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FRANCESCO IN MAROCCO

Due giorni all’insegna della Chiesa “aperta”

Dialogo interreligioso, tutela dei migranti e dell’ambiente: questi i temi principali trattati da papa Francesco nel viaggio apostolico in Marocco, il 28° del suo pontificato. Il Pontefice ha ricordato l’incontro di san Francesco con il sultano ed esortato a seminare “futuro e speranza non con la violenza, né con l’odio” ma “con la forza della compassione riversata sulla Croce”.

Ecclesia 01_04_2019

Due giorni intensi dedicati al dialogo interreligioso e alla conferma nella fede della Chiesa locale, senza dimenticare i migranti e i bisognosi, terminati con la cerimonia di congedo all’aeroporto della capitale marocchina. Un viaggio apostolico, il ventottesimo di papa Francesco, fatto di due giornate storiche e importanti per il mondo, dal punto di vista dei progressi del dialogo interreligioso, della tutela dei migranti e della difesa dell’ambiente. Questo e molto altro ha rappresentato la visita del Pontefice in Marocco.

Una due giorni che si è conclusa con la Santa Messa celebrata nel complesso sportivo Principe Moulay Abdellah di Rabat dinanzi a decine di migliaia di fedeli. In tutto il Marocco, Paese musulmano, sono circa 25.000 i cristiani presenti sul territorio nazionale. L’omelia è stata dedicata alla parabola evangelica del figliol prodigo, probabilmente utilizzata anche come metafora per descrivere le opposizioni interne alla sua idea di Chiesa “aperta” quanto più possibile al dialogo con il mondo.

Prima della celebrazione, il Papa ha incontrato il clero nella cattedrale di San Pietro, esortandolo a proseguire la strada del dialogo con “i fratelli e le sorelle musulmani”, da distinguere naturalmente dai Fratelli Musulmani intesi come l’organizzazione estremista dell’islamismo radicale. Attenzione a non cadere nelle strumentalizzazioni o credere alle fake news. Proprio qui Francesco ha riservato un affettuoso abbraccio al monaco novantacinquenne Jean-Pierre Schumacher, ultimo sopravvissuto della strage dei monaci di Tibhirine in Algeria. Una figura, la sua, capace di ispirare anche un film. 

E a proposito di strumentalizzazioni, il Santo Padre ha anche rimarcato con i religiosi l’importanza di contrastare e denunciare l’uso della diversità e dell’ignoranza per seminare paura, odio e violenza. “Si seminano futuro e speranza non con la violenza, né con l’odio o con la supremazia etnica, religiosa, economica, ma con la forza della compassione riversata sulla Croce per tutti gli uomini”, ha detto ai fedeli ricordando l’incontro di San Francesco d’Assisi con il sultano Al-Malik Al-Kamil, nipote del Saladino, a Damietta nel 1219.

Ancor prima, però, la seconda giornata del Papa in Marocco era iniziata con la visita mattutina al Centro rurale dei servizi sociali delle monache di Témara, guidato da tre religiose spagnole con il supporto dei volontari. Un luogo in cui ci si prende cura dei più deboli e indifesi, quasi tutti (se non tutti) musulmani. Dai servizi di asili nido per i più piccoli, all’insegnamento del leggere e dello scrivere agli adulti. E poi la mensa e le cure mediche per chi soffre.

Intorno alle 17.00 locali il Papa è salito a bordo dell’aereo per il ritorno a Roma, affidando a un telegramma i ringraziamenti conclusivi di questa esperienza verso il re Mohammed VI e la famiglia reale, il governo e la popolazione tutta per la “calorosa accoglienza e la generosa ospitalità”. Concedendo la sua benedizione divina e garantendo le sue preghiere “per la pace e la prosperità” del Marocco.

Si conclude così la seconda visita di un pontefice in questa terra, dopo quella di Giovanni Paolo II dell’agosto del 1985. Nel primo giorno della sua visita, il Pontefice aveva definito il Marocco un “esempio di umanità” in riferimento ai migranti e ai rifugiati e mostrato preoccupazione per la grave crisi migratoria, lanciando “un appello urgente per tutti a cercare i mezzi concreti per sradicare le cause che costringono tante persone a lasciare il loro Paese, le loro famiglie, per ritrovarsi spesso emarginate o rifiutate”.