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IRAQ

Dopo Mosul l'Iraq rischia la spartizione

La battaglia di Mosul è entrata nel vivo, con l'ingresso delle truppe regolari irachene nel centro urbano. La leadership politica ha fretta e questo potrebbe aumentare le perdite, sia militari che civili. Ma quel che è peggio è la prospettiva di un dopoguerra in cui turchi, sunniti, curdi e sciiti avviano una lotta per la spartizione.

Editoriali 02_11_2016
Mosul, forze speciali irachene

L’annuncio del comando militare di Baghdad è di quelli trionfali: dopo oltre due anni “l’esercito iracheno è entrato a Mosul”.

Scontri durissimi si registrano sulla riva orientale e settentrionale del fiume Tigri, che divide in due la città, nei quartieri di Judaidat Al-Mufti, Karama, Kukyeli e Gojali dove le forze speciali dell’esercito della divisione Golden Eagle hanno espugnato il palazzo della televisione. Successi che fanno bene al morale delle truppe scelte irachene coinvolte in questa fase iniziale della riconquista di Mosul ma che anticipano solamente la battaglia casa per casa che attende le forze di Baghdad man mano che penetreranno verso il centro. L’ampliamento del fronte urbano costringerà gli iracheni a schierare anche reparti meno solidi di quelli utilizzati in queste ore con maggiori rischi di subire numerose perdite e rovesci da parte dei miliziani dell’Isis che hanno minato e fortificato molti quartieri, predisposto autobomba corazzati per i contrattacchi e potrebbero disporre di tunnel in grado di far sbucare i loro miliziani alle spalle delle forze irachene.

Per questo un’avanzata troppo repentina, gradita alla politica, potrebbe rappresentare una trappola esponendo le truppe governative a imboscate e contrattacchi mentre una progressione lenta e meticolosa offrirebbe maggiori garanzie tattiche riducendo le perdite tra le truppe e i civili. Sia il premier iracheno Haider al-Abadi sia Barack Obama hanno però bisogno a breve scadenza di un successo eclatante, il primo per rinsaldare la sua leadership e il secondo per aiutare l’elezione di Hillary Clinton.

"Vi libereremo dall'Isis" ha detto ieri il portavoce della Coalizione a guida Usa, il colonnello John Dorian, in una conferenza stampa trasmessa in diretta tv rivolgendosi agli iracheni ma sul campo di battaglia a parte gli scarsi raid aerei (meno di 20 al giorno di cui una mezza dozzina sul fronte di Mosul) e un pugno di cannoni e consiglieri militari (appena 100 i militari USA coinvolti nella battaglia di Mosul secondo il Pentagono) il peso della battaglia ricade esclusivamente sulle forze regolari di Baghdad poiché curdi e milizie sciite vengono tenuti al di fuori del centro urbano.

L’escalation della guerra irachena è confermata anche dai dati diffusi dalla missione Onu in Iraq. Almeno 1.792 persone sono rimaste uccise in violenze in Iraq nel mese di ottobre contro i 1.003 del mese precedente. Tra i morti almeno 1.120 delle persone uccise sono civili, gli altri 672 erano membri delle forze di sicurezza irachene tra cui i curdi pershmerga e le milizie che combattono a fianco dell'esercito mentre 1.358 sono i feriti. La città più colpita (dagli attentati dell’Isis) è stata Baghdad con 268 civili uccisi e 807 feriti seguita dalla provincia di Ninevah, con capoluogo Mosul, con 566 morti e 59 feriti. Dati che non sembrano combaciare con quelli diffusi da Baghdad che nell’offensiva su Mosul ha annunciato il 28 ottobre di aver ucciso in dieci giorni quasi 800 jihadisti (tra 800 e 900 secondo la Coalizione) senza però fare cenno alle perdite subite dalle forze governative. Baghdad segnala anche insurrezioni in città contro l’Isis da parte della “resistenza” ma è difficile comprendere se si tratti di notizie concrete o di semplice propaganda.

Ieri al-Abadi, apparso alla televisione in mimetica militare, ha esortato i jihadisti asserragliati a Mosul ad arrendersi: opzione improbabile non solo per la tenacia e il fanatismo dei combattenti del Califfato ma anche perchè finora le forze irachene non hanno mostrato molta predisposizione a prendere prigionieri (appena 23 quelli catturati dall’inizio dell’offensiva). La penetrazione nei quartieri orientali, meridionali e settentrionali della città anticipa quindi la grande battaglia casa per casa che, se non ci sarà una improbabile resa dell’Isis, verrò combattuta soprattutto intorno all’aeroporto, all’università e ai ponti sul Tigri.

Alberto Negri sul Sole 24 Ore ha paragonato la battaglia di Mosul a quella di Berlino del 1945 e non solo per la ferocia di uno scontro che si preannuncia casa per casa ma anche perchè sulla città si avventano forze contrapposte. Le milizie turcomanne appoggiate dalle truppe di Ankara vogliono entrare a Mosul rivendicandone il controllo. Le milizie sciite filo iraniane stanno tagliando la via di fuga all’Isis chiudendo a nord ovest il confine con la Siria e sono pronte a combattere per mantenere unito il Paese. I curdi hanno già detto che dopo la battaglia di Mosul negozieranno con Baghdad la piena indipendenza della loro regione autonoma. Infine il governo iracheno teme che un successo militare a Mosul conseguito a caro prezzo ma che veda gli abitanti sunniti restare nei territori del Califfato per paura di rappresaglie sciite si trasformi in una vittoria di Pirro.

La battaglia potrebbe quindi preludere, sostiene Negri, a una futura spartizione dell’Iraq in zone d’influenza, proprio come avvenne a Berlino e alla Germania dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Se così fosse la ri-stabilizzazione di quella regione del Medio Oriente potrebbe richiedere ancora molti anni e molto sangue.