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Egitto, prove di dialogo
Una commissione congiunta regime-opposizione per studiare le riforme costituzionali e un comune impegno a gestire la transizione in modo pacifico è il primo risultato concreto dell’incontro avuto ieri dal vice presidente Omar Suleiman con i vari rappresentanti dell’opposizione, inclusi i Fratelli Musulmani.
Attualità
07_02_2011
Una commissione congiunta regime-opposizione per studiare le riforme costituzionali e un comune impegno a gestire la transizione in modo pacifico è il primo risultato concreto dell’incontro avuto ieri dal vice presidente Omar Suleiman con i vari rappresentanti dell’opposizione, inclusi i Fratelli Musulmani,c he potrebbe essere il primo passo per sbloccare una crisi politica che dura da due settimane.
Ieri ancora migliaia di persone stazionavano in piazza Tahrir al Cairo, dove sabato sera avevano impedito l’ingresso ai carri armati dell’esercito che voleva riportare la normalità.
Volontà dimostrata ieri dalla riapertura di molte attività, a cominciare dalle banche che, dopo due settimane di chiusura, hanno visto subito formarsi delle code di risparmiatori che hanno provveduto a ritirare i parte dei loro depositi. La Banca centrale egiziana non si è fatta cogliere impreparata e ha reso disponibili 36 miliardi di dollari delle proprie riserve per fare fronte alla necessità ed evitare il panico tra i risparmiatori.
Sul fronte politico, intanto, si è cominciato a trattare: dopo l’incontro con Suleiman, i vari leader dell’opposizione hanno espresso dubbi sulla reale buona fede del governo e, oltre alle dimissioni di Mubarak, hanno perciò chiesto – come gesto di buona volontà e premessa a futuri colloqui – la fine immediata dello stato di emergenza che dura da 29 anni, e dell’istigazione alle intimidazioni attraverso i media statali.
Bisognerà ora vedere come risponderà il governo, che alla richiesta di dimissioni di Mubarak ha risposto garantendo soltanto che il presidente lascerà comunque a fine mandato (settembre) e che dimissioni immediate porterebbero il Paese al caos. Suleiman già venerdì aveva detto comunque che Mubarak è presidente solo formalmente.
Intanto però c’è un dato politico importante: al tavolo di ieri si è seduto anche il rappresentante dei Fratelli Musulmani, movimento finora al bando che però viene ritenuto il principale movimento organizzato. Non era invece presente all’incontro Mohamed El Baradei, l’ex capo dell’Agenzia atomica Internazionale (Aiea) che nei giorni scorsi aveva cercato di prendere la leadership della protesta in piazza Tahrir e che comunque si è detto pronto a correre per le presidenziali.
Ieri ancora migliaia di persone stazionavano in piazza Tahrir al Cairo, dove sabato sera avevano impedito l’ingresso ai carri armati dell’esercito che voleva riportare la normalità.
Volontà dimostrata ieri dalla riapertura di molte attività, a cominciare dalle banche che, dopo due settimane di chiusura, hanno visto subito formarsi delle code di risparmiatori che hanno provveduto a ritirare i parte dei loro depositi. La Banca centrale egiziana non si è fatta cogliere impreparata e ha reso disponibili 36 miliardi di dollari delle proprie riserve per fare fronte alla necessità ed evitare il panico tra i risparmiatori.
Sul fronte politico, intanto, si è cominciato a trattare: dopo l’incontro con Suleiman, i vari leader dell’opposizione hanno espresso dubbi sulla reale buona fede del governo e, oltre alle dimissioni di Mubarak, hanno perciò chiesto – come gesto di buona volontà e premessa a futuri colloqui – la fine immediata dello stato di emergenza che dura da 29 anni, e dell’istigazione alle intimidazioni attraverso i media statali.
Bisognerà ora vedere come risponderà il governo, che alla richiesta di dimissioni di Mubarak ha risposto garantendo soltanto che il presidente lascerà comunque a fine mandato (settembre) e che dimissioni immediate porterebbero il Paese al caos. Suleiman già venerdì aveva detto comunque che Mubarak è presidente solo formalmente.
