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ANTI-SOCIAL

Draghi e la fine dei social al governo

Dopo lo stile ossessivo-compulsivo della comunicazione del passato governo, sembra esserci una svolta. La luce in fondo al tunnel potrebbe essere rappresentata proprio dall’invito a una maggiore sobrietà rivolto da Draghi ai componenti del suo governo. Meno annunci, meno post, meno esternazioni, solo fatti concreti. Se così sarà, il “draghismo” sarà una stagione virtuosa del rapporto tra politica e informazione. E i media tornino a fare i cani da guardia, per migliorare la qualità e lo spessore della democrazia.

Attualità 15_02_2021

Nei commenti sulla nascita del nuovo Governo dominano i riferimenti alla sua composizione, mentre è rimasto sullo sfondo un tema che alla lunga farà sentire il suo peso: lo stile di Mario Draghi, diametralmente opposto a quello di Giuseppe Conte.

La discontinuità tra il precedente esecutivo e quello in procinto di ottenere la fiducia alle Camere non sta tanto nell’identità dei ministri (ben 9 sono stati riconfermati), bensì nell’approccio alla comunicazione istituzionale e al rapporto con i media.

Il nuovo premier è stato molto esplicito con i suoi ministri il giorno del giuramento: "Sobrietà nella comunicazione. Fate parlare i fatti". E’ una svolta quasi epocale, avvalorata dalla lontananza di Draghi dalla Rete. Non ha profili social e probabilmente non ama chi li usa. Come lui Giancarlo Giorgetti, ministro dello sviluppo economico e uomo di punta del nuovo esecutivo. A quanto pare, anche altri 4-5 ministri non usano quelle piazze virtuali.

Nel Conte bis era l’opposto: la politica si faceva molto sui social, il premier usava Facebook perfino per le dirette sul Covid e il suo portavoce Rocco Casilino suggeriva al premier le mosse comunicative con un occhio costante al web, ai follower e al gradimento on line.

In generale, social o non social, il governo uscente verrà ricordato, oltre che per una gestione discutibile dell’emergenza pandemica, in particolare della seconda fase, anche per l’overdose comunicativa alimentata proprio da Palazzo Chigi. La Presidenza del Consiglio nel Conte 2 ha curato in modo quasi ossessivo le esternazioni del premier affinchè potessero accrescerne la popolarità. Nel Conte 1 fu diverso perché i due vicepremier Matteo Salvini e Luigi Di Maio avevano messo in qualche modo sotto tutela l’avvocato del popolo, che appariva poco più di un prestanome.

Da un anno a questa parte, invece, i soliloqui notturni del Premier, le sue conferenze stampa che toglievano il sonno e destabilizzavano persone, famiglie, economia, mercati, le dirette sui social con lo stillicidio di dati sui contagi e il terrorismo allarmista per tenere inchiodati alla televisione milioni di italiani impauriti e spaventati più del dovuto dalla pandemia, hanno fatto guadagnare consensi al premier accentrando su di lui tutti i processi decisionali e la visibilità del palazzo. E i partiti della sgangherata maggioranza giallo-rossa, il mese scorso, gli hanno presentato il conto, defenestrandolo.

Il termine “annuncite” è risultato il più pertinente per fotografare il rapporto tra la Presidenza del Consiglio gestione Conte e l’ecosistema dell’informazione e della comunicazione. Le promesse fatte e non mantenute, facendo leva sull’inondazione continua di stimoli per far dimenticare le cose dette prima, sono state la cornice di un’azione di governo autoreferenziale e a tratti financo arrogante. Un esempio su tutti: quanti ricordano l’annuncio di aprile dei 400 miliardi di euro di liquidità a disposizione di imprese e professionisti per far ripartire immediatamente l’economia? Qualcuno li ha visti? Chi ha applaudito Conte sabato quando ha salutato i funzionari e i dipendenti di Palazzo Chigi ricordava quell’annuncio? Ma è solo uno dei tanti, disattesi e imbellettati da una comunicazione propagandistica e quasi elettorale. L’ossessione dei sondaggi commissionati di continuo da Rocco Casalino per conto del premier ne sono la riprova inequivocabile.

I richiami paternalistici al rispetto delle regole anti-Covid, a fronte di una gestione caotica, contraddittoria e inadeguata dell’emergenza sanitaria, in particolare della seconda ondata della pandemia, hanno fatto il resto.

Fino alla appena menzionata sceneggiata finale nel cortile di Palazzo Chigi. Basta navigare in internet su YouTube con parole chiave per scoprire che tutti gli altri premier, da Silvio Berlusconi a Paolo Gentiloni a Matteo Renzi, tutti peraltro eletti dal popolo come candidati premier o come semplici parlamentari (a differenza di Conte, catapultato nel palazzo senza mandato elettivo quando quasi nessuno sapeva chi fosse), sono stati salutati da scroscianti applausi nel cortile di Palazzo Chigi al momento del passaggio di consegne. Eppure quello dell’avvocato del popolo è stato raccontato ai cittadini come un commiato fuori dal comune, come un unicum nella storia dei 67 governi che si sono succeduti nella storia d’Italia. L’ennesima mistificazione mediatica.

C’è quindi da chiedersi che cosa rimane oggi del “casilinismo” e del “contismo”, intesi come narrazione propagandistica e autocelebrativa della gestione della cosa pubblica. Tante tante tante macerie.

Il cosiddetto “popolo del divano”, cioè gli italiani garantiti dal posto fisso e magari con possibilità economiche, case grandi, rendite e situazioni famigliari di comodo, è riuscito a sopravvivere a queste continue manipolazioni comunicative senza avvertire le ricadute disastrose di una gestione politica così approssimativa, anzi facendo il tifo per chi la indirizzava. Una sorta di suicidio collettivo che produrrà effetti devastanti nel prossimo futuro in termini di impoverimento dell’economia, inaridimento dei rapporti umani, sfilacciamento della società, deterioramento del rapporto tra cittadino e istituzioni.

La luce in fondo al tunnel potrebbe essere rappresentata proprio dall’invito a una maggiore sobrietà rivolto da Draghi ai componenti del suo governo. Meno annunci, meno post, meno esternazioni, solo fatti concreti. Se così sarà, il “draghismo” sarà una stagione virtuosa del rapporto tra politica e informazione. La disintermediazione sarà meno accentuata e i rappresentanti del popolo riprenderanno a parlare attraverso i loro comunicatori e portavoce per raccontare notizie di pubblica utilità senza indulgere al sensazionalismo e alla propaganda. Il nuovo governo parli poco e mai a sproposito. Dica il giusto e mai il superfluo. Non pensi alla prossima campagna elettorale ma al bene dei cittadini, che hanno diritto a una comunicazione istituzionale corretta, trasparente e ancorata a dati di realtà. E i media non si appiattiscano sul potere ma tornino a fare i cani da guardia, per migliorare la qualità e lo spessore della democrazia.