Dopo l'attacco all'Iran, l'attentato in Israele
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Dopo l'attacco mirato dell'aviazione israeliana su Teheran nella notte tra venerdì e sabato, ieri in Israele è tornato l'incubo degli attentati alle fermate degli autobus: 1 morto e 40 feriti a Tel Aviv.
In Israele ritorna l'incubo degli attentati alle fermate degli autobus. Un morto e oltre quaranta feriti: questo il bilancio di ieri, domenica 27 ottobre, quando un camion ha travolto un gruppo di persone in attesa alla fermata delle corriere a Tel Aviv. Si tratta, perlopiù, di anziani, che facevano ritorno alle proprie case, dopo aver partecipato ad una cerimonia di commemorazione delle vittime del 7 ottobre.
L'autista, un arabo-israeliano che risiedeva a Qalansawe, nel Distretto centrale d’Israele, è stato ucciso da un civile armato, che casualmente si trovava proprio nelle vicinanze del tragico incidente.
L’attentato è accaduto nel quartiere di Glilot della capitale, vicino alla città Herzliya, sede del quartier generale del Mossad e di diverse unità di spionaggio dell’esercito.
Ma nella notte tra venerdì e sabato scorso, in un’offensiva che ha visto l’impiego di cento aerei, Israele ha attaccato l’Iran. "L'ora del pentimento", così è stata denominata l'operazione dell’aeronautica, portata a termine, dopo aver percorso duemila chilometri di volo, con obiettivo siti militari concentrati su Teheran e Karaj. Il ministero degli Esteri iraniano, in una nota, in risposta all’incursione aerea israeliana, ha rivendicato «il legittimo diritto alla autodifesa, in base alla Carta delle Nazioni Unite, e si vede costretto a difendere il paese contro qualsiasi attacco straniero». Esperti americani sono convinti, che l'Iran risponderà a breve, ma che l'attacco sarà misurato, il che consentirebbe ad ambedue le parti di porre fine al circolo vizioso del "colpo su colpo".
«Abbiamo centrato la maggior parte delle capacità di produzione di missili terra-terra dell’Iran. L’obiettivo era impedirne la realizzazione. È come se fosse stata distrutta la linea di produzione dei missili», ha dichiarato un funzionario israeliano, che però vuole mantenere l'anonimato, incontrando i giornalisti ebrei. «Siamo profondamente preoccupati per l’escalation esplosiva in corso tra Israele e la Repubblica islamica, che rappresenta una minaccia reale alla stabilità e alla sicurezza nella regione», ha detto l'incaricata del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova. Mosca è disposta a «collaborare con le parti in conflitto per ridurre il livello di scontro», ha scritto su Telegram.
La reazione annunciata, in risposta all’attacco del 1° ottobre, ma ritardata per vari motivi, tra i quali l'invito del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, di non colpire né siti petroliferi, né tanto meno centrali nucleari, e poi la fuga di notizie sui preparativi israeliani, è dunque arrivata. «In risposta a mesi di continui attacchi da parte del regime iraniano contro lo Stato di Israele, le Forze di difesa israeliane stanno conducendo attacchi precisi contro obiettivi militari in Iran», ha affermato Daniel Hagari, portavoce delle forze armate israeliane.
Secondo alcune fonti, sembrerebbe che la Russia, tramite l'Olanda, abbia avvertito Teheran dell'imminente azione. Nota confermata dal ministro degli Esteri olandese, Caspar Veldcamp, che molte ore prima dell'attacco aveva scritto su X: «Ho parlato con il ministro degli Esteri iraniano della guerra e delle crescenti tensioni nella regione. Riguardo a quest'ultima, ho esortato alla moderazione. È indispensabile impegnarsi per impedire un'ulteriore escalation».
In Israele, le reazioni all'attacco all'Iran sono discordi. L’ex generale, Yair Golan, che guida la fusione dei partiti di sinistra Meretz e Labour, ha approvato l'attacco circoscritto, in quanto «danneggia le capacità difensive e offensive dell'Iran, senza trascinarci in una guerra di logoramento». Yair Lapid, leader dell'opposizione, con un post pubblicato sui social ha rimarcato che la decisione di non attaccare obiettivi strategici ed economici in Iran è sbagliata, aggiungendo che l’Iran avrebbe dovuto «pagare un prezzo elevato per la sua belligeranza».
