregiudizio su cui ha fatto leva la comunità omosessuale e il movimento per il ‘Si’. Tutti i giornalisti che mi intervistavano premettevano sempre che io ero cattolico, come se fosse un’etichetta che spiega tutto. Ma io sono contro il matrimonio per i gay non perché sono cattolico, la mia scelta è una questione pre-politica, antropologica, che riguarda l’identità dell’essere umano,  non mi ha scritto il Papa suggerendomi quale posizione prendere. Da giovane, quando facevo il giornalista musicale, ero vicino alla sinistra. Poi ho maturato queste posizioni a causa della mia esperienza di ragazzo padre. Andai da persone di sinistra offrendo loro la mia esperienza per battersi per i diritti dei padri e loro mi risposero di stare zitto. In quel momento mi resi conto che la distruzione della figura paterna era una delle strategie del pensiero unico dominate.

Tu hai detto che i vescovi irlandesi, non hanno fatto praticamente nulla per fermare il matrimonio egalitario. Hai anche chiesto al nunzio in Irlanda di esortare la Santa Sede a prendere posizione, ma non è successo nulla. La Chiesa deve intervenire direttamente dando indicazioni di voto o come sostengono alcuni cattolici è necessaria più un’iniziativa culturale di retroguardia nelle parrocchie?
Io credo che maggiore chiarezza da parte della Chiesa sarebbe stata utile. Invece la Chiesa irlandese è stata più attenta a compiacere tutte le posizioni. Gli stessi membri del clero dicevano cose diverse se a intervistarli era un giornale conservatore o progressista. Un messaggio di Papa Francesco sarebbe stato molto utile, perché questo Pontefice gode di grade considerazione e di credibilità da parte di tutti. La sua capacità di parlare alle masse con un linguaggio semplice e diretto avrebbe sicuramente condizionato il voto”

Ma in Irlanda si vuole espellere la Chiesa dall’ambito pubblico?
Certo qualcuno vuole farlo, ma bisogna anche interrogarsi se la Chiesa vuole ancora dire qualcosa in ambito pubblico. Molte persone chiedono al clero di prendere una posizione chiara sui temi più importanti della società e la Chiesa non lo fa.

Come vedi la situazione in Europa? La dittatura del pensiero unico può essere fermato dai Paesi dell’est come Polonia e Ungheria?

Non credo, prima o poi cadranno anche loro. La riscossa partirà da quei Paesi che per primi hanno sperimentato le leggi imposte dal pensiero unico dominante, che per primi hanno subito il cambiamento antropologico. E loro capiranno per primi l’errore che hanno commesso. La reazione non verrà dal tradizionalismo o da processi politici, ma sarà una cosa naturale, pre-politica, saranno i nostri corpi a ribellarsi, le nostre relazioni biologiche, la nostra cultura. Sarà una reazione contro le bugie della società radicale di massa. Perché non si potrà insistere a dire che l’essere umano è qualcosa di diverso. Ratzinger ha detto che la verità ha sempre un futuro, la verità prima o poi ha il sopravvento.

In Italia è nato un grande movimento di massa contro le unioni civili e alle adozioni per i gay, che ha portato in piazza milioni di persone in due grandi Family Day. Ora alcuni esponenti di questo movimento hanno presentato una lista politica. A tuo giudizio è giusto fondare un partito per difendere queste istanze antropologiche o meglio continuare un'azione che contamina diversi partiti?
Secondo la mia esperienza un sostegno ricevuto su tematiche di ordine etico come aborto, matrimonio, diritti dei bambini, non si traduce automaticamente in un sostegno disposto a votarti in un eventuale confronto elettorale. Le persone ti seguono nel movimento, la protesta ha un certo appeal, però poi molti dicono «io quello a capo dell’economia non ce lo metto». Non si può separare l’agenda dei temi etici da tutta l’agenda di governo e presentarsi solo con quella. Tu per fare un partito devi avere un programma vasto, devi avere grandi competenze, non puoi occuparti solo di alcuni principi. Ci sono grandi questioni come l’immigrazione, l’economia, la politica estera. Io stesso ho dato supporto a chi si opposto al matrimonio gay, ma se mi chiedessero di votarli come leaders del mio Paese probabilmente direi di no. E poi se i pro-family si uniscono in un unico  contenitore rischiano  di essere marginalizzati dai loro oppositori.

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