LA SCOMPARSA
Don Astrua, il pioniere dell'editoria cattolica
E'morto il sacerdote lombardo, fondatore della storica casa editrice Mimep e inventore del fortunato "vangelo unificato".
Cultura
10_11_2011
Era un custode della memoria storica della diocesi. Don Massimo Astrua, nato a Milano il 2 gennaio 1924, è morto pochi giorni fa a Pessano (i funerali si svolgeranno domani alle 15 nella chiesa parrocchiale).
Rimarrà a farci compagnia con i suoi libri e soprattutto con la Mimep-Docete, la casa editrice da lui fondata con don Angelo Albani e ormai dal 1980 affidata alle suore loretane benedettine fondate nel 1920 a Varsavia dal beato Ignazio Klopotowski (1866-1931), un uomo molto simile a don Giacomo Alberione (1884-1971), il fondatore della Compagnia di San Paolo, che nella Polonia a cavallo del secolo XX fondò una congregazione di suore dedicata all’apostolato per mezzo della stampa: “il libro è il cibo dell’anima. Dovete regalarlo agli altri” soleva dire come per riassumere il carisma della congregazione.
Da decenni, da sempre verrebbe da dire, si era insediato a Pessano con Bornago, nei pressi di Milano, dove il parroco era don Angelo Albani. Insieme fondarono nel 1965 l’attuale casa editrice Mimep-Docete, che significa Misit Me Evangelizare Pauperibus (Mi ha mandato a evangelizzare i poveri). “Inventarono” un vangelo unificato, consistente in un unico racconto che tiene conto delle quattro stesure degli apostoli, Matteo, Marco, Luca e Giovanni. Ebbe un successo straordinario e ne diffusero centinaia di migliaia di copie in tutta Italia, grazie anche al costo bassissimo. Il costo è una delle caratteristiche della Mimep, e consiste nell’offrire i libri praticamente a prezzo di costo per poterne diffondere di più. Quando Giovanni Paolo II lo seppe disse: “Molto bene! Guadagneranno le anime”.
Accanto al Vangelo unificato vennero prodotti tanti altri libri, di catechesi soprattutto, ma anche di spiritualità, sulla Sacra Scrittura, sui Padri della Chiesa. E molti libri anche di apologetica. Nel 1980 i due sacerdoti lasciarono la casa editrice alle suore polacche, che nel frattempo erano venute a Pessano dalla Polonia: era stata costruita una casa dove abitavano, pregavano e lavoravano e questa casa divenne anche tipografia, legatoria e fotocomposizione. Qui verrà stampato per molti anni Il Timone.
Don Massimo era un sacerdote colto e intelligente, geniale in qualche modo per la sua capacità artistica di rendere comprensibili i concetti più difficili con la grafica o con l’utilizzo degli audiovisivi, ma soprattutto era un uomo di Dio. Bravissimo confessore, amabile conversatore, profondamente umile: sempre ironico su se stesso, sapeva autoridimensionarsi come pochi sanno fare, assolutamente consapevole che è Dio a operare misteriosamente per mezzo degli uomini, come, quanto e quando vuole. Eppure era un vulcano di iniziative in costante eruzione, soprattutto per la sua attenzione e abilità nell’usare i mezzi di comunicazione al servizio dell’apostolato.
Il suo cristianesimo affondava nel cuore profondo della tradizione ambrosiana, dove l’episcopato di san Carlo Borromeo lasciò tali e tanti segni che oggi tutti viviamo ancora di rendita. Amico di molti vescovi e cardinali che provengono da Milano, come Giacomo Biffi e Alessandro Maggiolini (1931-2008), era profondamente legato in modo particolare al grande biblista del secolo scorso, mons. Enrico Galbiati (1914-2004). Questa sua visione del cattolicesimo lo rese inviso a chi, nella stagione degli anni Sessanta e Settanta del Novecento, non aveva capito nulla del Concilio Vaticano II e lo considerava l’inizio di una sorta di rivoluzione permanente. Don Massimo capì il gioco e lo combatté con tutte le sue forze per circa trent’anni, guardato con supponenza dall’establishment curiale ambrosiano, emarginato eppure amato e ricercato da chi non si piegava al politicamente corretto diffuso purtroppo anche in diocesi.
Anche nell’amarezza, don Astrua rimase sempre fedele alla Chiesa e al suo arcivescovo, senza mai cedere ad alcuna tentazione di arroccamento. Quante volte ne abbiamo parlato e quante volte la sua serenità, la sua speranza, la sua fedeltà forte e convinta a Pietro, chiunque esso sia, sono apparse in tutta la loro forza. Adesso la continuazione della sua testimonianza è affidata soprattutto alle suore polacche che ne hanno raccolto l’eredità, che lui ha aiutato a crescere e a comprendere il mondo italiano nel quale sono ormai inserite da oltre trent’anni.