L'EDITORIALE
Dove sta la volontà popolare
L'idea di un governo di unità nazionale, che viene da molto lontano, non sarebbe rispettosa della volontà espressa dal popolo nelle urne. E il criterio della volontà popolare va salvaguardato a ogni costo.
Editoriali
19_10_2011
Quando si parla di riforma elettorale c’è un dato su cui sembra esserci un consenso quasi unanime: il ripristino delle preferenze. E’ un argomento che, ad esempio, è stato fondamentale anche nella sovrabbondante raccolta di firme per il referendum abrogativo dell’attuale legge elettorale. Pur senza mitizzare questo sistema, non c’è dubbio che avere la possibilità di esprimere la propria preferenza tra un ampio numero di candidati è decisamente più rispettoso della sovranità popolare che non la presentazione di liste bloccate.
Ma se il criterio è quello di rispettare la volontà popolare, non si capisce allora tutta questa spinta a superare l’attuale fase politica proponendo un governo di larghe intese o di unità nazionale o tecnico o come altro si voglia chiamare, un governo comunque che metta insieme l’attuale maggioranza con l’attuale opposizione. Anche dal convegno delle associazioni cattoliche a Todi è venuta un’indicazione in tal senso: questo governo è debole, non può andare avanti così, si faccia allora un governo di unità nazionale.
Se sulla prima parte – la debolezza del governo – possiamo essere d’accordo, è la seconda che proprio non funziona. Per una serie di motivi:
1. Tre anni fa la volontà popolare fu chiarissima: la coalizione di centro-destra ebbe una schiacciante maggioranza e un mandato pieno a governare. Se oggi la maggioranza è ridotta così il motivo principale sta nel fatto che a un certo punto il presidente della Camera Gianfranco Fini ha radunato un gruppetto di suoi fedelissimi e se ne è andato all’opposizione tradendo il mandato elettorale. I numeri per governare sono rimasti, ma ovviamente più risicati e certamente non sufficienti a rintuzzare tutti gli agguati dell’opposizione. Le vicende più o meno giudiziarie del presidente del Consiglio e l’emergere di una crisi economica senza precedenti hanno fatto il resto. Oggi di fatto, piaccia o no, il governo non ha la forza per prendere decisioni politiche drastiche come la gravità della crisi imporrebbe. Ciò però non fa venire meno il mandato avuto nel 2008 per governare.
Il voto che esce dalle urne è un mandato pieno, non è condizionato dagli eventi futuri. Insomma quando si va alle urne non si dice “Voto questo partito se le condizioni rimangono stabili o se la situazione economica non peggiora”. Si vota un partito sulla base del programma presentato e basta. E’ un mandato pieno. Se un allargamento della maggioranza è possibile, è sempre sulla base di quel programma e di quella maggioranza votata.
2. Di governo di unità nazionale o di governo tecnico si parla non già da pochi mesi o settimane, ma già da molto tempo, quando il governo Berlusconi sembrava ancora ben saldo. Questa insistenza che viene da lontano - ricordiamo come Enrico Letta parlasse di governissimo già un anno fa, e i nomi di Mario Monti e Luca Cordero di Montezemolo siano già stati bruciati da tempo - fa sospettare che ci siano dei poteri esterni al mondo politico che lavorino da tempo per arrivare a questa soluzione, che costituirebbe necessariamente un tradimento della volontà popolare. Se centrosinistra e centrodestra avevano tre anni fa programmi molto diversi, su che base potrebbero oggi governare insieme? E come potrebbe essere rispettoso della volontà popolare un governo affidato alla guida di qualcuno che non è neanche stato eletto?
La forza di un governo non viene soltanto dai numeri in Parlamento, ma soprattutto da un programma chiaro che ha ricevuto il voto dell’elettorato.
Se si vuole davvero che gli elettori contino, diventa perciò prioritario salvaguardare la volontà popolare espressa tre anni fa, e questo varrebbe anche se la maggioranza fosse di diverso colore.
Se il governo attualmente in carica è troppo debole per andare avanti, rimangono solo due soluzioni: o la maggioranza trova al suo interno la possibilità di un percorso che possa garantire la ripresa dell’azione di governo, anche con uomini nuovi, o si rimette la decisione al popolo.
Non c’è spazio per soluzioni pilotate da non si sa chi per arrivare non si sa dove. Il rispetto della volontà popolare si decide molto più su questo punto che non sulle preferenze.