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BRUXELLES

Europei uniti nell'esportare l'aborto nel terzo mondo

Promossa da quattro Paesi dell'Ue, Belgio, Danimarca, Olanda e Svezia, la conferenza She Decides intende raccogliere fondi per promuovere l'aborto nei paesi in via di sviluppo. Soprattutto in Africa, dove il grosso della popolazione lo ritiene una pratica inaccettabile. L'Ue non ha competenza in materia, ma ci prova comunque.

Vita e bioetica 02_03_2017
Bandiera europea

Ci deve essere un misterioso prurito ad animare quei particolarissimi esponenti politici che oggi, a Bruxelles, parteciperanno alla conferenza internazionale She Decides, che ha il fine di raccogliere fondi per promuovere l’aborto nei Paesi in via di sviluppo. I quali, magari, hanno priorità differenti dall’uccidere i propri bambini nel grembo materno, nascondendosi dietro il paravento dell’autodeterminazione.

La conferenza è stata promossa dai ministri della Cooperazione allo sviluppo di quattro Stati europei (Belgio, Danimarca, Olanda e Svezia), che attraverso questa campagna vogliono controbattere alla reintroduzione da parte di Donald Trump della cosiddetta Mexico City Policy, ossia la misura che impedisce di finanziare con fondi federali quelle organizzazioni non governative che procurano o promuovono attivamente l’aborto all’estero come metodo di pianificazione familiare.

Già a metà febbraio, proprio in risposta alla decisione del presidente americano di tagliare i fondi contro la vita nascente, il Parlamento europeo aveva approvato un emendamento a una risoluzione (non vincolante) per chiedere agli Stati membri, come “questione di urgenza”, di accrescere il finanziamento pubblico a favore delle varie Ong operanti nel campo dell’aborto e del controllo delle nascite, proponendo perfino la creazione di un fondo internazionale. Quell’emendamento è pieno di espressioni usate ipocritamente, come il concetto secondo cui dal finanziamento dei servizi abortivi dipenderebbero programmi rivolti alla “salute del bambino”. Un concetto insostenibile e penoso, che però fa parte da anni dell’armamentario linguistico degli abortisti che pretendono di presentarsi come filantropi.

L’odierna conferenza di Bruxelles servirà ai suoi promotori politici per proseguire nello stesso solco ideologico tracciato dal Parlamento europeo. Nonostante l’Ue non abbia alcuna competenza in materia di aborto, all’evento parteciperà il commissario europeo allo Sviluppo, Neven Mimica, assieme ai rappresentanti di diversi organi delle Nazioni Unite come il direttore esecutivo dell’Unfpa (Fondo per la popolazione), Babatunde Osotimehin, il vicedirettore generale dell’Oms per la salute della famiglia, delle donne e dei bambini, l’italiana Flavia Bustreo, il direttore esecutivo di Un Women, Phumzile Mlambo-Ngcuka, e il vicecommissario dell’Onu per i diritti umani, Kate Gilmore.

Si tratta cioè di alcune delle agenzie dell’Onu più impegnate sul fronte antinatalista, che più volte hanno subordinato gli aiuti ai Paesi africani all’accettazione di diffondere contraccettivi e altri mezzi per il controllo delle nascite. Ecco perché, in questi giorni, la presidente di Culture of Life Africa, Obianuju Ekeocha, ha pubblicato un videomessaggio per domandare alle nazioni occidentali che stanno promuovendo la raccolta fondi per l’aborto se hanno chiesto agli africani la loro idea in merito. La Ekeocha ricorda come uno studio svolto nel 2014 dal Pew Research Center abbia mostrato le altissime percentuali di persone che in diversi Stati africani considerano l’aborto “moralmente inaccettabile” (l’80% in Nigeria, l’82% in Kenya, l’88% in Uganda, il 92% in Ghana). «Questo significa ignorare le voci di milioni di persone che in Africa hanno già detto di non accettare l’aborto in nessuna circostanza. Questo è il nuovo colonialismo, questo è imperialismo culturale. Quello che chiedono gli africani di tutto il continente non è il cosiddetto “aborto sicuro”, ma il supporto per parti sicuri di bambini africani».

Un appello a difesa della vita che probabilmente rimarrà inascoltato perché, come spiega Maria Hildingsson, segretario generale della Federazione europea delle associazioni familiari cattoliche (Fafce), “l’iniziativa She Decides sta apertamente chiedendo di finanziare servizi abortivi ed è incredibile che il commissario europeo allo Sviluppo (il croato Neven Mimica, ndr) prenda parte a questo evento. Sia la Commissione europea che il Consiglio europeo hanno chiaramente affermato negli anni scorsi che l’aborto non ricade nella competenza dell’Ue, perciò è davvero contraddittorio vedere il suo nome nel programma, in quanto risulta come un appoggio a She Decides”.

Mentre un commissario usa la propria influenza per sostenere una campagna abortista in contrasto con le norme stabilite nei trattati, la stessa Ue continua a ignorare la più grande iniziativa fin qui portata avanti in campo comunitario, One of Us (“uno di noi”). Una campagna pro-life che ha raccolto due milioni di firme di cittadini europei per chiedere a Bruxelles di garantire, nei limiti della sua competenza, la protezione dell’essere umano fin dal concepimento, fermando ogni supporto all’aborto inserito surrettiziamente in programmi di aiuto allo sviluppo. “Ci sono molte voci di europei e africani - ha concluso la Hildingsson - che chiedono parti sicuri e supporto per la salute materna, non per l’aborto. Che le loro voci possano essere ascoltate in tutto il mondo!”.