Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi

INTERVISTA

Egitto, la speranza oltre il caos

Buthaina Kamel potrebbe essere la prima presidente donna eletta nel Paese africano:«Basta corruzione e violenze contro i cristiani».

Attualità 07_06_2011
kamel

“Noi non abbiamo teatro, cinema, ricerca scientifica, istruzione. Solo festival, conferenze e bugie. Noi non abbiamo produzione, non abbiamo agricoltura, sanità, giustizia, ma solo corruzione e ladri. Uno scrittore non può chiudere gli occhi e rimanere in silenzio. Uno scrittore ha delle responsabilità.” Con questo breve e intenso discorso, Somallah Ibrahim, uno dei maggiori scrittori egiziani contemporanei, rifiutò alcuni anni fa, il premio per il “Romanzo Arabo” che voleva assegnargli una giuria egiziana. Stupì l’Egitto per il suo coraggio e l’opinione pubblica ne fece il paladino della proprie richieste sociali al governo, costringendolo ad intraprendere una specie di tour elettorale in giro per tutto il paese.

Niente di nuovo sotto il sole, quanto meno quello caldo che batte intorno alle rive del Nilo, se all'indomani della rivoluzione del 25 gennaio, che ha deposto il regime Mubarak, Bothaina Kamel, una donna dei media, come lei stessa si definisce, e molto popolare nel suo paese, si candida alle elezioni presidenziali senza alcun partito dietro di se. Bothaina è nota al grande pubblico per essersi rifiutata, in pieno regime Mubarak, di leggere notizie che riteneva false al telegiornale e per due suoi famosi programmi radiofonici: “Confessioni notturne”, dove le telefonavano anonimi per raccontare le loro storie e “Per favore comprendimi”, interviste a figure politiche e della società egiziana. La Kamel si è candidata, tramite Twitter e Facebook, alle prossime elezioni presidenziali. Quello che Sonallah Ibrahim non poté fare. Come lui Bothaina non ha dietro di se un partito, ma conta sul sostegno del suo popolo. Che la segue nelle piazze egiziane, su i due networks, dove i bloggers considerano seriamente la candidatura de “la prima donna ad averci mai pensato in questa parte del mondo”. Tutta una strada in salita, ma con una carta segreta: il marito che è da poco stato nominato ministro alla Cultura dell’ultimo governo egiziano della giunta militare.

Come puo’ concorrere, seriamente, alle elezioni senza un partito che la sostenga? Ci sono anche limiti prestabiliti dall’attuale governo in Egitto per la presentazione delle candidature?
La gente mi conosce, mi sono battuta per tutta la vita per i diritti degli egiziani, da quando ero una studentessa della Cairo University e poi come persona dei media. Sono stata in piazza Tahrir per tutti i 18 giorni di rivolta, ho promosso, attraverso il mio lavoro, quasi tutti i movimenti giovanili pro-democrazia, per anni, prima delle proteste. Sono molto popolare nel mio Paese.

Mi riferiscono che la sicurezza in Egitto, anche nelle strade del Cairo, è visibilmente diminuita dall’inizio della rivoluzione e poi con la deposizione di Mubarak. Pare che sia diventato non consigliabile, uscire dopo le dieci di sera. Il Cairo non ha mai avuto di questi problemi, neppure per le donne.
E’ un’esagerazione, certo la sicurezza dopo la caduta di Mubarak è diminuta. I reparti di polizia hanno subito defezioni, molta gente è fuggita dalle carceri. I governi provvisori, che si sono succeduti, non hanno la stessa forza del regime, per il momento, nell’occuparsi del problema. Sono, appunto, governi provvisori e già il loro nome da corpo alla loro debolezza. Ma non ci sono problemi a uscire nelle zone centrali del Cairo, a qualsiasi ora, I caffé sono aperti, la gente per le strade entusiasta della insperata svolta politica.

I cristiani, però, dopo la deposizione di Mubarak vivono più faticosamente di prima.

Anche questo, devo dire che non è vero. Episodi di fanatismo religioso contro i cristiani erano comuni anche sotto il regime, Mubarak non ha fatto molto per proteggerli. La nostra protesta ha il merito di voler superare queste divisioni. Vede, ho al collo il simbolo di piazza Tahrir: il ciondolo con la mezzaluna e la croce fuse in un unico disegno. Siamo tutti egiziani qualunque sia la nostra fede e gli egiziani, per loro natura, non sono degli estremisti.

Vuol dirmi che la rivoluzione in Egitto è nata, come dicono alcuni pensatori, più per le condizioni di estrema povertà in cui si trovavano ormai larghe masse della popolazione, compresa la borghesia egiziana, che per un reale spirito rivoluzionario del popolo egiziano? Insomma gli egiziani avrebbero sopportato ancora molte angherie del regime se non fosse stato che non avevano neppure più da mangiare.
Gli egiziani sono pacifici e sopportano molto, ma il livello della corruzione era arrivato a limiti non più sopportabili e la quotidiana erosione dei diritti individuali era tangibile, soprattutto negli ultimi tempi. No, non è stata semplicemente una rivolta del pane, anche se la povertà e le differenze tra un ceto di ricchissimi, collegati all’ex regime, e il resto del paese erano cresciute in modo smisurato.