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ANKARA

Dopo la strage, clima di sospetto e terrore in Turchia

L’attentato ad Ankara è il più grave della storia recente turca. Secondo il governo ha provocato 95 vittime. Secondo il partito Hdp, curdo, i morti sono 128. Già la differenza così ampia fra le stime delle vittime è rivelatrice di un clima di guerra civile. Il governo punta il dito sull'Isis. I curdi non ci credono.

Esteri 12_10_2015
Ankara, manifestazione in memoria delle vittime

L’attentato ad Ankara è il più grave della storia recente turca. Secondo il governo ha provocato 95 vittime. Secondo il partito Hdp, curdo, i morti sono 128. Già la differenza così ampia fra le stime delle vittime è rivelatrice dell’opacità dell’informazione turca in questi giorni e del grado di polarizzazione politica raggiunto. Di solito è nelle guerre civili che la conta delle vittime diventa essa stessa motivo di scontro fra governo e opposizione. 

Le elezioni anticipate si terranno il prossimo 1 novembre. L’Hdp è il principale oggetto del contendere: è la sua presenza in parlamento, la prima volta di un partito curdo che sbarca nel parlamento nazionale, che ha strappato all’Akp di Erdogan la tanto ambita maggioranza assoluta, inducendo il presidente a sciogliere il parlamento e a ricorrere al voto anticipato. La campagna è stata durissima sin da subito. Contemporaneamente alla guerriglia in Anatolia orientale, che si combatte fra l’esercito regolare turco e le milizie del Partito dei Lavoratori Curdi (Pkk), una forza extraparlamentare, anche l’Hdp è stato fatto segno di attacchi di nazionalisti e islamici, che hanno colpito la sua sede ad Ankara e in tutto il paese. Secondo l’Hdp, dunque, le due bombe di Ankara, scoppiate nel mezzo di una manifestazione per la pace nel Kurdistan (e la prima è esplosa proprio nel troncone del corteo occupato dall’Hdp) sono parte di una massiccia campagna di intimidazione, condotta dai “servizi deviati”, da quel “doppio Stato” che sarebbe costituito dal braccio violento, non democratico, del governo ufficiale. Il governo di Ankara sostiene tutt’altra tesi. Secondo il premier Davutoglu, infatti, gli indizi finora raccolti permettono di stabilire che i due ordigni erano azionati da terroristi suicidi. Sono state trovate le impronte di un giovane, già identificato dalla polizia, sui frammenti di una delle due bombe. La seconda esplosione sarebbe stata provocata da una donna. Il giovane uomo-bomba potrebbe essere Yunus Alagoz, il fratello dell’attentatore di Suruç, un militante dell’Isis che si è fatto esplodere in mezzo ai curdi provocando la morte di più di 30 persone, lo scorso 21 luglio.

Dunque non è solo sulla conta delle vittime che governo e opposizione promuovono due narrative diverse, ma anche sul mandante, col governo che punta il dito contro lo Stato Islamico e l’Hdp sui “servizi deviati” dello Stato. Le prove finora raccolte danno ragione al governo, sempre che non si tratti di informazioni errate o false. La logica, invece, giustifica parecchi dei dubbi dell’Hdp. Lo Stato Islamico ha interesse a colpire i curdi? Sicuramente sì, perché è ancora in corso lo scontro fra curdi e turchi nel Nord dell’Iraq e della Siria. Ha interesse a colpire i turchi? Sì, perché è dalla base di Incirlik che partono i raid aerei statunitensi contro lo Stato Islamico e comunque il governo turco, benché mantenga un rapporto ambiguo con le milizie del Califfato, è pur sempre visto da quest’ultimo come apostata e filo-occidentale. La Turchia è nel mirino del Califfato. Colpire i curdi nella capitale turca ha senso, però? Un po’ meno. Aveva perfettamente senso, dal punto di vista dell’Isis, la bomba a Suruç, dove sono stati colpiti curdi che avrebbero potuto combattere contro gli jihadisti a Kobane, nella Siria settentrionale. Dunque, in quel caso, si trattava di un semplice ampliamento delle operazioni jihadiste oltre il confine siriano. Ma che senso ha, per lo Stato Islamico, colpire pacifisti turchi e curdi, sindacalisti, studenti, professori, avvocati che protestavano contro le operazioni militari turche in Kurdistan? Operazioni che, da un punto di vista strategico, finiscono addirittura per facilitare, indirettamente, la conquista del Kurdistan da parte dello Stato Islamico? Ha poco senso. Sicuramente l’Isis non ragiona con una logica ferrea, talvolta le sue azioni militari e terroristiche sono irrazionali, dal nostro punto di vista. Ma il dubbio resta, specie in assenza di pronte rivendicazioni.

Questi dubbi sono alla base della grande contestazione curda, in corso ancora adesso in tutta la Turchia con manifestazioni di solidarietà alle vittime della strage di Ankara. Dubbi che sono enormemente rafforzati dalle reazioni del governo Davutoglu. In primo luogo, l’incapacità di prevenire un attentato di così grandi dimensioni. “Lo Stato, che ha informazioni su ogni uccello che vola in cielo, non è stato capace di prevenire un massacro nel cuore di Ankara. Avete le mani sporche di sangue”, è la condanna del leader dell’Hdp Selahattin Demirtas, nella manifestazione di ieri ad Ankara. L’Hdp chiede le dimissioni del governo Davutoglu, affiancato anche dall’opposizione socialdemocratica del Chp, che vuole almeno le dimissioni dei ministri di Interno e Giustizia. La polizia turca, con una retata, ieri ha arrestato 36 sospetti militanti dell’Isis in tutto il paese e le autorità dichiarano di essere sulle tracce del presunto attentatore Yunus Alagoz. Ma lo sono solo da adesso, quando l’attentatore, se confermato, è già morto, o lo erano già nei giorni passati, nei due mesi intercorsi dalla strage di Suruç a quella di Ankara? L’altra reazione che insospettisce è la censura, è l’azione di polizia seguita agli attentati. Anche ieri, poliziotti in tenuta anti-sommossa, hanno allontanato bruscamente chiunque volesse deporre garofani in memoria delle vittime, su un luogo dell’attentato ancora blindato e dichiarato area interdetta, a causa delle indagini in corso. Ancor più grave è stata la reazione delle forze armate che, a meno di 24 ore dalla proclamazione di un cessate-il-fuoco unilaterale del Pkk, hanno colpito le sue basi con massicci raid aerei nell’Anatolia meridionale e in Iraq, provocando la morte di almeno 49 miliziani. Il governo turco, insomma, sembrerebbe più propenso a colpire ancor più forte il movimento curdo che non l’Isis.

E per i curdi, sia quelli che votano che quelli che combattono, sta addirittura sfumando la differenza fra lo Stato Islamico e lo “Stato assassino” di Erdogan. Gli attentati dell’Isis, anche se riconosciuti tali, vengono comunque attribuiti ad Ankara, sia per responsabilità passiva (assenza di prevenzione), sia attiva (sospetto di collaborazione). E’ un clima di sospetto che ha iniziato a diffondersi nel settembre del 2014, quando i militari turchi rimasero inerti di fronte all’assedio jihadista di Kobane, a due passi dal confine. E che si è rafforzato e diffuso continuamente dopo tutti i successivi eventi di sangue, dopo la bomba di Diyarbakir (giugno), quella di Suruç (luglio), l’annuncio di elezioni anticipate (agosto) la ripresa della guerriglia in Anatolia (agosto e settembre). E’ questo clima che fa pensare alla Turchia come ad un paese sull’orlo di una guerra civile.