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PRIMAVERE ARABE

Egitto, il "pasticcio" dell'Occidente

Nei primi duecento giorni di Morsi, proveniente dalle file dei Fratelli Musulmani, sono stati denunciati giornalisti, attivisti, un'attrice, il capo dell’associazione dei magistrati, un ex parlamentare e due predicatori. La tentazione autoritaria sembra sempre più forte. E le previsioni occidentali sbagliate. 

Esteri 30_01_2013
Egitto in subbuglio

E meno male che quella araba era una «primavera», fosse stato un autunno o un inverno v’immaginate? Dovete sapere che in Egitto c’è una legge che prevede il reato di «oltraggio» al capo dello stato. Risale nientemeno che alla fine dell’Ottocento, ma fu applicata solo nel 1909 contro un giornalista che aveva «oltraggiato» il capo del governo di allora, il khedivé Abbas Helmi II. La famigeratissima dittatura di Hosni Mubarak, durata trent’anni, invocò quella che fu detta «legge bavaglio» solo quattro volte. Ebbene, il regime del presidente «democratico» Mohamed Morsi, in carica da sei mesi, detiene il record inaudito: ventiquattro denunce per «oltraggio» contro giornalisti e attivisti (fonte: Ansa, che riferisce un rapporto della ong egiziana Arabic Network for Human Rights Information - Anhri).

Nei primi duecento giorni di Morsi, proveniente dalle file dei Fratelli Musulmani, sono stati denunciati tredici giornalisti, sei attivisti, un'attrice, il capo dell’associazione dei magistrati, un ex parlamentare e due predicatori. Tre di queste denunce arrivano direttamente dall’ufficio della presidenza. Sono finiti nel mirino nove quotidiani e due emittenti satellitari. L'ultimo in ordine di tempo è un comico (anche in Egitto, come democrazia esige, certi comici si sono trasformati in attivisti politici).

Certo, la tentazione autoritaria nella nuova presidenza sembra essere forte. Non è riuscita, finora, ad assicurarsi i pieni poteri con un colpo di mano costituzionale, abortito a causa delle manifestazioni di piazza e delle proteste dei giudici. Chissà cosa ne pensano le forze armate, che in Egitto hanno sempre avuto un ruolo determinante. Certo, l’evolversi della situazione in tutto il Nordafrica e la crisi siriana suscitano seri interrogativi sul pesante appoggio occidentale alle cosiddette «primavere arabe».

Se la strategia era quella di circondare l’Iran sciita con una cintura sunnita facente capo ai Fratelli Musulmani e finanziata dai sauditi e dal Qatar, sembra proprio che la pentola si sia subito sfondata e proponga problemi ben più grossi di quelli che si credeva di risolvere. Qualcuno comincia seriamente a chiedersi se i popoli di cultura islamica, abituati da sempre a regimi autoritario-paternalistici, siano davvero pronti per la democrazia partitica di tipo occidentale. O se non finirà, anche lì, come nell’Africa nera, dove la decolonizzazione ha lasciato, sì, la democrazia, ma su basi etniche e tribali.

Qui i partiti sono solo proiezioni di tribù e la premiership è a vita o ereditaria. Nei Paesi di tradizione islamica i partiti rappresentano pari pari le divisioni religiose. Con tendenza al dispotismo presidenziale. Possibile che gli «analisti» (quelli che poi armano la mano agli interventi sul campo) non se ne siano mai accorti?
Certo, dai tempi della «dottrina Brzezinski» (quella che portò Khomeini al potere) in poi, più che analisti sembrano apprendisti stregoni.
Infatti, il bilancio parla chiaro: dove prima c’erano, sì, dittature ma filo-occidentali e regimi stabili, adesso regnano il caos o l’incertezza.