Intanto però c’è un dato politico importante: al tavolo di ieri si è seduto anche il rappresentante dei Fratelli Musulmani, movimento finora al bando che però viene ritenuto il principale movimento organizzato. Non era invece presente all’incontro Mohamed El Baradei, l’ex capo dell’Agenzia atomica Internazionale (Aiea) che nei giorni scorsi aveva cercato di prendere la leadership della protesta in piazza Tahrir e che comunque si è detto pronto a correre per le presidenziali.
Tutti i partecipanti all’incontro di ieri hanno anche concordato sul respingere qualsiasi interferenza straniera in questa importante fase di cambiamento.
Ma a questo proposito c’è da registrare un curioso incidente diplomatico che ha per protagonista l’amministrazione Usa. Negli scorsi giorni il presidente americano Barack Obama aveva infatti sempre più chiaramente indicato il desiderio di Washington per un veloce avvio del dopo-Mubarak, con pressioni sul presidente di lasciare il suo posto. Ma sabato l’inviato speciale americano Frank Wisner, al Cairo per spiegare a Mubarak la posizione di Washington, ha detto che Mubarak a suo avviso “doveva restare in carica” per gestire la transizione, giudicando “decisiva” la “continuità di leadership”. Dichiarazioni bomba che il Dipartimento di Stato americano si è subito affrettato a riparare, prendendo le distanze da Wisner e definendo le sue parole una opinione personale “non coordinata con il governo americano”. Ieri il segretario di Stato Hillary Clinton, da parte sua, ha detto di essere favorevole al coinvolgimento dei Fratelli Musulmani nei colloqui sulla transizione dell’Egitto, ma che in ogni caso gli Usa “aspettano di vedere” gli sviluppi.
In realtà il fattore Fratelli Musulmani rappresenta l’incognita principale sul futuro, perché molti temono che una loro vittoria potrebbe trasformare l’Egitto in un regime islamico, l’equivalente sunnita del regime sciita iraniano. I Fratelli Musulmani, da parte loro, hanno sempre negato di voler instaurare un regime fondamentalista, ma al momento l’estrema frammentazione dell’opposizione e le stesse correnti all’interno della Fratellanza, rendono impossibile qualsiasi previsione sull’esito della crisi e di eventuali libere elezioni.
Ma a questo proposito c’è da registrare un curioso incidente diplomatico che ha per protagonista l’amministrazione Usa. Negli scorsi giorni il presidente americano Barack Obama aveva infatti sempre più chiaramente indicato il desiderio di Washington per un veloce avvio del dopo-Mubarak, con pressioni sul presidente di lasciare il suo posto. Ma sabato l’inviato speciale americano Frank Wisner, al Cairo per spiegare a Mubarak la posizione di Washington, ha detto che Mubarak a suo avviso “doveva restare in carica” per gestire la transizione, giudicando “decisiva” la “continuità di leadership”. Dichiarazioni bomba che il Dipartimento di Stato americano si è subito affrettato a riparare, prendendo le distanze da Wisner e definendo le sue parole una opinione personale “non coordinata con il governo americano”. Ieri il segretario di Stato Hillary Clinton, da parte sua, ha detto di essere favorevole al coinvolgimento dei Fratelli Musulmani nei colloqui sulla transizione dell’Egitto, ma che in ogni caso gli Usa “aspettano di vedere” gli sviluppi.
In realtà il fattore Fratelli Musulmani rappresenta l’incognita principale sul futuro, perché molti temono che una loro vittoria potrebbe trasformare l’Egitto in un regime islamico, l’equivalente sunnita del regime sciita iraniano. I Fratelli Musulmani, da parte loro, hanno sempre negato di voler instaurare un regime fondamentalista, ma al momento l’estrema frammentazione dell’opposizione e le stesse correnti all’interno della Fratellanza, rendono impossibile qualsiasi previsione sull’esito della crisi e di eventuali libere elezioni.