Eroi coraggiosi, capitani codardi e giornali ipocriti
A voler essere cinici e anche un po’ carogne, la tragedia del Norman Atlantic non è come ce l’hanno raccontata nelle prime ore: l’onore della Marina recuperato, l’efficienza dei soccorsi, l’eroico comportamento dell’equipaggio che, capitano in testa, ha riscattato la vergogna schettiniana del Giglio. C’è tutto questo, ma anche dell’altro...
A voler essere cinici e anche un po’ carogne, la tragedia del Norman Atlantic non è come ce l’hanno raccontata nelle prime ore: l’onore della Marina recuperato, l’efficienza dei soccorsi, l’eroico comportamento dell’equipaggio che, capitano in testa, ha riscattato la vergogna schettiniana del Giglio. C’è tutto questo, ma anche dell’altro: il giallo dei dispersi, la presenza di clandestini (quanti?) a bordo, il mistero delle liste di imbarco, l’allarme scattato in ritardo, le certificazioni irregolari. Si indaga e si ricerca, i pm faranno la loro parte e pure loro, come al solito, non mancheranno di stupirci. Giornali e Tv l’hanno già fatto, anticipando presunti verità e incerti retroscena, ma soprattutto avendo già fatto l’elenco dei buoni e dei cattivi.
Con i primi, c’è sicuramente e a prova di ogni ragionevole dubbio (però i giudici l’hanno indagato per naufragio colposo, insieme all’armatore) Argilio Giacomazzi, il comandante della Norman, in attesa di sicura medaglia d’oro quale salvatore di naufraghi e dell’onore patriottico. Dall’altra parte, quella dei cattivi, non essendo ancora stata occupata da colpevoli certi, ci hanno ficcato Schettino, icona del marinaro codardo e incapace. Con il traghetto in fiamme non c’entra niente, ma nella commedia inscenata dai media è il convitato di pietra: gioca il ruolo decisivo del lupo cattivo, del personificazione del Male, indispensabile per far brillare ancora di più la stella del Grande Eroe.
Francesco Schettino, o meglio, il suo fantasma è comparso subito su quotidiani e Tv a marcare la differenza, quella peggiore, con il collega della Norman. Argilio Giacomazzi. 62 anni, 40 spesi su e giù per gli oceani, acque del circolo polare artico comprese, è oggi l’uomo dell’anno: è stato l’ultimo ad abbandonare il traghetto e questo basta alla santificazione nazionale. Niente di straordinario, lo impone il codice di navigazione, ma con il fantasma di Schettino in mezzo, quel buontempone napoletano con i suoi «ma stamm' ienn a' funn?» (ma stiamo affondando?) e «vabbuò», scivolato poi senza accorgersi dentro una scialuppa di salvataggio, il gioco si fa impietoso. Argilio per 48 ore a bordo a cercare di domare il mostro fiammeggiante e impazzito, tra onde alte come palazzi e lo scafo che rulla. L’altro a mimetizzarsi sullo scoglio, mentre la sua Concordia si riempiva d’acqua.
Argilio-Achab contro Francesco-Trinchetto, Schettino all’inferno, Giacomazzi santo subito. «É stato l’ultimo a scendere da quell’apocalisse», ripetono i suoi colleghi, orgogliosi. Si mette sull’attenti l’ammiraglio Giuseppe De Giorgi. «A lui va il mio saluto deferente, come vecchio marinaio, per avere con grandissima dignità e competenza svolto il suo lavoro. È andato via per ultimo, come un capitano deve fare». Mentre il web si scatena a celebrarne il gesto con una frase ormai cult: «Non sto molto bene, ma sarò l’ultimo a scendere». Già, perché ogni tragedia ha la frasona storica e il suo tormentone. Ricordate il mitico De Falco e il suo celebre: «Torni subito a bordo, cazzo!!», urlato allo Schettino piangente? Oggi, nel libro di bordo della Marina italiana ha lasciato il posto a quella di Argilio, fulgido esempio di abnegazione e umiltà minimalista. Schettino non voleva salire sulla biscaccina, Giacomazzi a scendere non ci pensava nemmeno.
