Ecco i nuovi “spalloni” dell’eutanasia
Si chiama “Sos Eutanasia”, un’associazione per aiutare a morire i malati terminali a suicidarsi portandoli nelle cliniche svizzere. Un gesto di disobbedienza civile, spiegano i promotori, i radicali Bonino e Cappato, per spingere il Parlamento a discutere la loro legge. Sottoscritta anche da 4 sottosegretari del governo e 40 parlamentari.
Tornano in campo gli squadroni della dolce e buona morte, quello schieramento bipartisan che raggruppa sotto le stesse bandiere nere del Califfato Eutanasico radicali, deputati della sinistra dei diritti e transgender, nani e ballerotti del jet set mediatico. Una sorta di chiesa laica dell’aldilà che va da Le Iene al quotidiano La Repubblica, dagli illuminati guidati dai professor Stranamore alla Veronesi, ai tanti vip delle isole dei famosi con il trip mortuario incorporato. Due sono le (cattive) notizie che arrivano da lì, presagi di altre mosse funeste e che la dicono lunga e bene su quale precipizio si sta fiondando il nostro Titanic sociale e politico.
La prima: è nata (la scorsa settimana) “Sos Eutanasia” per aiutare a morire i malati terminali, conducendoli nelle cliniche svizzere. I fondatori sono Mina Welby e Marco Cappato dell’associazione radicale Luca Coscioni e “A buon diritto”, gruppi che possono vantare grande esperienza in questo campo. Sos eutanasia si occuperà di dare informazioni, accompagnare i pazienti in Svizzera, raccogliere fondi per aiutare economicamente chi ha deciso di porre fine a un’esistenza che ritiene non più sopportabile. «È un gesto di disobbedienza civile davanti all’immobilismo colpevole del Parlamento», spiegano i promotori, ricordando che da un anno e mezzo giace dimenticata una proposta di legge di iniziativa popolare per rendere legale l’eutanasia. «Sino a quando i parlamentari non la discuteranno noi continueremo a fare opera di disobbedienza civile, consci di violare la legge e di rischiare l’accusa di concorso in omicidio».
Al meeting di presentazione c’era anche Emma Bonino, storica leader radicale, oggi in lotta con il cancro, che ha rivendicato con orgoglio la nuova battaglia. «Negli anni Settanta, disobbedienza civile era accompagnare le donne in Francia dove l’aborto era legale, ora è accompagnare all’estero chi ritiene non più sopportabile vivere. Smuovendo con le azioni un parlamento fermo sui diritti civili». Già, in quegli anni formidabili, la giovane Emma praticava aborti clandestini nelle cantine del partito, aspirando con una pompa di bicicletta i feti delle donne. Figuriamoci se poteva mancare a un simile appuntamento.
I radicali chiamano, gli onorevoli rispondono. Pochi giorni dopo il vernissage di “Sos Eutanasia”, ecco che quattro sottosegretari del governo Renzi inviano una lettera ai deputati perché votino quello che i radicali pretendono: una legge per liberalizzare l’eutanasia. A tirare le fila c’è Luigi Manconi, appesi ai fili ci sono Ivan Scalfarotto (Riforme e Rapporti col Parlamento), Benedetto Della Vedova (Esteri), Ilaria Borletti Buitoni (Beni Culturali) e Sesa Amici (Presidenza del Consiglio e Riforme). E poi altri 40 parlamentari, tutti a reclamare che l’eutanasia sia depenalizzata e che venga calendarizzata la proposta di legge di iniziativa popolare depositata alla Camera nel 2013.
Micidiale uno-due che dovrebbe mettere al tappeto chi ancora si illude che tra i cosiddetti nuovi diritti (matrimoni gay, utero in affitto, commercio globale di ovuli e gameti) quello di togliersi la vita non troverà mai posto. Finalmente, i radicali hanno trovato il coraggio di parlare chiaro, dopo tante chiacchiere e cortine fumogene sulla compassione, l’accanimento terapeutico e la dignità del malato. Ciò che chiedono è «la somministrazione di una sostanza letale a effetto immediato». Lo dice Marco Cappato, fra i promotori della campagna. Più chiaro di così. Tutto il resto, comprese le fumisterie nascoste negli articoli della proposta di legge, sono specchietti per le allodole, anzi, per aspiranti zombi. Compresi i falsi sondaggi sugli italiani favorevoli all’omicidio di Stato (sono in diminuzione), i dati dell’eutanasia clandestina già praticata negli ospedali e quelli sui suicidi dei malati terminali. È la stessa balla che abbiamo sentito migliaia di volte a proposito dell’aborto: si deve dare la possibilità di uccidere il proprio figlio in sicurezza, senza drammi né traumi (per la madre). È questione di stile: nel mondo liberal e radical buttarsi giù da una finestra è volgare, passare a miglior vita con un’iniezione velenosa è cosa dignitosa e civile.
Nell’attesa che il Parlamento approvi, Bonino e compagnia soccorrono chi non vuole o non può aspettare la nuova legge: “Sos Eutanasia”, come un’agenzia di viaggio (l’ultimo), si fa carico di tutte e pratiche necessarie per l’espatrio in Svizzera e il relativo “trattamento” nella clinica prescelta. Settemila euro il costo finale, ma sono previsti sconti per chi non può pagare il prezzo intero. I radicali come i mitici “spalloni” del contrabbando: in questo caso il carico non sono sigarette americane o valuta pregiata da esportare, ma uomini e donne accompagnati oltreconfine da questi nuovi angeli della morte. Un pacchetto tutto compreso, con relativo ritorno della salma in patria. Nella sua crudeltà, i viaggi senza ritorno hanno però il pregio di spazzare via tante ipocrisie e falsità con cui gli amici di Pannella hanno da sempre mascherato la richiesta del suicidio assistito. Prima di tutto, la cosiddetta “desistenza terapeutica” o il rifiuto dell’accanimento: grandi panzane politiche e lessicali finalmente spazzate via dalla nuova definizione targata Marco Cappato: «somministrazione di una sostanza letale a effetto immediato». Il resto è letteratura, cattiva e infedele.
La Svizzera non è più un paradiso fiscale, ma con i radicali presto diventerà un mattatoio, anche se asettico e senza sangue. Offrire al malato terminale la possibilità di ottenere un farmaco letale significa mandare un chiaro messaggio: certe vite al crepuscolo sono inutili e senza speranza di avere ancora senso. Messa così, la questione esige risposte politiche, legislative, morali, ma soprattutto educative. Nella loro forsennata (e fortunata) strategia culturale di conquista della società civile, i radicali un merito ce l’hanno: aver strappato la politica all’economia, la dialettica ai garbugli dei sistemi elettorali, la passione civile all’amministrazione del quotidiano per mettere al centro il problema dell’umano. Il senso della vita e della morte: è questo, in fondo, ciò che sta sotto l’ideologia dei nuovi diritti, dei desideri senza regole e limiti. Non si possono lasciare ai radicali e alle loro agenzie di pompe funebri, il grido di chi chiede di morire, le manipolazioni di chi pretende un figlio a ogni costo o l’impazzimento dei generi scambiato per libertà. Urgono risposte vere e ragionevoli, all’altezza di queste domande.