ECONOMIA
Euro, l'occasione persa dall'Italia
Si può eccepire sulla precipitazione con cui Prodi ci fece entrare nella moneta unica, ma non si può dare all'euro
la colpa della crisi attuale.
Attualità
01_12_2011
Ma - anche se con il senno di poi - ci si può chiedere se l'Italia abbia fatto bene a entrare nell'euro? A quindici anni di distanza dalla "storica" decisione e di fronte ad una crisi economica senza precedenti è più che lecito domandarsi se non sarebbe stato più prudente fare come gli inglesi e mantenere la propria moneta nazionale.
La risposta non è facile, ma una cosa è certa: l'Italia è entrata nell'euro, ma si è servita della moneta unica per coprire i problemi del proprio bilancio pubblico e della propria politica economica, grazie ai bassi tassi di interesse, mentre ha perso l'occasione per avviare quelle riforme strutturali che avrebbero potuto rendere più moderno e più competitivo il paese.
Allo sforzo molto grande fatto all'inizio non è infatti poi corrisposto alcun intervento sostanziale, tanto che negli anni 2000 il debito è continuato ad aumentare e la crescita economica è stata la più bassa tra tutti i paesi europei.
Si è posto sotto accusa il livello del tasso di cambio che l'Italia ha accettato, ma bisogna ricordare che questo livello non è stato oggetto di nessuna trattativa politica: per tutte le monete il tasso di cambio dell'euro venne fissato sulla base del valore dell'Ecu, la valuta virtuale trattata sui mercati e formata da un paniere di tutte le valute europee.
Quindi l'unica cosa che l'Italia poteva liberamente decidere era se partecipare subito o rimandare di qualche anno o per sempre l'adesione.
Ricordiamo i fatti. Era l'autunno del 1996. Entro la fine di quell'anno doveva essere definita la lista dei paesi che avrebbe fatto parte della moneta unica europea fin dal suo avvio che era stato deciso per il 1999 con il blocco dei tassi di cambio a cui avrebbe fatto seguito due anni più tardi l'inizio della circolazione delle nuove monete e banconote.
Per aderire all'euro i paesi avrebbero dovuto impegnarsi a rispettare i parametri di Maastricht fissati nel 1992 per dare avvio al processo che avrebbe dovuto portare alla moneta unica: inflazione al 3%, rapporto deficit/pil al 3%, rapporto debito/pil al 60%. La ragione era evidente: la moneta unica sarabbe stata tanto più solida quanto più le economie fossero state convergenti ed omogenee.
L'Italia era lontana dal rispettare i parametri di Maastricht: nel '96 il deficit era al 7% e il debito era già al 120% del Pil. Il Governo di Romano Prodi, peraltro in carica da pochi mesi, aveva sempre espresso la sua fede europeista ed aveva indicato come indispensabile il risanamento dei conti per partecipare all'euro. Ma era dato per scontato che l'Italia avrebbe dovuto aspettare qualche anno per almeno avvicinare i parametri europei.
Invece Prodi decise, un po' a sorpresa, di bruciare le tappe. La decisione venne ufficializzata dopo una visita al suo collega spagnolo, Josè Maria Aznar il quale gli aveva comunicato che la Spagna avrebbe aderito subito, e senza problemi, alla moneta unica.
Ma come? La Spagna, una delle ultime arrivate, si permetteva di aderire all'euro prima dell'Italia, paese fondatore dell'Europa? Prodi ha più volte smentito di aver accelerato i tempi per l'adesione dopo il confronto a Madrid, ma da parte sua Aznar ha più volte riferito che Prodi avrebbe cercato di convincerlo a fare entrare nell'euro la Spagna assieme all'Italia uno o due anni dopo.
Di sicuro c'è che proprio nell'autunno '96, pochi giorni dopo il ritorno da Madrid, Prodi annuncia che l'Italia sarà nel gruppo di testa dell'euro, vara una manovra sostanziosa (eurotassa compresa) e riesce a portare nel '97 il rapporto deficit/pil al 3% chiesto dall'Europa. E negli anni successivi, fino al 2003, si è riusciti a registrare anche una pur lieve flessione del rapporto debito/pil convincendo gli europei che la quota del 60% poteva essere considerata un obiettivo a medio/lunga termine.
Ma dal 2004 in poi il deficit ha ripreso a salire, la crescita è stata sempre più bassa e il rapporto debito/pil è tornato sulle vette più alte.
Se non ci fosse stato l'euro l'Italia avrebbe potuto (o dovuto) svalutare la propria moneta e questo avrebbe probabilmente dato un po' di ossigeno alle industrie di esportazione e quindi alla crescita complessiva, ma avrebbe visto crescere l'inflazione e dovuto anche pagare tassi di interesse molto più alti e quindi sostenere un costo rilevante per il finanziamento del proprio debito pubblico. Senza l'euro probabilmente non ci sarebbe stata quella pur limitata disciplina di bilancio a cui ci hanno costretti i vincoli europei: e quindi i rischi di una tempesta sul debito pubblico avrebbero potuto manifestarsi anche molto prima.
Nel complesso quindi la moneta unica è stata un progetto utile quanto ambizioso. Accusare ora l'euro di aver creato le attuali difficoltà appare tuttavia ingiustificato. I problemi sono nati perché la disciplina prevista nel progetto originario non è stata seguita nemmeno dai grandi paesi e perché alla moneta unica non ha fatto rapidamente seguito l'accettazione di un'unica politica fiscale e di bilancio.
Per non bagnarsi quando piove non serve imprecare contro Giove. E' meglio aprire per tempo un ombrello. Come dire: di fronte alla crisi attuale non serve accusare l'euro quando sono state le politiche economiche di tutti i Paesi (con l'Italia purtroppo in prima fila) a mancare all'appuntamento con gli impegni, e quindi con i vantaggi della moneta unica.