Qual è l'obiettivo di Israele, o meglio fin dove si vuole spingere e cosa vuole ottenere l'attuale premier Benjamin Netanyahu con questa guerra, che dura, oramai, da oltre un anno? È questo l'interrogativo che accomuna i cittadini d’Israele e della Cisgiordania, ma soprattutto quelli di Gaza e del Libano. I capi di Hamas e di Hezbollah sono stati uccisi, come vendetta dell'attacco del 7 ottobre dello scorso anno. Ma durante questo lungo periodo di ostilità sono morte migliaia di palestinesi e centinaia di israeliani e libanesi, 42.924 nella sola Gaza, mentre i feriti hanno raggiunto le 100.833 unità.
Nel momento in cui una parte dell'aeronautica israeliana era impegnata a bombardate l'Iran, altri aerei da combattimento hanno neutralizzato obiettivi di Hezbollah a Beirut. Colpite fabbriche di produzione di armi, la sala comando della divisione d’intelligence di Hezbollah e attrezzature di sorveglianza: siti occultati sotto edifici civili, nella periferia meridionale della capitale libanese. Prima dell'attacco, l'esercito israeliano aveva diramato alcuni avvisi che sollecitavano l’abbandono delle abitazioni da parte della popolazione della zona.
Una potente esplosione nel Libano meridionale, provocata dall'Idf, ha innescato l'allarme terremoto anche nel nord di Israele. Tre giornalisti, mentre stavano dormendo, sono stati uccisi da un attacco su un edificio dove solitamente alloggiano i cronisti, nel Libano sudorientale. «Questo è un assassinio, premeditato e pianificato, visto che c’erano diciotto giornalisti presenti sul posto, in rappresentanza di sette differenti istituzioni mediatiche», ha scritto su X il ministro dell’informazione libanese Ziad Makary, definendo l’episodio un «crimine di guerra». Dall'inizio del conflitto sono sei i giornalisti che hanno perso la vita in Libano in seguito agli attacchi israeliani.
Il valico di frontiera con la Siria è sempre sotto attacco e le incursioni dell'aviazione ebraica proseguono ostacolando il rientro dei profughi. Finora, circa mezzo milione di persone è rientrato in Siria, dopo l’esodo iniziato nel 2011. Le vittime, dall'inizio del conflitto Israele-Hezbollah, sono 2653.
Nella Striscia di Gaza, l'ottanta per cento delle abitazioni è stato raso al suolo. «Vorrei dire a tutto il mondo della gravità della situazione a Gaza, in particolare nel nord. Gli attacchi sono aumentati, gli ospedali e le scuole usati come rifugi sono state distrutte. Si prevede che la malnutrizione colpirà 60.000 bambini nei prossimi mesi», ha dichiarato, in un post, Rosalia Bollen dell'Unicef. Nel campo profughi di Jabalia, i bombardamenti dell'aviazione israeliana hanno raso al suolo dieci edifici, provocato la morte di ben 150 persone e un numero elevato di feriti. Se la notizia sarà confermata si tratta di uno dei più brutali attacchi d’Israele.
A Sderot, cittadina israeliana vicina al confine con Gaza, si è svolto un convegno dell’associazione Nahala, che da anni incoraggia e incentiva lo sviluppo di nuove colonie nei territori palestinesi occupati della Cisgiordania. «Il 7 ottobre ha modificato la storia. Come risultato del disumano massacro, gli arabi a Gaza non hanno più il diritto di viverci. Il nostro obiettivo è stabilire gli insediamenti che una volta c'erano in tutta la Striscia, da nord a sud. Numerose famiglie sono già pronte a trasferirsi», ha dichiarato la colona estremista, Daniela Weissche, che ha organizzato l'evento.
In questi giorni sono stati resi pubblici tre documenti, senza data, attribuiti al defunto leader di Hamas, Yahya Sinwar, che comprendono dettagli sugli ostaggi e istruzioni per la sorveglianza. Nel primo, in cui sono citati dei versetti del Corano, si afferma che la vita dei prigionieri israeliani dovrà essere utilizzata come leva, per ottenere il rilascio dei miliziani palestinesi prigionieri nelle carceri israeliane.
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