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Due storie trans: principio di non contraddizione addio

Un uomo dichiara di chiamarsi Pamela, viene denunciato ma il giudice lo assolve. Così dire il falso, ossia fornire generalità fasulle, diventa diritto.

Gender Watch 06_06_2021

Due storie s-trans, ossia vicende bizzarre che riguardano persone transessuali. La prima riguarda un transessuale il quale viene fermato nel marzo del 2020 a seguito degli usuali controlli durante il primo lockdown. Ai carabinieri dice di chiamarsi Pamela, ma sui documenti figura come Luis Miguel Alvarez Lezcano. Viene denunciato per false attestazioni da un pubblico ufficiale.

Il giudice del Tribunale di Milano, Paolo Salvatore, però lo ha assolto per più motivazioni. In primis perché «aveva fornito le generalità con cui, da 15 anni circa, è solito farsi chiamare nel contesto delle relazioni sociali». Insomma vale più il nome «sociale» che quello anagrafico. In secondo luogo per il giudice «è da ritenere che, nel declinare le false generalità è mancata anche la coscienza e volontà» di affermare il falso «dal momento che aveva in tal modo inteso indicare le generalità nelle quali (per ragioni di identità di genere) si riconosce ed è riconosciuto nell'ambiente sociale di riferimento. Assenza di dolo ancora più evidente solo che si pensi alla pressoché immediata messa a parte degli operanti del fatto di essere transessuale». Ma il problema sta nel fatto che – dolo o non dolo - per Alvarez Lezcano «Pamela» era ed è il suo vero nome, non un soprannome. Rimane il falso che per lui è il «vero», ossia le sue vere generalità che tali non sono per l’anagrafe italiana. Infatti Alvarez non ha ancora cambiato nome presso quest’ultima.

Dunque se Tizio, vestito da Superman, credendosi tale e riconosciuto tale da tutti, viene fermato dai carabinieri e dice di essere Superman, i carabinieri devono credergli. Si obietterà: Superman non esiste, il sesso femminile invece sì. Risposta: il sesso femminile in un maschio esiste tanto quanto esiste Superman in questo nostro mondo.

Passiamo alla seconda storia s-trans. Fabrizio Petrillo, classe 1973 e atleta ipovedente, raccoglie successi a piene mani nell’atletica e non solo, tanto che ottiene il pass per i Giochi di Atlanta, nel 1996. Nel 2015 diventa papà di Lorenzo e l’anno dopo si sposa con Elena. Successivamente intraprende il percorso per «diventare» Valentina. Ora ha staccato il biglietto per gli Europei paralimpici d'Atletica in Polonia. Sarà la prima volta che gareggerà tra le donne. «Io amo correre e lo potrò fare nella categoria a cui sento appartenere, ossia alla categoria femminile», ha spiegato Petrillo nella trasmissione Zona Bianca.

Tralasciamo la famosa querelle sul fatto che ad un uomo basterebbe abbassare il livello di testosterone per giocarsela alla pari con le donne. Espediente che in realtà penalizza le donne perché gli uomini rimangono più forti, hanno una differente densità della massa muscolare e differente baricentro (basta vedere il video dell’intervista rilasciata da Petrillo a Zona Bianca per rendersene conto). Non è questo l’aspetto dell’intervista che vogliamo mettere in evidenza, bensì il seguente. Petrillo ad un certo punto dichiara: «A proposito di mio figlio io vengo accusata, per il solo fatto che io vesto da donna e di aver un aspetto femminile, di non essere un buon padre». La mente vacilla e lo sguardo si annebbia: ma come può una donna essere un padre? Che Petrillo si decida: se vuole essere donna semmai potrà essere madre, se vuole essere uomo potrà essere padre. Ma delle due l’una. E lo diciamo ovviamente per amor di paradosso.

Chiaro è che se intende presentarsi come donna, la critica di non essere un buon padre è inevitabile. È come se Tizio si dicesse laziale e si risentisse del fatto che qualcuno gli rinfacciasse di non essere un buon romanista. Fate e siate quello o chi volete, ma almeno salvate il principio di non contraddizione.