Nessuna ironia: la grandezza dell’uomo, la sua professionalità sono fuori discussione: tutti noi lo vorremmo avere nella cabina di comando quando ci imbarchiamo per una crociera o una breve traversata. Ma non solo: quanto bisogno abbiamo di incontrare uomini vedendo i quali diventi desiderabile dare la vita per l’altro. Giacomazzi è uno di loro, ci ricorda che è possibile, senza schiamazzi, solo facendo ciò che si impone alla coscienza come “obbligatorio”, non solo ai marinai, ma a ogni uomo. Per questo è diventato subito il “nostro” eroe. Ma sui media e i social network, anche il bello e il buono si corrompono, il bene diventa eccezione, grandezza urlata, esagerazione retorica fino alla caricatura. Ma soprattutto, pretesto per colpire impunemente e con cattiveria il nemico. Al «Giglio ci voleva Argilio», scrive un tipo piuttosto spiritoso. «Un grande eroe», «un vero lupo di mare», esultano anonimi fan. Ecco poi gli ex lupi di mare: «fai vedere a tutti come si gestisce il proprio equipaggio in una situazione di emergenza e panico». E ancora: «lei rappresenta il riscatto di tutta la Marineria italiana del dopo Costa Concordia». Per finire: «Se ci fosse stato Schettino, avrebbe trovata una scialuppa dove cadere "accidentalmente"?» Per chiudere con l'ennesima frecciata al moderno Lord Jim di Joseph Conrad: «Schettino, guarda e impara».
Grondano retorica e melassa patriottica reporter e commentatori di stampa e Tv. De Amicis e a gogò, in uno stile che oscilla tra il feuilleton ottocentesco e il mattinale delle Capitanerie di Porto. “L’onore di un’altra Italia”, è l’editoriale di Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera, che elogia (giustamente) «l’impresa storica» degli elicotteristi e delle squadre di soccorso. “Argilio, l’anti Schettino”, titola invece Repubblica, in attesa di trovare in altri l’immancabile (impossibile che non ci sia) capro espiatorio. E «da oggi osservando una nave in porto», scrive una grande firma di un grande quotidiano, «scrutandola all'orizzonte o trovandocisi a bordo in mente ci verrà il nome di Argilio Giacomazzi, il comandante che ha fatto suo dovere». Niente a confronto con l’epica sfoggiata dall’inviato di Canale 5 che ha chiuso il servizio ringraziando a nome degli italiani «l’indomito capitano il popolo di poeti e santi da oggi torna a essere anche di navigatori». Roba da buttare il televisore giù dalle scale insieme all’inviato.
La retorica dell’eroe, del santo subito è l’altra faccia (sporca) della ricerca vigliacca e sempre in ritardo del capro espiatorio. Gli altari, soprattutto quelli mediatici, nascondono sempre una grande quantità di polvere: innalzare l’eroe per precipitarlo una volta esaurita la fregola popolare è il gioco sadico in cui media e opinion maker da sempre eccellono. Galileo, nella versione brechtiana, l’aveva capito: «Sventurato quel popolo che ha bisogno di eroi». La virtù ha sempre bisogno del vizio per risplendere e il soldato audace chiama il compagno vigliacco. Forse questa è la morale, meglio il moralismo che affiora dal relitto della Noman Atlantic e dall’apologo del suo bravo capitano.
Così hanno fatto i media con il galantuomo Argilio Giacovazzi, Capitan Coraggio, come ieri fecero con l’inescusabile Francesco Schettino, Capitan Codardo. «Ma scaricare il nostro fardello su ciò che è palesemente marcio», scrisse il sociologo Pier Paolo Bellin sul Foglio, i giorni del naufragio del Giglio, «non è meno umiliante. É un rito liberatorio, primitivo e disumano di gente che ansiosamente lapida, per non essere lapidata. Perché “quell’uomo” è l’uomo. C’è in ciascuno “quell’uomo”, inescusabile e capace di mentire fino all’ultimo, possibile atto di redenzione (…) Si può voler bene a un uomo inescusabile? Si può amare l’uomo? Perché, quando si ama un uomo, lo si ama così com’è. Questo è il dramma eterno…». Ecco, forse è questo che occorre ricordare prima di tutto: il resto è cosa da questurini e giudici istruttori.