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STREGONERIA

Donne decapitate. Non è una specialità solo dell'Isis

Ha destato molto scalpore la notizia della decapitazione di due donne siriane, accusate dall'Isis del reato di “stregoneria”. Ma la decapitazione delle due presunte “streghe” non può però essere considerata un atto bellico: è invece legato alla più consolidata tradizione wahabita e dell’Islam più ortodosso.

Esteri 03_07_2015
La decapitazione è abitualmente esercitata nei Paesi islamici

Ha destato molto scalpore nei giorni scorsi la notizia della decapitazione di due donne siriane, giustiziate dallo Stato Islamico per aver compiuto il reato di “stregoneria”. Alcuni osservatori hanno spiegato che la propaganda dell’Isis ha bisogno di sempre nuovi orrori da impostare al mondo e dopo i piloti bruciati, gli sgozzamenti sul bagnasciuga e gli annegamenti nelle gabbie anche la decapitazione di donne rientra nella logica del macabro show a cui il Califfato ci ha abituati. Pare che si tratti della prima volta che la decapitazione viene inflitta a donne per il reato di “magia e stregoneria” ma in precedenza tre soldatesse curde erano state decapitate dopo la cattura in battaglia e molte donne sono state lapidate in base all’accusa di adulterio.

La notizia è stata fatta trapelare dall’Osservatorio siriano per i diritti umani (Ondus), gruppo con base a Londra vicino ai ribelli siriani anti-Assad e che dispone di una fitta rete di informatori sul terreno. Rami Abdl Rahman, direttore dell’Osservatorio, riferisce che «lo Stato islamico ha giustiziato due donne mediante decapitazione nella provincia di Deir Ezzor», nella parte orientale del Paese. Fonti locali riferiscono che le esecuzioni sono avvenute fra il 28 e il 29 giugno e hanno riguardato due coppie. In entrambi i casi, le due donne sono state giustiziate assieme ai loro mariti, tutti incriminati con l’accusa di «magia e stregoneria». Nella stessa circostanza, sempre secondo l’Ondus, i miliziani dello Stato Islamico hanno crocifisso almeno 8 uomini, inclusi 2 minori, accusati di non aver rispettato il digiuno previsto durante il Ramadan. I jihadisti hanno inoltre appeso un cartello al collo delle vittime con la scritta che li accusa di aver consumato cibo «senza alcuna giustificazione religiosa».

Ancora l’Ondus riferisce che l’Isis ha giustiziato più di 3 mila persone in Siria, da quando ha proclamato il Califfato islamico. L'Osservatorio siriano per i diritti umani ha detto di aver documentato 3.027 esecuzioni dal 29 giugno 2014. «Tra i giustiziati ci sono 1.787 civili, di cui 74 bambini», ha detto l'Osservatorio. Circa la metà dei civili assassinati (930) sono membri della tribù sunnita di Shaitat, nella Siria orientale. Il bilancio comprende anche le recenti uccisioni di massa commesse dallo Stato islamico nella città curda siriana di Kobane. La decapitazione delle due “streghe” non può però essere considerata un atto legato alla guerra e quindi sfugge alle regole della propaganda bellica per rispondere invece alla più consolidata tradizione wahabita e dell’Islam più ortodosso.

Certo clero e leader del mondo arabo e islamico (e anche molti nostri politici) non fanno che ripeterci che l’Islam è una religione di pace e quelli dell’Isis non sono veri musulmani ma solo dei criminali . Però i tanti che inorridiscono per le teste tagliate dai boia in nero dello Stato Islamico dovrebbero indignarsi di più per i boia in bianco che lavorano per la monarchia saudita che regna su un Paese dove le decapitazioni sono all’ordine del giorno per traffico di droga, violenza carnale, omicidio, apostasia, rapina a mano armata e, guarda caso, stregoneria: un reato che si presta a includere di tutto, dalla pazzia all’opposizione politica. In alcuni casi le teste mozzate, denuncia Amnesty International, sono state lasciate esposte per lunghi periodi di tempo, a monito, mentre la morte è prevista anche per i casi di blasfemia, omosessualità e adulterio anche se con metodi diversi dalla scimitarra.

Boia piuttosto alacri quelli sauditi che nei primi sei mesi di quest’anno hanno già decapitato 85 persone con un trend che forse raddoppierà le 87 vittime dell’intero 2014 (inclusi minori), 78 l’anno prima, mentre sono oltre 2mila le persone decapitate in Arabia Saudita dal 1985 al 2013. L’ascesa al trono di re Salman, a gennaio, ha coinciso con l’inasprirsi dell’uso della pena capitale in un Paese che è tra i più entusiasti nell’applicarla insieme a Cina e Iran, al punto che il regno ha dovuto emettere un bando di concorso pubblico per assumere 8 nuovi boia «in grado di decapitare in pubblico ed eseguire amputazioni per reati minori».

Il bando pubblicato sui giornali e on line cerca candidati “anche senza esperienza” e privi di qualifiche particolari forse per non facilitare veterani dell’ISIS alla ricerca di un tranquillo “posto pubblico”. Per presentare la domanda è sufficiente scaricare il modulo apposito: la retribuzione base pare venga integrata da un “bonus” di mille dollari per ogni testa tagliata elargito come “premio” direttamente dal re. I nostri alleati sauditi, a cui l’Occidente vende montagne di armi, non sono certo secondi a nessuno in fatto di orrore islamico, neppure ai “professionisti” dell’Isis. Nel gennaio scorso Layla, figlia di Abdul Mutaleb Bassim, (ovviamente i nostri civilissimi alleati sauditi nominano le donne in quanto figlie dei loro padri) è stata decapitata in mezzo alla strada a La Mecca con l’accusa di aver picchiato, violentato e ucciso con un manico di scopa la figliastra di sei anni, Kalthoum, definita dall’agenzia Saudi Press «figlia di Abdul Rahman bin Ghulam Gadir», il marito della giustiziata. La macabra esecuzione è stata filmata e poi postata in rete e nel video si sente la donna urlare e giurare la propria innocenza senza smuovere nessuno a pietà, neppure il boia che l’ha decapitata con due colpi di scimitarra dopo averla fatta sdraiare.

Una scena che ha fatto indignare l’opinione pubblica saudita, non per la sua efferatezza ma per il video reso pubblico e che avrebbe potuto essere visionato anche dai famigliari della giustiziata. Insomma, per i sauditi è giusto ammazzare la gente così, ma si preoccupano di non far vedere l’esecuzione ad amici e parenti. D’altra parte, come ha ricordato il Daily Mail, il video dell’esecuzione di Layla è rimasto on line solo poche ore perché qualcuno (si sospettano le autorità di Riad) lo ha fatto scomparire dalla rete. Del resto c’è poco da stupirsi della sintonia tra lo Stato Islamico e l’Arabia Saudita (che è a tutti gli effetti uno Stato islamico dove infatti nessuno dei diritti umani, civili e politici viene tutelato), basti ricordare che in un sondaggio realizzato l’anno scorso su un campione di un migliaio di cittadini sauditi emerse che il 97 per cento riteneva che l’Islam praticato dall’Isis fosse corretto e pienamente aderente ai precetti coranici.

Sicuramente hanno ragione quanti sostengono che quello in atto da almeno 15 anni non è un conflitto di religione né tra civiltà eppure il sondaggio realizzato a fine maggio da al-Jazira riferisce che dopo le decapitazioni, crocifissioni, gente bruciata viva, esecuzioni sommarie, i stupri e la distruzione di preziose opere d’arte l’81% degli arabi sostiene il Califfato. In realtà, come ha raccontato La Stampa, il dato non è “scientifico” perché si è trattato di un sondaggio digitale condotto tra il pubblico della tv basata in Qatar. Sul suo sito in arabo al- Jazeera ha chiesto al pubblico: «Sostieni le vittorie dello Stato islamico in Iraq e Siria?». Oltre 38.000 utenti hanno deciso di rispondere, e l’81% ha votato “sì”. Quindi non si tratta di un vero sondaggio, ma più di un misuratore dell’indice di popolarità del Califfo Abu Bakr al-Baghdadi presso i cittadini dei Paesi sunniti che dicono di combatterlo (ma non si vede) nell’ambito della Coalizione a guida statunitense. A una domanda simile, ma volta sondare il gradimento di al-Qaeda, nel 2006 risposero “si” il 50 per cento degli intervenuti. Comunque la vogliamo vedere nel “pacifico” mondo islamico i fans dei jihadisti e i mozzatori di teste sono in deciso boom di crescita.